2 - Contese fra i Vescovi e Genova
Allo scopo di assicurarsi il dominio delle terre di San Romolo, il vescovo di Genova Corrado otteneva dall'omonimo conte di Ventimiglia la rinuncia ad alcuni dei suoi diritti più importanti, sia politici che finanziari, che lo steso godeva nei confronti del territorio di San Romolo e del vicino borgo di Ceriana. Nel documento del 1038, vi viene nominato il «... loci Sancti Romuli dicitur » (la prima citazione del nuovo nome della città avvenne nel documento del 979), segno che la nuova onomastica era entrata nell'uso corrente.
Con questa operazione il vescovo Corrado intese probabilmente trasformare i suoi terreni, posti nell'area sanremese, da proprietà personali in un vero e proprio dominio vescovile, sul quale esercitare una piena e indiscussa sovranità feudale.
E' evidente che fattori, come l'aumento delle attività agricole, della pastorizia, della popolazione stessa ed un miglioramento generale delle condizioni di vita, abbiano influito sulla sua decisione di incrementare la sua autorità su tutto il territorio. Inoltre, nel 1095, dunque pochi decenni dopo il primo accordo, un altro conte di Ventimiglia, Corrado III, confermò la rinuncia ai suoi diritti comitali sul territorio sanremese in favore del vescovo di Genova. In ogni caso, ancora all'inizio del XII secolo, nonostante queste considerevoli concessioni, la zona di Sanremo faceva ancora formalmente parte del comitato di Ventimiglia, allorquando si verificarono alcuni fatti nuovi nelle condizioni politiche ed economiche della società agricola e rurale intemelia e sanromolese.
Mentre il Vescovo di Genova acquisiva sempre più autorità nei confronti del territorio di San Romolo, anche grazie a sentanze a lui favorevoli nei confronti dei nuovi possidenti riluttanti a pagare le decime, altrettanto stava facendo Genova che, oltre ad aumentare la proria influenza sul Ponente, vedeva in San Romolo il punto ideale per la sua lotta contro la rivale Ventimiglia.
Infatti nel 1130 i genovesi occupavano militarmente San Romolo, vi costruivano una torre obbligando sia i Sanromolesi che gli abitanti di Baiardo, insieme al conte di Ventimiglia, a giurare fedeltà a Genova. Siccome per gli Intemeli, malgrado i trattati, era difficile abbassare il capo, per abbattere le loro resistenze i Genovesi agirono sul piano personale catturando i figli del Conte e liberandoli solo in caso di completa sottomissione da parte sua, e la rinuncia definitiva ai diritti su San Romolo.
Ormai tra Genova e Ventimiglia era guerra aperta ma tra il 1140 ed il 1262, data del trattato conclusivo di Aix, che segnò la fine politica ed economica della contea di Ventimiglia, Genova ebbe non poche difficoltà, vista la resistenza eroica dei Ventimigliesi. In questa guerra, quasi tutti i paesi costieri, compreso San Romolo parteggiarono per Genova che nel frattempo aveva potuto stipulare con loro convenzioni e alleanze.
Da parte dei Vescovi, Siro III, divenuto arcivescovo nel 1133, preoccupato dall'allargarsi di Genova, divenuta potente dopo la partecipazione alla prima crociata, cercò di riprendersi la propria supremazia, assumendo nel 1143 il titolo di Dominus et Comes, cioè di detentore del potere spirituale e temporale, e ribadì il diritto a nominare nei propri territori i visconti, i gastaldi e i consoli e ad amministrare la giustizia con proprie sentenze inappellabili. Nei confronti di San Romolo questa rivendicazione fu anche più marcata, poiché continuavano le opposizioni al pagamento delle decime; e sebbene l'arcivescovo riuscisse a vincere diverse cause, e fosse divenuto ufficialmente il tutor et defensor della città, i risultati pratici rimanevano scarsi. L'autorità ecclesiastica fu ristabilita almeno formalmente per un certo tempo, anche perché Genova allora era troppo impegnata nella guerra contro Ventimiglia.
Nel XII secolo, San Romolo, usufruendo dell'incremento economico avvenuto nel secolo precedente, era diventata una città per i suoi tempi prosperosa e per questo alimentava gli appetiti sia dei Vescovi, ma sopratutto quello di Genova. La città però, come sempre in tutto il corso dei secoli, lottava contro chiunque attentasse alla propria autonomia ed ai propri interessi. Vi erano nuovi modelli di organizzazioni sia amministrative che politiche.
Le neonate corporazioni e la genovese Compagna, inizialmente una sorta di associazione economica, ma poi trasformatasi in politica, furono quelle che influenzarono l'emancipazione della Città. La Compagna, nata a Genova aveva una ben definita struttura, formata da soci (compagni) dai 17 ai 70 anni, che formavano il parlamento guidati dai Consoli (già citati in un documento del 1110), che, per i cinque anni del loro mandato, amministravano la giustizia e comandavano l'esercito in caso di guerra. Il supremo magistrato era l'abate del popolo, mentre la città era rappresentata dal podestà.
Nel 1143 era costituita la Compagna politica di San Romolo copiando il modello genovese e resa obbligatoria a tutti gli uomini del territorio, nominati dall'arcivescovo.
Alla fine di quel secolo il parlamento si radunava, avvertito dal suono della campana del `cintraco', nella chiesa di Santo Stefano, mentre i consoli, nominati dall'arcivescovo, amministravano la giustizia nell'apposito locale del 'Capitolo', sito nell'omonima via della Pigna.
