I contrasti con la Repubblica e le guerre Europee
1 - La Santa Inquisizione
Rimanendo ancora nel Cinquecento, a crear problemi e danni alla Città di San Remo non furono sufficienti la Peste e le invasioni Barbaresche, anche se la vittoria del 1543 sembrò far attenuare i brutti ricordi del periodo.
Siamo in piena Controriforma e quindi l'attività del Tribunale Dell'Inquisizione tristemente noto come Santa Inquisizione, partito dalla Spagna con l'ancor più tristo personaggio rispondente al nome di Torquemada, stava mietendo vittime in tutta l'Europa Cattolica specie tra la popolazione femminile quando bastava un niente perché fossero tacciate di blasfemia, sacrilegio e stregoneria e quindi portate al rogo.
Anche gli uomini però, non così numerosi come per le donne, furono vittime. Un documento del 24 febbraio 1582 segnala la presenza di un cittadino inglese, certo Guglielmo Horn, « mandato in Italia... ad effetto di seminar zizzanie di heresia » e se ne ordina la carcerazione e la consegna in modo che «un istrumento così maligno e diabolico sia nella rete e pervenga in forze della Santa Inquisizione ».
San Remo non fece eccezione ed anche qui si perpetrarono efferati delitti, vuoi per vendette personali, vuoi per effettiva credulità popolare.
Il 20 ottobre 1584 venivano processati in San Remo, in seguito a denuncia anonima, certi Giovanni Rodi di Montalto ed Enrico Brizio di Badalucco, accusati di stregoneria ma solo il primo, definito mercante di incantesimi, eretico e bestemmiatore, fu portato dinanzi al tribunale, ovviamente torturato, ma non si conosce la sentenza definitiva e la sua sorte.
Nel 1588 si svolgeva a Triora il processo più spaventoso contro trenta presunte streghe: una morì dissanguata, una certa Franchetta Borelli si suicidò gettandosi dalla finestra del carcere, sei furono condannate a morte; per le altre però, malgrado fossero prosciolte, la vita poteva dirsi finita, dopo le torture e le sofferenze subìte.
Anche a San Remo erano state incarcerate, nel 1547, otto donne accusate di stregoneria e di eresia; ma il processo, svoltosi a Genova, le mandò assolte, perché risultavano vittime di calunnie anonime, di torture e del troppo zelo del prete Antonio Guigliero, che fu sospeso dall'ufficio e inviato in convento. Malgrado questo, anche se innocenti, sulle sei donne rimaste, dopo che due morirono per le torture, rimasero i pregiudizi che le allontanarono dalla vita normale, le tolsero dei diritti civili e ridotta la propria reputazione tanto da essere costrette a lasciare la città, che aveva partecipato emotivamente alla vicenda.
Malgrado questo clima di oscurantismo religioso, non mancava l'occasione di divertirsi, forse proprio per scacciare i cattivi pensieri. Le cronache dell'epoca riportano che nel febbraio 1563, mentre ancora il pirata Ulugh-Alì imperversava sui mari, a San Remo si festeggiò un allegro Carnevale, formate da due brigate di giovani, capeggiate rispettivamente dall'abate del Piano Michelotto Premartini e dall'abate del Castello Michelangelo Palmari.
Ne fu testimone il Vicerè di Provenza in transito della Città, che fu accolto con gran festa, tanto che fece un lauto regalo in danaro ad uno dei due gruppi, e dopo un primo mugugno, fu deciso di usare la somma per un pranzo per entrambe le parti, proprio per evitate uno scontro tra le due. Da quella data in poi fu deciso di organizzare, in occasione di ogni carnevale, due distinti corsi in maschera che, riuniti, concludevano i festeggiamenti dell'intera città. Tale tradizione si mantenne in vita fino all'inizio del secolo scorso.
Malgrado tutti i problemi, sempre nel XVI secolo le attività commerciali a San Remo continuavano a progredire, con il commercio di agrumi e di palme, dei traffici marittimi in tutto il Mediterraneo e che erano la maggior fonte di ricchezza.
É di questi tempi che accadde l'evento ben noto del Capitano di San Remo Benedetto Bresca che a Roma, durante l'innalzamento dell'obelisco di Piazza San Pietro quando gridò "aiga ae corde " cioè acqua alle corde per evitare che le funi tese al massimo si spezzassero.
