Le attività per la cura dell'Igiene e della Sanità cittadine
Le pandemie ed i rimedi per farvi fronte
Tra il 1870 e il 1915 Sanremo aveva abbandonato la sua caratteristica di ordinario villaggio di provincia trasformandosi in cittadina turistica di fama internazionale.
Certo quella igienica era una delle principali questioni da risolvere per tutti i centri italiani all'indomani dell'unificazione del Regno d'Italia e Sanremo non faceva eccezione.
Nella relazione di presentazione della Legge Crispi sull'igiene e la sanità pubblica del 1888, nota come "Codice Sanitario Nazionale" che rendeva obbligario dotarsi, da parte delle Amministrazioni Comunali, di un Regolamento d'igiene, si legge che 6.400 comuni italiani mancavano anche dei più semplici tronchi fognari, in 1.148 non esisteva un servizio di nettezza urbana, in 1.350 i rifiuti urbani venivano raccolti semplicemente nei cortili, in 1.286 tutte le abitazioni erano prive di latrine, in 741 lo scolo delle acque luride era assicurato solo in caso di pioggia.
E vent'anni più tardi nonostante i risanamenti compiuti, la situazione appariva solo parzialmente migliorata.
Nella seconda metà del XIX° secolo, per le città, come per le stazioni climatologiche come Sanremo, quella igienico-sanitaria era una questione decisiva, la cui risoluzione non poteva essere rimandata né protratta nel tempo.
Ragione per cui, nei programmi delle varie Amministrazioni comunali, era da risolvere il problema delle misure da intraprendere per prevenire le malattie infettive che decimavano la popolazione e che infestavano l'Europa del XIX secolo.
Le più cruente erano il colera ed il vaiolo, ma causa di mortalità erano anche la tubercolosi, la sifilide, il morbillo, la scarlattina, la difterite, il tifo e la lebbra.
In quel tempo non esistevano strutture ospedaliere specialistiche capaci di affrontare questi tipi di pandemie, erano più che altro delle cure empiriche anche se i medici di allora si prodigavano al limite delle loro capacità.
La lebbra
Un discreto numero di lebbrosi, erano presenti a Sanremo già dal XVIII° secolo, probabilmente frutto dei traffici marittimi con l'Oriente o discendenti di ammalati sbarcati "in antiquo" da qualche vascello saraceno e, abbandonati sulle coste vicine, senza una fissa dimora, vaganti ed elemosinanti per le vie della città, erano uno spettacolo ben poco edificante.
Grazie al Re Carlo Alberto, di passaggio nel 1853 a Sanremo in occasione di un suo viaggio a Nizza, fu da lui elargita una cospicua somma per la modifica di una parte dell'ex Convento di San Nicola, nei pressi del Santuario della Costa, per adibirlo, grazie all'architetto piemontese Ernesto Camous, in lebbrosario, per ospitarvi e curarvi questi infelici.
In seguito, nel 1858, Vittorio Emanuele II, essendo diventato ormai insufficiente il vecchio ospedale napoleonico situato nel vecchio convento a fianco della chiesa degli Angeli (ex Distretto militare), fece destinare la rimanente parte dell'edificio a ospedale dandolo in consegna all'Ordine Mauriziano. Sanremo solo da quel momento ebbe un vero e proprio ospedale che sarebbe servito enormemente per gli eventi successivi.
A Sanremo, sin dagli anni venti, veniva eseguito un servizio di pulizia dell'abitato. Concesso in appalto a ditte private o gestito in economia dalla municipalità, questo servizio si riduceva allo "spazzamento" delle principali strade pubbliche. La sua efficienza lasciava però molto a desiderare, in ragione soprattutto del fondo sterrato delle vie urbane.
L'opera di "selciatura" e di "lastricamento" che a cominciare dagli anni sessanta fu portata avanti contribuì a migliorare le condizioni igieniche delle strade, che permasero comunque molto polverose.
