3 - L'opera di Gio Battista Sardi presso l'Impero in favore di Sanremo
Nel frattempo il rappresentante della Città alla Corte Imperiale, Gio Battista Sardi chiedeva ufficialmente una procura per proseguire nella sua azione. Gli esiliato, rifugiati a Perinaldo stilarono due documenti, che fu sottoscritto da quasi tutti i cittadini sanremesi, recatisi a gruppi e di nascosto nel vicino paese, nell'abitazione dei notai Croesi e Cassini. Il Sauli, informato della manovra, riprese la lunga catena di arresti incarcerando i firmatari e fece sorvegliare da armati i passi di montagna che conducevano a Perinaldo. Poi si rivolse accanito contro il clero, rifiutando ai sacerdoti e al vescovo il primato della cattedra e degli onori in chiesa, che pretendeva per sé, e procedette ad altri arresti.
Alla fine di novembre del 1753, per le continue incarcerazioni e per le fughe dei sospettati, la città era da considerarsi quasi abbandonata, abitata soltanto da donne, vecchi e bambini, sottoposti a ogni genere di violenza. Malgrado l'indulto fosse rinnovato il 4 marzo 1754 i fuoriusciti non ritornavano affatto. Le autorità imperiali, pur al corrente della situazione non avevano alcuna intenzione di mettersi contro Genova, ed i loro proclami insieme a quelli papali sollecitati dal Vescovo di Albenga per le offese ricevute, non le impedirono di continuare imperterrita, tramite il Sauli a soggiogare Sanremo. Lo stesso emise un bando stabilendo che la città era piena di debiti per cui vennero ulteriormente aumentate le tasse aumentando l'oppressione sulla città già decimata ed affamata.
Prima di ritornare a Genova il Sauli impose la costruzione di un forte sul mare per "tenere a dovere" i cittadini. Aveva già fatto radere al suolo il Castello che stava sulla cima della colllina della Costa, e fece abbattere un intero quartiere nella zona di Pian di Nave per lasciare lo spazio per il nuovo edificio. Dopo la posa della prima pietra per opera del suo successore, Gaetano Doria, il 6 luglio 1755 il forte fu pronto l'anno successivo, fu occupato da una guarnigione di 40 armati ed i cannoni puntati verso la città.
Nel frattempo il cartografo colonnello Matteo Vinzoni aveva finito regolarmente la pianta della città ed i nuovi confini con Coldirodi, mentre il nuovo catasto richiesto da Genova per nuove tasse, andava più a rilento. Fu più volte richiamato per questo, quasi fosse connivente con i sanremesi tanto che lo stesso Sauli scriveva di lui : «L'attaccamento a questo paese, e forse i sentimenti non dissimili, sono il motivo che lo trattengono, e conviene staccarnelo ».
In effetti il catasto fu terminato soltanto nel 1756 e risultò così complicato da rendere problematica la nuova tassazione. Il Vinzoni inoltre disegnò una veduta dell'eremo di San Romolo sovrastato dalla compromettente frase "Sanctus Romulus semper propugnator" e frequentava abitualmente famiglie di San Remo note per la loro ostilità a Genova.
Intanto, le azioni diplomatiche ed i ricorsi che G.B.Sardi a Vienna, grazie alla pubblicazione di volumi e manoscritti tendenti a dimostrare i diritti di Sanremo contro la prepotenza di Genova, proseguivano senza sosta, sollecitanto l'interesse imperiale che provocava sì qualche problema alla Repubblica ma questo non andava oltre ad espressioni di principio e solidarietà formale.
Un aiuto insperato venne dalla nuova Imperatrice, Maria Teresa d'Austria che si offrì come intermediaria nella risoluzione complessa vicenda. Dopo un decreto Imperiale con la richiesta formale della Sovrana, Genova acconsentì a malincuore a concedere il perdono agli esuli, alla restituzione dei beni sequestrati, al ripristino degli Statuti comunali, alla restituzione degli Archivi e la campana asportata, oltre alla rinuncia della tassa annuale di 30.000 lire.
Questi buoni propositi rimasero solo sulla carta però, perché l'Imperatrice, avendo problemi ben più grossi con Francia e Spagna, si defilò, per cui di tutto quello promesso Genova si limitò a perdonare gli esuli e a restituire una campana (oltrettutto fatta a pezzi per dispregio), che non era l'originaria visto che quella stava nella cattedrale di San Lorenzo, e dimenticandosi del resto.
In pratica la città di Sanremo fu abbandonata al suo destino ed i vent'anni di impegno del Sardi non portarono ad alcun beneficio pratico. Egli stesso scriveva agli amici di San Remo nel 1772: «Da qui non potete sperare altro provvedimento, perché da due anni è sospeso il corso della giustizia per gli interessi della Francia e della Spagna ».
Questo benemerito cittadino moriva a Vienna il 25 maggio 1776, dopo aver speso tutte le sue sostanze e la vita stessa per la sua San Remo.
Il maggior numero delle persone che erano fuggite da Sanremo trovarono rifugio a Perinaldo ma rimasero sempre sotto minacce di assassinii o rappresaglie. Altri fuggirono in città diverse, a Pigna, a Torino, a Trieste, e perfino a Marsiglia e Nizza.
A tutti non mancò mai il supporto dei cittadini rimasti con rimesse di denaro raccolto sprattutto presso le parrochie, sotto forma di oboli per i poveri della Chiesa.
L'unica cosa positiva per la città fu l'iniziativa del commissario Carrega per le riparazioni del porto che, rimasto danneggiato e abbandonato dall'inizio degli avvenimenti del 1753, furono iniziate nel 1782 terminando nel 1786.
Per il resto, i sanremesi dovettero rassegnarsi all'arrogante dominazione genovese, che sarebbe cessata soltanto nel 1815, con l'annessione della Liguria al Regno di Sardegna.
(Fonti: dal libro “Sanremo, cuore e anima di una Città" op.cit.;immagini private e dal Web)ù