Il 16 ottobre 1199 venne stipulata una convenzione tra San Romolo e Genova, così come fecero quasi tutti i comuni del Ponente, che sanciva, in cambio della non menzione a Genova come padrona e quindi dando l'idea di un'apparente autonomia, una serie di doveri, come il fornire uomini e navi in caso di conflitti specie nei confronti di Ventimglia, limiti alla libera navigazione ponendo un limite oltre la Sardegna e Barcellona se non dopo essere passati da Genova, contributi alle sue spese, obbedire ai suoi divieti, non fare altre convenzioni, ed infine giurare fedeltà alla Compagna, giuramento rinnovato ogni cinque anni. Il piano dei genovesi era chiaro, cioè la totale sottomissione di Ventimiglia a Genova. La convenzione non era certo nelle aspettativa dei Sanromolesi, ma Genova era troppo potente e quindi si scelse il male minore.
Il dualismo del potere tra quello Genovese e il Vescovile, fece venire a galla nel 1216 il conflitto tra i due poteri con uno scontro diretto tra le due fazioni pro Arcivescovo e pro Genova, caratterizzato da reciproche vendette ed assassinii.
L'arcivescovo Ottone riuscì a ristabilire l'autorità, ottenendo il riconoscimento dei propri diritti. Tanto che nel 1221, vista la permanenza delle truppe genovesi per la guerra contro Ventimiglia, vi furono tumulti nel territorio di San Romolo con conseguenze di ritorsioni da parte genovese, fu invocato la protezione dell'Arcivescovo che molto volentieri si recò a San Romolo, accolto come un liberatore. Genova però non fu da meno e per ritorsione sequestrò tutte le rendite ecclesiastiche ed una pesante multa ai suoi abitanti.
A sua volta l'Arcivescovo dichiarò l'interdetto generale sulla città di Genova.
Nel suo piccolo, la cosa portò in evidenza quel conflitto caratteristico del Medio Evo, tra Guelfi (partigiani del papa) e Ghibellini (favorevoli all'imperatore), tanto che il conflitto di potere tra la Curia Vescovile e Genova, sfruttato abilmente da San Romolo, favorendo ora gli uni e ora gli altri, e curando i proprio interessi, suscitò l'interesse del Papa e dell'Imperatore. Nel 1223 i ribelli di San Romolo furono messi al bando dall'Impero, per cui due anni dopo, calmatasi la ribellione, fu giudicato più conveniente accettare le prerogative dell'Arcivescovo Ottone. L'importanza dell'apposito Documento del 6 maggio 1225 fu dovuta al fatto che i Consoli giurarono di osservare lealmente i capitoli della città di San Romolo, segno che erano già in vigore gli Statuti, soggetti tuttavia all'interpretazione dell'arcivescovo.
La Chiesa Genovese riuscì a conservare, dal 1230 alla fine del secolo, il governo della Città e tenere a bada il fervore della popolazione (nel 1251 l'arcivescovo nominò podestà Lanfranco Usodimare, incaricandolo di amministrare la giustizia e di riscuotere le multe), ma il malcontento verso il pagamento delle gabelle ed il riconoscimento dei diritti arcovescovili non cessò mai del tutto.
Nel 1292 saliva sulla cattedra arcivescovile genovese il domenicano Jacopo da Varagine, famoso predicatore e autore di opere storiche e religiose.
Esaminata la situazione ambigua di San Romolo e il caos che regnava anche tra i suoi vassalli che arrivarono, nel 1294, perfino a mettere all'asta le gabelle di pertinenza della Curia, da uomo saggio e raziocinante qual'era, chiese al Papa Bonifacio VIII l'autorizzazione a vendere terre e diritti su San Romolo e Ceriana.
L'esame della questione, fatta dai vescovi di Noli e Albenga, evidenziò che la distanza da Genova era tale da impedire un diretto e marcato controllo su quanto ivi succedeva per cui, visto che i benefici dovuti alla vendita erano maggiori dello status quo, Jacopo Da Varagine, l'8 gennaio 1297 vendette i castrum di San Romolo e Ceriana a Oberto Doria e Giorgio De Mari, per la somma di 13.000 lire genovesi.
Il territorio oggetto della vendita ai signori genovesi Doria e De Mari si estendeva dalla Madonna della Ruota, fra Bordighera e Ospedaletti, fino al corso del torrente Armea; la città si era ingrandita e vantava edifici di pregio, fra i quali la collegiata di San Siro, eretta in forme romanico-gotiche sull'esempio della cattedrale di Albenga, e il grandioso palazzo arcivescovile, costruito nel 1259 e ingrandito nel 1282, oltre al castello. La popolazione viveva di agricoltura, pesca, traffici marittimi.
I nuovi padroni provenivano da casate illustri. Oberto Doria, signore di Loano e conte di Dolceacqua e di Val Nervia, era l'ammiraglio che batté i Pisani nella battaglia navale della Meloria. Di Giorgio De Mari si sa poco; la sua famiglia partecipò limitatamente alle feroci dispute che insanguinavano le città fra le frazioni dei Guelfi (partigiani del papa) e dei Ghibellini (favorevoli all'imperatore), ma in effetti solo per la difesa dei loro interessi personali, e capeggiati rispettivamente dai Grimaldi, Fieschi e Vento (per i Guelfi) e dai Doria e dagli Spinola (per i Ghibellini).