8 - La guerra Partigiana a Sanremo e dintorni
Negli ultimi giorni di aprile si avvertiva l'imminenza della fine della guerra. Il giorno 23 i Tedeschi facevano saltare in aria i depositi di munizioni prima di ritirarsi, il 24 gli ultimi fuggiaschi sparavano a caso qualche colpo di mortaio, il 25 aprile 1945 la città veniva occupata dai partigiani.
Ma proprio mentre la gente si apprestava a festeggiare quel giorno memorabile, la sirena suonò per l'ultima volta.
Fra i partigiani scesi dalle montagne a San Remo c'era anche Italo Calvino, nel 1945 ventiduenne. Lasciamo alla sua magica penna il compito di rievocare quelle ore e di concludere così la sintesi della storia di San Remo:
« C'era stato un incendio in un bosco; ricordo la lunga fila dei partigiani che scende tra i pini bruciati, la cenere calda sotto la suola delle scarpe, i ceppi ancora incandescenti nella notte. Era una marcia diversa dalle altre quella del 1944, nostra vita di continui spostamenti notturni in quei boschi. Avevamo finalmente avuto l'ordine di scendere sulla nostra città, Sanremo; sapevamo che i tedeschi stavano ritirandosi dalla riviera; ma non sapevamo quali caposaldi erano ancora in mano loro. Erano giornate in cui tutto si stava muovendo e certo i nostri comandi erano informati d'ora in ora; ma qui io cerco di tenermi solo ai miei ricordi di semplice garibaldino che seguiva il suo distaccamento zoppicando per un ascesso a un piede (da quando il gelo aveva indurito e accartocciato il cuoio dei miei scarponi, i miei piedi avevano cominciato a piagarsi). Che la Germania fosse spacciata questa volta sembrava sicuro, ma di illusioni in quegli anni ce ne eravamo fatte tante e troppe volte eravamo stati delusi; così preferivamo non fare più pronostici.
Il fronte più vicino a noi — quello sul confine francese — non accennava a muoversi, da otto mesi, cioè da quando la Francia era liberata, sentivamo rombare a ovest i cannoni del fronte; da otto mesi la libertà era a pochi chilometri da noi, ma intanto la vita dei partigiani sulle Alpi Marittime era diventata sempre più dura perché, come retrovia del fronte, la nostra zona era di importanza vitale per i tedeschi che dovevano tenere ad ogni costo sgombre le strade; per questo non ci hanno mai dato tregua, né noi a loro; e per questo la nostra zona ha avuto una percentuale di caduti tra le più alte.
Anche in quelle settimane in cui c'era la primavera nell'aria (era però un aprile molto freddo) e la sensazione della vittoria imminente, restava quella incertezza che caratterizzava la nostra vita da tanti mesi. Ancora negli ultimi giorni i tedeschi erano venuti di sorpresa e avevamo avuto dei morti. Proprio pochi giorni prima andando di pattuglia era mancato poco che cascassi nelle loro mani.
L'ultimo accampamento del nostro reparto, se ricordo bene, era tra Montalto e Badalucco: già il fatto che fossimo scesi nella zona degli uliveti era il segno di una nuova stagione, dopo l'inverno nella zona dei castagni che voleva dire la fame. Ormai non sapevamo più ragionare altro che nei termini di ciò che era male o bene per la nostra sopravvivenza di partigiani, come se questa vita dovesse durare ancora chissà quanto. Le vallate tornavano a coprirsi di foglie e di cespugli, questo voleva dire maggiori possibilità di tenersi al coperto sotto il fuoco nemico, come in quella macchia di noccioli che ci aveva salvato la vita, a me e a mio fratello, una ventina di giorni prima, dopo un'azione sulla strada di Ceriana.
L'idea stessa che stesse per aprirsi una vita senza più raffiche, né rastrellamenti, né paura di essere presi e torturati, era inutile farsela venire in mente finché le nostre esistenze restavano appese a un filo. E anche dopo, venuta la pace, riabituare la mente a funzionare in un altro modo doveva prendere il suo tempo.