Dopo la costruzione, nel 1828, dell'Acquedotto Carli voluto dal sindaco Carli, le più importanti vie pubbliche iniziarono così ad essere "annaffiate", anche se con molta parsimonia e troppo raramente, ma la modestia dell'approvvigionamento idrico cittadino non permetteva in quegli anni migliori prestazioni.
Da una relazione della Giunta Municipale al Consiglio Comunale del 31 maggio 1867 si legge che, « quand'anche l'Amministrazione v'abbia posto assidue cure e qualche cosa si sia ottenuto riguardo alla nettezza delle principali strade della Città, ciò nullameno non le è stato dato di procurare una consimile nettezza nelle parti montuose della stessa, né di far cessare gli inconvenienti che si lamentano quanto al trasporto delle immondezze, causa forse di ciò lo scarso numero delle Guardie Comunali e le inveterate poco lodevoli abitudini in proposito di gran parte di questa nostra popolazione ».
Le Malattie veneree
Per questo problema, nell'ambito degli Uffici Sanitari, esercitavano la loro professione i "medici visitatori", cui spettava il controllo sanitario della prostituzione.
L'8 luglio 1869 il Ministro dell'Interno si rivolge al Prefetto con questa inconsueta raccomandazione:
« Consta al sottoscritto che in taluni uffici sanitari i medici visitatori ammettono assistenti medici o studenti in medicina, o si valgono di supplenti volontari alla visita in caso di loro assenza. E' intendimento del Ministero che il servizio di visita delle prostitute sia fatto esclusivamente e personalmente dai medici visitatori, e senza intervento di estranei, altrimenti sarebbero inutili le guarentigie di concorso, di capacità e di moralità personale con cui si è circondato questo delicatissimo servizio. Nei casi poi nei quali fosse indispensabile far supplire un medico visitatore temporaneamente, per giustificata assenza o regolare congedo, i soli Prefetti devono provvedervi d'uffizio ».
Durante una seduta del Consiglio Comunale di Sanremo sono mosse critiche sul servizio dei due medici dell'Ufficio d'Igiene: il consigliere Gio.Bernardo Calvino accenna « al modo irregolare in cui vengono rilasciati i certificati di decesso, ossia le relazioni delle visite necroscopiche, constatando che, per i decessi che avvengono nelle campagne, si rilasciano bensì le relazioni di visita, ma le visite non si fanno; e le relazioni vengono quindi rilasciate in base alla semplice denuncia dei parenti del defunto, avvalorata tutt'al più dal concorso di due testi presi lì per lì; soggiungendo che qualche volta perfino, per togliersi più presto il morto di casa, nella denuncia lo si fa morire varie ore prima, di quella in cui spirò; il che costituisce certamente un fatto, un abuso, della massima gravità ».
La Giunta Municipale viene incaricata di dare in tempo utile la "disdetta" ai due medici attualmente in carica e di avanzare proposte per la ristrutturazione del servizio.
1 - Il Colera e il vaiolo
Negli anni a metà del XIX° secolo, Sanremo era stata presa di mira due volte dal colera, dapprima nel 1837 e poi nel 1854, una volta dal tifo nel 1846 e una volta da un'epidemia vaiolosa nel 1829, anni in cui si registrarono numerosi morti.
Sanremo era comunque uscita miracolosamente indenne dall'epidemia di colera asiatico che nel triennio 1865-67 aveva colpito duramente Marsiglia, Nizza e Genova.
Negli anni del decollo turistico della Riviera (vedi Storia del Turismo) il colera appariva ancora, tra le malattie ricorrenti, il più problematico, innestando infatti paurose spirali di morte e allo stesso tempo screditava sul piano igienico le città colpite, per le cause che si credeva lo producessero.
Erano ipotizzate due teorie sulle cause.
