La rivoluzione del 1753 e le sue conseguenze
1 - La reazione sanremese contro la Repubblica di Genova
Naturalmente all'idea di dover rinunciare alla Colla fece infuriare non poco i Sanremesi che protestarono con Genova.
La Repubblica per tutta risposta inviò a Sanremo il suo cartografo ufficiale, il colonnello Matteo Vinzoni, perché disegnasse la divisione tra i due territori.
Il Vinzoni giunse il 6 giugno del 1753 e per il suo lavoro chiese l'aiuto di due deputati i quali risposero che la decisione spettava al Parlamento intero. Durante una ulteriore riunione alla presenza del Governatore Doria però, un nutrito gruppo di popolani fece irruzione nella sala chiedendo a gran voce la convocazione del Parlamento.
Quello che fece scoppiare la rivolta però, fu l'inconsulto intervento di militari armati ed un colpo d'archibugio sparato dal Palazzo del Commissario. A quel punto i popolani del gruppo, inferociti arrestarono e misero in prigione il Vinzoni, il Doria e la sua famiglia, chiamando a raccolta tutta la popolazione con i rintocchi del campanone di S.Siro e chiedendo quindi la convocazione del Parlamento.
La folla accorse ineggiando a "San Romolo" ed ai "Savoia".
Il Parlamento, convocato nella chiesa di San Germano il 7 giugno, deliberò di mandare a Torino tre nobili plenipotenziari ed un notaio per perorare la protezione del Re di Sardegna. La città, in previsione di una ritorsione genovese, si riorganizzò militarmente nominando un Magistrato di guerra e radunando uomini dotandoli delle armi acquistate allo scopo.
Purtroppo la reazione della Repubblica non si fece attendere ed andò ben oltre le peggiori aspettative.
Visto che la maggior parte delle città costiere del Ponente non aderirono all'iniziativa sanremese, prima di tutto fece arrestare ed imprigionare tutti i cittadini sanremesi sparsi nella regione, quindi il 13 giugno, di mattina inviò tre galee e del naviglio minore per un totale di circa un migliaio di armati, dei quali metà erano Corsi.
Il comandante era il generale Agostino Pinelli che naturalmente per prima cosa chiese la liberazione dei reclusi ma avutone un rifiuto, incominciò a cannoneggare la città per tutto il giorno e la mattina successiva.
Quindi all'alba del 14 incominciarono a sbarcare i soldati in due punti, una parte in zona Pietralunga ed i Corsi a Capo Nero dove ricevettero i rinforzi da parte degli armati della Colla.
La città era circondata, purtuttavia quando un drappello di soldati si presentò davanti alla Porta dei Cappuccini, venne accolto da dei colpi di cannone che li fece retrocedere. Purtroppo i militari sanremesi erano disorganizzati, senza un comando ed un piano ben preciso per cui preferirono ritirarsi entro la cerchia muraria, lasciando quindi ai genovesi le parti strategiche della città.
I soldati Corsi nel frattempo avevano occupato il convento dei Nicoliti (l'attuale Don Orione) sulla collina sopra la Pigna, abbandonato dai difensori e quindi senza aver sparato un solo colpo.
Il Pinelli, visto che la situazione volgeva a suo favore, con la mediazione dei padri gesuiti Balbi e Curlo, tentò abilmente di proporre un accordo.
I rivoltosi avrebbero dovuto liberare i prigionieri e deporre le armi; il generale Pinelli prometteva « che la vita l'onore e la robba (dei sanremesi) potranno sperare nella clemenza del Trono Serenissimo ». Avrebbe inoltre fatto «ogni opera per accomodare la cosa e mitigare il castigo ». Padre Balbi dava conferma scritta su tali proposte. Il Pinelli, in caso contrario, minacciava di riprendere le ostilità « fino all'ultimo sterminio ».
I sanremesi, piuttosto indecisi sul da farsi e disorganizzati, accettarono ingenuamente l'accordo, fidandosi della parola dei gesuiti, e trasmisero il seguente messaggio: « Il popolo è pronto a condiscendere a quanto dessidera il Sig.r Comm.rio Gen.le; lo supplica però della sicurezza di ottenerle dal Ser.mo Trono la vita, l'honore, e la robba col generale indulto ».
(A margine di questo, visto poi come andarono le cose, fu comune dire che i gesuiti forono dei traditori, provocando una forte avversione nei loro confronti nei tempi successivi.)