San Remo partecipò, spesso suo malgrado, ai grandi eventi bellici che sconquassarono il secolo, in un Poinente che faceva gola a molti potenti trovandosi in mezzo a conflitti non certo cercati.
2 - Sanremo in mezo alla guerra tra Piemonte, Francia e Genova
Nel 1625, durante la prima guerra tra il Piemonte e la Francia contro Genova, al comando del Vittorio Amedeo di Piemonte, le truppe, una volta occupata Oneglia si diressero su Ventimiglia che occuparono il 26 maggio. San Remo dal canto suo, in previsione di sciagure organizzò la festa di San Giuseppe per implorare l'assistenza dell'Altissimo. Purtuttavia organizzò anche la difesa della città, che però durò poco perché, inferiori di numero si arresero ai Piemontesi il 17 maggio.
Esistono due versioni nei confronti dell'episodio. Il primo era che, con il loro atto di sottomissione, evitarono i soliti atti di vandalismo a cui invece furono sottoposti Ventimiglia e gli altri paese dell'entroterra, tanto che girò la frase « megliuo saria sottoposti al turco ». Il secondo, suggerito dal cronista Pietro Gioffredo era che i sanremesi accolsero festosamente con agrumi e fiori gli occupanti e che, a detta del Grosso « il principe Vittorio non permise che la sua armata danneggiasse le campagne ». Qualche dubbio viene dal fatto che dopo la liberazione del territorio da parte di Genova, i Piemontesi si diedero al saccheggio dei paesi interni.
La tregua e poi la pace del 1673 in effetti lasciava le cose immutate.
Da parte sua il Piemonte, volendosi espandere nel Ponente ligure, adottò una mano più morbida nei confronti delle popolazioni favorendo le attività commerciali , mentre invece Genova continuava nella sua politica di esazioni tributarie e imposizioni di spese per azioni militari. Questo naturalmente accresceva il malumore nei suoi confnti, specie a San Remo, già restia ai contributi, provocando anche delle ribellioni.
La Città cresceva in benessere e le sue numerose attività la rendevano "appetibile" per molte parti in contrasto tra loro. Il commercio era in crescita grazie anche all'apertura un mercato settimanale dal 1634.
Naturalmente Genova non tardò ad aumentare le gabelle, stavolta come tassa sul sapone e sapendo la riottosità dei sanremesi, il 6 maggio del 1639 inviò il Commssario Alessandro Saoli con l'ordine di far eseguire la tassazione rimasta naturalmente inosservata.
Lo stesso Manoscrito Borea ne fa testimonianza: « Alli 6 Maggio il sig. Alessandro Saoli Commissario per le misure, volendo introdurre in S. Remo ordini contrarissimi alle nostre convenzioni si fece revoluzione del Popolo minuto, che non si fece poco a placarlo, se detto Commissario non desisteva dall'esecuzione di detti ordini con pericolo grande della sua Persona, e suoi Agenti, e in quel giorno piovette tant'acqua, che correvano le donne e li fanciulli coll'armi alla mano, dicendo, viva S. Giorgio, e finisca il cattivo governo ».
Allora, come sempre, la Repubblica reagì inviando il 13 giugno a San Remo 3 galee con 500 soldati di origine corsa, e quindi arrestando numerose persone, confiscando beni e demolendo case. Ci furono condanne che, riguardavavo i nomi più noti e influenti della Città alcuni dei quali furono pesantemente multati, altri inviati al confino ed altri ancora condannati a pesanti pene detentive. Due furono infine giustiziati il 27 luglio.
Per fortuna, l'arrivo di una flotta francese, che catturò anche una delle galee, pose la fine a questa serie di rappresaglie.
Sempre nella situazione di guerra tra i vari potentati, nel 1678, re Luigi XXIV, anche per intimorire la Spagna e soprattututto Genova, fece eseguire due cannnoneggiamenti navali sulla Città di San Remo. Sempre il Manoscritto Borea ci dice che il 1° agosto 1678, alle ore 11, comparvero sulla rada di San Remo 26 galee francesi. Un tentativo di parlamentare veniva rifiutato dai Francesi, che iniziavano il cannoneggiamento, a seguito del quale « vi restò un solo morto, due Giovin feriti, Padre e figlio con una Gamba rotta. Sopra le Gallere vi furono 100 morti ».