La prima riteneva che fossero i "miasmi" derivati da una cattiva pulizia, ed auspicava l'intervento municipali per mantenere la pulizia nelle case e nei cortili, ordinando la rimozione delle immondizie gettate nei prati e nelle strade, rendendo più efficace il servizio di nettezza urbana, lavando vie, canali di scolo e condotti fognari, distribuendo acqua a sufficienza, razionalizzando il sistema di evacuazione delle materie fecali.
La seconda, era più moderna e scientificamente più corretta e già parlava di piccoli organismi viventi che attaccavano l'uomo ammalandolo e rendendolo portatore della malattia. Gli infetti avevano la facoltà sia di contaminare sostanze sane, sia di contagiare direttamente altri individui, quindi ritenevano che per prevenire le epidemie bisognasse lavorare sul piano sanitario con l'isolamento delle persone colpite, la disinfezione delle case degli infetti, la distruzione delle derrate alimentari provenienti da luoghi colpiti da colera, il divieto di trasferimento di individui e cose durante i periodi di allarme.
Quando, negli anni ottanta, Koch isolò il bacino portatore, dimostrando la validità scientifica della teoria del contagio, le contrastanti posizioni delle due fazioni si ricomposero e si cominciò a riconoscere l'esistenza di due differenti forme della stessa malattia: quella comune e quella da contagio.
Tra il 1882 e il 1915, malgrado che, sia Koch che Pasteur, fautore della vaccinazione preventiva, avessero gettato le basi della teoria batteriologica delle malattie infettive, l'opinione pubblica, pur considerando ormai il contagio una possibile verità scientifica, continuava sostanzialmente a credere che tisi e colera fossero causati in primo luogo dalle cattive condizioni igieniche delle città dove in maggioranza scoppiavano.
Dal rapporto del "Vice Conservatore del Vaccino" del 1869 viene spiegato che « Jenner, col prodigioso suo ritrovato ci ha insegnato il mezzo di spuntare la falce alla morte, la quale col vaiolo mieteva vittime infinite; e se questo mezzo eminentemente utile e necessario alla pubblica incolumità fosse posto in pratica nei tempi indicati e prescritti dalla legge sulle vaccinazioni, non vedremmo più la Provincia di tratto in tratto inquinata dall'arabo e micidiale morbo.
Il quale se, dopo la pubblicazione di questa legge, non ha più potuto assumere proporzioni e caratteri di estesa e grave epidemia, vi ha pur sempre, quando vi si è introdotto, fatto qualche vittima.
Il vaccino che ho posto in corso è filiazione di quello scoperto nella Provincia in fine di luglio dell'anno passato: non ho ancora osservato rilevante modificazione nel suo andamento, nell'intensità dei suoi sintomi e della sua durata; e se qualche volta ha presentato qualche variazione nel suo aspetto fenomenale, ho sempre riconosciuto doversi questa attribuire esclusivamente alla costituzione ed indisposizione del vaccinato: si è anche riconosciuto che questo vaccino gode di maggior virtù di trasmissione di quello che è già passato per molte generazioni; se goda poi anche di maggior virtù di preservazione non so, lo dimostrerà il tempo ».
Una recrudescenza del morbo del vaiolo è segnalata nel 1872:
« Il Consiglio provinciale di Sanità, informato della comparsa del vaiolo arabo nella provincia ed in qualche località con proporzioni alquanto considerevoli, quantunque conscio che fortunatamente sia ora in diminuzione, ha tuttavia opinato che stante l'approssimarsi della stagione estiva e per talune condizioni locali fossero necessari i seguenti provvedimenti a tutela della sanità pubblica:
- non doversi ammettere alle scuole pubbliche o private quegli alunni che presentassero fresche le tracce di vaiolo recentemente sofferto o che avessero in casa individui vaiolosi;
- se qualche persona dimorante in qualcheduno degli accennati stabilimenti fosse colpita da vaiolo o potesse avere contatto col vaioloso doversi subito isolarla e trasportarla altrove, e quando ciò non fosse possibile doversi chiudere provvisoriamente la scuola dandone contemporaneamente avviso alla Prefettura ».