2 - L0ccupazione della città da parte del Pinelli e i suoi soprusi
Il generale e le sue truppe entrarono tranquillamente in città e per i primi giorni le cose rimasero calme. Secondo il piano previsto dal Pinelli però, il 16 giugno incominciarono gli arresti e le carcerazioni di tutti quelli convolti nella ribellione tanto che, piene le prigioni si dovettero usare anche quelle di Palazzo Borea, dove era il comando Genovese. La rappresaglia del Pinelli, per ordine della Repubblica e andando anche oltre, fu tremenda.
Obbligò il Consiglio lo stesso giorno a sottoscrivere il versamento di 50.000 lire subito ed altre 50.000 dopo due giorni, ed imprigionando gli stessi consiglieri (alcuni dei quali furono rilasciati il 4 luglio).
La somma fu versata il 19 giugno ma il generale impose un altro versamento di 100.000 lire, somma a quei tempi altissima ed impossibile da reperire in tempi brevi, per cui fu proposta in sua vece, la consegna di 980 barili di olio e una quantità notevole di limoni.
Di propria iniziativa pretese annualmente 30.000 lire come "rinfresco per le truppe" .
Continuò con confische di beni, sequestri e con ulteriori arresti riducendo la città in uno stato di completo degrado e impoverimento da costringere una parte di cittadini a fuggire e chiedere asilo presso i territori del Regno di Sardegna.
Furono aboliti gli Statuti in essere e per disprezzo pubblico fu smontato il campanone di San Siro colpevole di aver aizzato la folla (che fu portato a Genova insieme ai barili di olio ed i limoni il 7 luglio), successivamente fu abbattuta la parte superiore del campanile della stessa chiesa e gli Archivi comunali portati a Genova.
Finito con San Remo, fu la volta per le frazioni di Verezzo e Poggio di ricevere lo stesso trattamento di saccheggio e rapina in denaro.
Le persone arrestate furono sommariamente processate e condannate. Per quattro di loro fu la morte per taglio della testa e l'esposizione pubblica della stessa, i consiglieri furono inviati all'esilio, altri ancora a dieci anni di galera o semplici pene corporali.
Tali soprusi e vessazioni però non passarono del tutto inosservati nelle diplomazie europee, tanto da suscitare l'interesse particolare ed i primi interventi dell'Impero. Sotto questa pressione, Genova il 4 settembre emise un decreto di indulto generale, salvo che per le 14 persone coinvolte maggiormente, alcune delle quali rimasero in carcere fin quasi alla morte e gli esiliati che non tornarono mai più in città.
Il discutibile comportamento del Pinelli, le sue ruberie ed angherie vennero denunciati al Senato della Republica che inviò segretamente degli investigatori ad accertarsi delle accuse. Accuse che furono confermate in toto, per estorsioni, abusi su donne ed altre nefandezze tanto che fu richiamato a Genova, sottoposto a giudizio e quindi costretto a dimettersi dall'incarico.
Al suo posto fu inviato F.Maria Sauli che però provocò non sollievo ma un timore di ulteriori rappresaglie tale da indurre alla fuga altri cittadini.
3 - L'opera di Gio Battista Sardi presso l'Impero in favore di Sanremo
Nel frattempo il rappresentante della Città alla Corte Imperiale, Gio Battista Sardi chiedeva ufficialmente una procura per proseguire nella sua azione. Gli esiliato, rifugiati a Perinaldo stilarono due documenti, che fu sottoscritto da quasi tutti i cittadini sanremesi, recatisi a gruppi e di nascosto nel vicino paese, nell'abitazione dei notai Croesi e Cassini. Il Sauli, informato della manovra, riprese la lunga catena di arresti incarcerando i firmatari e fece sorvegliare da armati i passi di montagna che conducevano a Perinaldo. Poi si rivolse accanito contro il clero, rifiutando ai sacerdoti e al vescovo il primato della cattedra e degli onori in chiesa, che pretendeva per sé, e procedette ad altri arresti.
Alla fine di novembre del 1753, per le continue incarcerazioni e per le fughe dei sospettati, la città era da considerarsi quasi abbandonata, abitata soltanto da donne, vecchi e bambini, sottoposti a ogni genere di violenza. Malgrado l'indulto fosse rinnovato il 4 marzo 1754 i fuoriusciti non ritornavano affatto. Le autorità imperiali, pur al corrente della situazione non avevano alcuna intenzione di mettersi contro Genova, ed i loro proclami insieme a quelli papali sollecitati dal Vescovo di Albenga per le offese ricevute, non le impedirono di continuare imperterrita, tramite il Sauli a soggiogare Sanremo. Lo stesso emise un bando stabilendo che la città era piena di debiti per cui vennero ulteriormente aumentate le tasse aumentando l'oppressione sulla città già decimata ed affamata.