Il registro dei Battesimi della Curia di San Siro precisa che i morti tra i Francesi furono causati « per moschetate e non più di undeci tiri di cannone del Castello e non gli fu fatto danno di più per essergli levato l'ordine di sparare ». Un dipinto conservato nel palazzo Borea d'Olmo rievoca l'episodio; la città vi è raffigurata con dovizia di particolari. La presenza del campanile barocco di San Siro assegna tuttavia il dipinto a un periodo successivo al 1753.
Naturalmente i francesi tornarono ed ancora dalle cronache del Manoscritto Borea è riportato: « Vennero di nuovo 12 Navi de Francesi che non resero il Saluto, ma bensì circa l'ore 21 spararono più di 4000 Canonate con molto danno della Città e delle Campagne e morirono tre Franc.i. - Si raconta che un Principe Polacco parente di Luigi quatordici essendo passato da S. Remo ed essendole state fatte delle Politezze trovandosi in Pariggi alla Corte, sentendo la spedizione contro S. Remo, intercedesse la Grazia per il Sovrano acciò fosse contramandato l'ordine dato d'atterar S. Remo ».
3 - Le vessazioni della Repubblica di Genova
Naturalmente i rapporti con Genova non miglioravano, anzi. Più la Repubblica continuava ad introdurre nuove gabelle, più la Città si opponeva. Queste erano continue ad a volte ripetute. Nel 1663 sull'acquavite, nel 1670 sul sapone, nel 1697 sulla polvere da sparo, nel 1706 ancora sull'acquavite, nel 1707 nuovamente sul sapone e sulla polvere, nel 1712 sul tabacco, sul sapone e sulla polvere; nel 1714, oltre a riproporre la solita gabella sul tabacco, Genova cercò di applicare un'imposta di successione, oltre al divieto di vendere o fabbricare in San Remo acquavite o caffè senza licenza, provvedimenti che naturalmente non ebbero seguito. Nel 1717, dopo l'ennesima opposizione alla gabella sul tabacco, una grida genovese sulle carte, sui tarocchi e sui garrellini, i più comuni giochi del tempo, veniva respinta come « nulla e ingiusta ». Con una faccia tosta incredibile la Repubblica nel 1718, alle proteste dei Sanremesi affermava che « non si intendeva in modo alcuno vulnerare le condizioni e i privilegi di San Remo ».
E difatti, nel 1720, la gabella sul tabacco fu di nuovo introdotta, provocando questa volta la protesta di San Remo presso l'Imperatore.
Il nobile sanremese Tommaso Sardi che era stato nominato console presso la corte imperiale Asburgica, sosteneva che la Città doveva essere considerata come appartenente all'Impero e solo convenzionata con Genova. Questo naturalmente infuriò Genova che emise nel 1722 una sentenza di condanna contro il Sardi, e ne aumentò la rabbia quando la stessa fu annullata dall'Imperatore Carlo VI confermando quindi la sua protezione su San Remo nei confronti di Genova.
La contromisura della Repubblica naturalmente si sviluppò nel 1729 con una nuova introduzione della tassa sul tabacco accompagnata stavolta dal commissario Bernardo Sopranis con l'incarico di farla rispettare. Anche qui la Città si ribellò nuovamente sotto la guida di Gerolamo Gazzano che il Sopranis fece imprigionare ma che dovette frettolosamente liberare vista la reazione del popolo, e gli dovette pure delle scuse.
La situazione era ancoira di forte tensione tanto che anche il cartografo ufficale di Genova, Matteo Vinzoni, sul posto per rilievi topografici fu allontanato dalla città.
La risposta della Repubblica fu naturalmente di carattere militare con l'invio il 25 agosto del 1729, di 4 galee con seicento soldati al comando di Ansaldo Grimaldi. In un primo momento la città resistette agli sbarchi, ma dovette cedere dopo pochi giorni. Il comportamento del Grimaldi fu di calmare gli animi senza rappresaglie, tanto che gli valse il soprannome de "il sanremese". Inoltre un condono generale fece uscire dalle prigioni molti cittadini incarcerati. Non era certo questo il primo intento del Grimaldi e di conseguenza della Repubblica, ma questa apparente benevolenza era dovuta al lavoro diplomatico segreto di Giovanni Battista Sardi (figlio dell'omonimo console) che a Vienna convinse l'Imperatore a minacciare l'intervento delle truppe del Re di Sardegna Vittorio Amedeo in soccorso di San Remo.