Mi pare che quella notte abbiamo dormito solo qualche ora, per l'ultima volta coricati per terra. Pensavo che l'indomani ci sarebbe stata battaglia per impadronirci della via Aurelia, i miei pensieri erano quelli della vigilia di un combattimento, più che quelli della liberazione imminente. Solo il mattino dopo, vedendo che la nostra discesa continuava senza soste, capimmo che la costa era già libera e che marciavamo direttamente su Sanremo (difatti dopo alcuni scontri di retroguardia con le formazioni gappiste cittadine, i tedeschi e i fascisti si erano ritirati verso Genova).
Ma, ancora quella mattina, la marina alleata si era presentata al largo di Sanremo e aveva cominciato il quotidiano bombardamento navale della città. Il C.L.N. cittadino aveva preso i poteri sotto le cannonate e come primo atto di governo aveva fatto scrivere a lettere enormi in vernice bianca 'zona liberata' sui muri di corso Imperatrice perché fosse visto dalle navi da guerra. Dalle parti di Poggio cominciammo a incontrare sul margine della strada la popolazione che veniva a vedere passare i partigiani e a farci festa. Ricordo che per primi vidi due uomini anziani col cappello in testa che venivano chiacchierando di fatti loro come in un giorno di festa qualsiasi; ma c'era un particolare che fino al giorno prima sarebbe stato inconcepibile: avevano dei garofani rossi all'occhiello. Nei giorni seguenti dovevo vedere migliaia di persone col garofano rosso all'occhiello, ma quelli erano i primi.
Posso senz'altro dire che quella sia stata per me la prima immagine della libertà nella vita civile, della libertà senza più il rischio della vita, che si presentava così con noncuranza, come fosse la cosa più naturale del mondo.
Approssimandoci man mano alla città aumentava la gente, le coccarde, i fiori, le ragazze, ma il riavvicinarmi a casa mi riportava il pensiero dei miei genitori che erano stati ostaggio delle SS e non sapevo se erano vivi o morti, come loro non sapevano se erano vivi o morti i loro figli.
Vedo che questi ricordi del giorno della Liberazione sono volti più verso il 'prima' che verso il 'dopo'. Ma così sono rimasti nella memoria, perché eravamo tutti presi da quello che avevamo vissuto, mentre il futuro non aveva ancora un volto, e non avremmo mai immaginato un futuro che avrebbe fatto sbiadire lentamente questi ricordi come è avvenuto in questi trent'anni ». (Italo Calvino, 25 aprile 1945-25 aprile 1985..., cit., pp. 7-8. L'articolo era stato scritto per rievocare il trentennale della Resistenza).
Il 1° gennaio 1945 venne varato il nuovo CLN circondariale di Sanremo. Nel gennaio 1945 il CLN di Sanremo si era anche fatto promotore della pubblicazione di un proprio organo ufficiale, “La Voce della Democrazia”, diretto dal dottor Luigi Ludovico Millo e condiretto dal giovane Italo Calvino.
Nel convegno di Beusi del 9 febbraio 1945 venne concessa al CLN di Sanremo l’autonomia operativa e la giurisdizione sulla zona compresa tra Santo Stefano al Mare e Ventimiglia.
Il 5 marzo 1945 i nazifascisti fucilarono, per rappresaglia, sedici partigiani nel giardino del castello Devachan.
Intanto si avvicinava anche per Sanremo il giorno della liberazione. Dopo lo sfondamento della linea gotica da parte delle truppe alleate, per tutta la giornata del 24 aprile si susseguirono i combattimenti in città tra partigiani e nazifascisti, che alla fine furono costretti ad arrendersi.
I rappresentanti del CLN avevano intanto occupato la sede del Comune, issandovi il tricolore e la bandiera rossa. Subito dopo lo stesso CLN nominava Adolfo Siffredi del Psiup primo sindaco della città dopo la Liberazione.
Il 1° maggio sfilarono per le vie della città i partigiani della V Brigata d’Assalto Garibaldi “Luigi Nuvoloni”, fatti segno ad entusiastiche accoglienze da parte della popolazione.
(fonti: libera elaborazione dei testi tratti dai libri: "Sanremo Cuore e Anima di una Città" di Enzo Bernardini; "Storia Tascabile di Sanremo" di Andrea Gandolfo; immagini provenienti da archivi privati)