Prima di ritornare a Genova il Sauli impose la costruzione di un forte sul mare per "tenere a dovere" i cittadini. Aveva già fatto radere al suolo il Castello che stava sulla cima della colllina della Costa, e fece abbattere un intero quartiere nella zona di Pian di Nave per lasciare lo spazio per il nuovo edificio. Dopo la posa della prima pietra per opera del suo successore, Gaetano Doria, il 6 luglio 1755 il forte fu pronto l'anno successivo, fu occupato da una guarnigione di 40 armati ed i cannoni puntati verso la città.
Nel frattempo il cartografo colonnello Matteo Vinzoni aveva finito regolarmente la pianta della città ed i nuovi confini con Coldirodi, mentre il nuovo catasto richiesto da Genova per nuove tasse, andava più a rilento. Fu più volte richiamato per questo, quasi fosse connivente con i sanremesi tanto che lo stesso Sauli scriveva di lui : «L'attaccamento a questo paese, e forse i sentimenti non dissimili, sono il motivo che lo trattengono, e conviene staccarnelo ».
In effetti il catasto fu terminato soltanto nel 1756 e risultò così complicato da rendere problematica la nuova tassazione. Il Vinzoni inoltre disegnò una veduta dell'eremo di San Romolo sovrastato dalla compromettente frase "Sanctus Romulus semper propugnator" e frequentava abitualmente famiglie di San Remo note per la loro ostilità a Genova.
Intanto, le azioni diplomatiche ed i ricorsi che G.B.Sardi a Vienna, grazie alla pubblicazione di volumi e manoscritti tendenti a dimostrare i diritti di Sanremo contro la prepotenza di Genova, proseguivano senza sosta, sollecitanto l'interesse imperiale che provocava sì qualche problema alla Repubblica ma questo non andava oltre ad espressioni di principio e solidarietà formale.
Un aiuto insperato venne dalla nuova Imperatrice, Maria Teresa d'Austria che si offrì come intermediaria nella risoluzione complessa vicenda. Dopo un decreto Imperiale con la richiesta formale della Sovrana, Genova acconsentì a malincuore a concedere il perdono agli esuli, alla restituzione dei beni sequestrati, al ripristino degli Statuti comunali, alla restituzione degli Archivi e la campana asportata, oltre alla rinuncia della tassa annuale di 30.000 lire.
Questi buoni propositi rimasero solo sulla carta però, perché l'Imperatrice, avendo problemi ben più grossi con Francia e Spagna, si defilò, per cui di tutto quello promesso Genova si limitò a perdonare gli esuli e a restituire una campana (oltrettutto fatta a pezzi per dispregio), che non era l'originaria visto che quella stava nella cattedrale di San Lorenzo, e dimenticandosi del resto.
In pratica la città di Sanremo fu abbandonata al suo destino ed i vent'anni di impegno del Sardi non portarono ad alcun beneficio pratico. Egli stesso scriveva agli amici di San Remo nel 1772: «Da qui non potete sperare altro provvedimento, perché da due anni è sospeso il corso della giustizia per gli interessi della Francia e della Spagna ».
Questo benemerito cittadino moriva a Vienna il 25 maggio 1776, dopo aver speso tutte le sue sostanze e la vita stessa per la sua San Remo.
Il maggior numero delle persone che erano fuggite da Sanremo trovarono rifugio a Perinaldo ma rimasero sempre sotto minacce di assassinii o rappresaglie. Altri fuggirono in città diverse, a Pigna, a Torino, a Trieste, e perfino a Marsiglia e Nizza.
A tutti non mancò mai il supporto dei cittadini rimasti con rimesse di denaro raccolto sprattutto presso le parrochie, sotto forma di oboli per i poveri della Chiesa.
L'unica cosa positiva per la città fu l'iniziativa del commissario Carrega per le riparazioni del porto che, rimasto danneggiato e abbandonato dall'inizio degli avvenimenti del 1753, furono iniziate nel 1782 terminando nel 1786.
Per il resto, i sanremesi dovettero rassegnarsi all'arrogante dominazione genovese, che sarebbe cessata soltanto nel 1815, con l'annessione della Liguria al Regno di Sardegna.
(Fonti: dal libro “Sanremo, cuore e anima di una Città" op.cit.;immagini private e dal Web)ù