Il Comune da parte sua, interveniva con un volume di 453 pagine circa le « Ragioni della Magnifica Università di San Remo contro l'eccellentissima Camera rappresentate alla Serenissima Repubblica di Genova » (Giacopazzi, Piacenza 1730), redatto dall'avvocato Francesco Nicoli. L'aria che si respirava in quegli anni era di una palese diffidenza nei confroni di Genova.
4 - Sanremo ancora in mezzo alle guerre tra le Potenze Europee
Ancora una volta però, San Remo fu coinvolta in una guerra che non la riguardava direttamente perché nel 1745, essendo in corso la Guerra di Successione Austriaca, che riguardava le maggiori teste coronate d'Europa ed essendo Genova alleata con Spagna e Francia, la città fu bombardata dal mare questa volta dalla flotta Inglese al comando dell'Ammiraglio Rodney.
Quando si presentarono il 30 settembre nella rada, dopo i tentativi di mediazione dei sanremesi, alle ore 21 le 11 navi incominciarono a bombardare, proseguendo anche il giorno dopo avvicinandosi ancor più alla costa. La reazione, veramente poca, fu dovuta a qualche sparo di moschetto da parte di un piccolo gruppo di spagnoli che ebbe anche un morto.
Quando la flotta inglese lasciò lo speccchio d'acqua davanti a San Remo, in città i morti furono solo due, ma senz'altro peggio andò all'interno tra le valli Nervia e Roja.
Le truppe della coalizione Austro-Sarda, si stanziarono a Bordighera e da lì iniziarono una serie di saccheggi e violenze, pretendendo anche che San Remo contribuisse alla guerra con ingenti somme di denaro, tanto che nel 1748 dovendo versare 200.000 lire, gli abitanti che non erano in grado di pagare la loro quota venivano sottoposti al pignoramento dei beni, e financo messi in prigione se osavano protestare.
Riferisce Giuseppe Grossi: « Ci basti dire che per le nefandigie austro-sarde molti sanremesi vestiti di sacco andavano a visitare le chiese recitando il Salmo per impetrare il perdono delle colpe e le celesti misericordie! ».
Tirando le somme, quando la guerra finì con la Pace di Aquisgrana nel 1748 le truppe franco-ispaniche passarono per il Ponente quattro volte, tre volte quelle austro-sarde lasciando dietro di loro segni di distruzioni, come il Castello di Dolceacqua e il Forte San Paolo di Ventimiglia, di violenze e saccheggi tanto che la cronaca del Rossi conferma che « le campagne di Oxentina , Sieroso , piano di Taggia, li orti , vigne e campagne sino al di là di San Remo sono assassinate, e se ne sentiranno per molti anni ».
Periodi scuri stavano arrivando su San Remo a causa di Genova. Dopo la guerra di Successione Asburgica, l'Impero aveva perso molto del suo potere e sul trono imperiale c'era Maria Teresa. Nel 1746 un'insurrezione a Genova aveva costretto gli imperiali a lasciare la Città.
Inoltre la Repubblica, non certo contenta per le intromissioni nel Ponente dei Savoia, decise di inviare nel 1749 un nuovo commissario, Gio Battista Raggi, col compito di separare Coldirodi da Sanremo, con la scusa di di una ripartizione più equa della spese militari. In effetti lo scopo vero era quello di rafforzare il dominio sulla città. Nello stesso anno il Commissario cancellò ogni traccia dell'Impero, abbattendone le insegne e dichiarando finito il consolato.
Gli abitanti di Coldirodi presentarono nel 1752 una richiesta ufficiale al nuovo Commissario Giuseppe Doria per ottenere il distacco da San Remo motivandolo con presunte angherie tra le quali le troppe gabelle imposte e soprattutto la non presenza di loro nel Parlamento comunale. Naturalmente la Repubblica di Genova non aspettava altro e il 1 febbraio 1753 dichiarò « che gli uomini e comunità della Colla sieno e si intendano d'ora in appresso separati dalla Magnifica Comunità di San Remo ».
E' stata la scintilla che ha acceso le polveri.
(Fonti: dal libro “Sanremo, cuore e anima di una Città" op.cit.; immagini private e dal Web)
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