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La rivoluzione del 1753 e le sue conseguenze

1 - La reazione sanremese contro la Repubblica di Genova

Naturalmente all'idea di dover rinunciare alla Colla fece infuriare non poco i Sanremesi che protestarono con Genova.
Stemma di Genova nel 1897
La Repubblica per tutta risposta inviò a Sanremo il suo cartografo ufficiale, il colonnello Matteo Vinzoni, perché disegnasse la divisione tra i due territori.
Il Vinzoni giunse il 6 giugno del 1753 e per il suo lavoro chiese l'aiuto di due deputati i quali Armati cittadinirisposero che la decisione spettava al Parlamento intero. Durante una ulteriore riunione alla presenza del Governatore Doria però, un nutrito gruppo di popolani fece irruzione nella sala chiedendo a gran voce la convocazione del Parlamento.
Quello che fece scoppiare la rivolta però, fu l'inconsulto intervento di militari armati ed un colpo d'archibugio sparato dal Palazzo del Commissario. A quel punto i popolani del gruppo, inferociti arrestarono e misero in prigione il Vinzoni, il Doria e la sua famiglia, chiamando a raccolta tutta la popolazione con i rintocchi del campanone di S.Siro e chiedendo quindi la convocazione del Parlamento.
La folla Famiglia Doria accorse ineggiando a "San Romolo" ed ai "Savoia".
Il Parlamento, convocato nella chiesa di San Germano il 7 giugno, deliberò di mandare a Torino tre nobili plenipotenziari ed un notaio per perorare la protezione del Re di Sardegna. La città, in previsione di una ritorsione genovese, si riorganizzò militarmente nominando un Magistrato di guerra e radunando uomini dotandoli delle armi acquistate allo scopo.

Purtroppo la reazione della Repubblica non si fece attendere ed andò ben oltre le peggiori aspettative.
Visto che la maggior parte Scena di guerradelle città costiere del Ponente non aderirono all'iniziativa sanremese, prima di tutto fece arrestare ed imprigionare tutti i cittadini sanremesi sparsi nella regione, quindi il 13 giugno, di mattina inviò Galee alla fondatre galee e del naviglio minore per un totale di circa un migliaio di armati, dei quali metà erano Corsi.
Il comandante era il generale Agostino Pinelli che naturalmente per prima cosa chiese la liberazione dei reclusi ma avutone un rifiuto, incominciò a cannoneggare la città per tutto il giorno e la mattina successiva.
Quindi all'alba del 14 incominciarono a sbarcare i soldati in due punti, una parte in zona Pietralunga ed i Corsi a Capo Nero dove ricevettero i rinforzi da parte degli armati della Colla.

Galee che sbarcano al portoLa città era circondata, purtuttavia quando un drappello di soldati si presentò davanti alla Porta dei Cappuccini, venne accolto da dei colpi di cannone che li fece retrocedere. Purtroppo i militari sanremesi erano disorganizzati, senza un comando ed un piano ben preciso per cui preferirono ritirarsi entro la cerchia muraria, lasciando quindi ai genovesi le parti strategiche della città.
I soldati Corsi nel frattempo avevano occupato il convento dei Nicoliti (l'attuale Don Orione) sulla collina sopra la Pigna, abbandonato dai difensori e quindi senza aver sparato un solo colpo.

Il Pinelli, visto che la situazione volgeva a suo favore, con la mediazione dei padri gesuiti Balbi e Curlo, tentò abilmente di proporre un accordo.
I rivoltosi avrebbero dovuto liberare i prigionieri e deporre le armi; il generale Pinelli prometteva « che la vita l'onore e la robba (dei sanremesi) potranno sperare nella clemenza del Trono Serenissimo ». Avrebbe inoltre fatto «ogni opera per accomodare la cosa e mitigare il castigo ». Padre Balbi dava conferma scritta su tali proposte. Il Pinelli, in caso contrario, minacciava di riprendere le ostilità « fino all'ultimo sterminio ».
I sanremesi, piuttosto indecisi sul da farsi e disorganizzati, accettarono ingenuamente l'accordo, fidandosi della parola dei gesuiti, e trasmisero il seguente messaggio: « Il popolo è pronto a condiscendere a quanto dessidera il Sig.r Comm.rio Gen.le; lo supplica però della sicurezza di ottenerle dal Ser.mo Trono la vita, l'honore, e la robba col generale indulto ».
(A margine di questo, visto poi come andarono le cose, fu comune dire che i gesuiti forono dei traditori, provocando una forte avversione nei loro confronti nei tempi successivi.)

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