Nel 1873 il Dott. Raffaele Baratta di Pornassio scopre il vaccino originario nelle vacche sulle nostre alpi di Lote e di Tanarello: ma essendo la sua efficacia di durata non superiore alle 24 ore, viene raccomandato di segnalare eventuali bovini infetti nelle nostre campagne per ricavarne in minor tempo il vaccino.
Un ulteriore aumento dei casi di vaiolo si apprende nel 1881 per cui si raccomanda di evitare, per il trasporto in Ospedale delle persone colpite, l'uso sia di vetture pubbliche, sia delle ferrovie, per limitare il diffondersi della malattia.
Con una "Ordinanza di Sanità Pubblica" del 1890, pur costatando come il vaiolo sia in forte diminuzione, si dispone che tutte le persone che abitano in un corpo di fabbricato in cui si sia verificato un caso di vaiolo, siano obbligate a sottoporsi alla vaccinazione, indipendentemente dall'essere state già una volta vaccinate.
Le cose stanno andando meglio in tutto il Regno, ma essendosi nel 1894 verificati casi di vaiolo in alcune località della Francia prossime alla nostra frontiera, i Sindaci della provincia vengono invitati a « esercitare una attività di sorveglianza al riguardi e a adottare quelle misure preventive di cui una lunga pratica ha consacrato l'efficacia per impedire la diffusione di tale malattia ».
In provincia i 61 casi di vaiolo verificatisi nel 1894, scesero a 25 nell'anno seguente con 2 casi a Sanremo (provenienti da Monaco).
La maggior preoccupazione la destava il colera, che mieteva gran numero di vittime.
E' del 1870 un'ordinanza ministeriale in ordine ai provvedimenti contumaciali per le navi provenienti dal mare d'Azov, per lo sviluppo del colera a Tagaurog. Per le navi che non avessero scontata una regolare contumacia in Costantinopoli od in altro porto intermedio prima dell'arrivo, l'osservazione dei Sanitari poteva avvenire solamente nei porti o scali nei quali fosse possibile l'isolamento completo delle navi.
Tuttavia la comparsa ufficiale del colera in Italia è denunciata nel 1873 e tempestivo è l'allarme che il Prefetto lancia ai Sindaci:
« Come la S.V. Preg.ma avrà potuto conoscere dai giornali, ed è stato confermato da una comunicazione fatta, or sono pochi giorni, dalla Gazzetta Ufficiale del Regno, pare accertato che in qualche comune delle Provincie di Treviso e di Venezia si siano manifestati casi di Colera Asiatico.
Sebbene giovi sperare che il fatal morbo possa restare circoscritto in quei Comuni, e le condizioni sanitarie di questa Provincia siano eccellenti, non pertanto le Autorità tutte specialmente le Municipali ed i corpi consulenti preposti
dalle leggi alla tutela della sanità pubblica, devono raddoppiare la sorveglianza affinché in ogni località e specialmente nei centri più popolosi siano scrupolosamente osservate ed eseguite le prescrizioni tutte igieniche consigliate dalla scienza e dalla esperienza, allo scopo di impedire lo sviluppo di malattie epidemiche e contagiose.
Queste riguardano segnatamente la nettezza dei siti abitati, la temperata ventilazione delle abitazioni, ed in ispecie dei pubblici stabilimenti, lo smaltimento delle acque stagnanti, non che la salubrità de' commestibili posti pubblicamente in vendita e simili altre cautele.
Nel caso poi di fondato timore che la suddetta malattia potesse invadere anche questa Provincia, sarà cura della rappresentanza municipale di preparare ogni cosa occorrente sia per cura di poveri che fossero colpiti dalla malattia indicata, che per impedirne una maggiore diffusione e scemarne i disastrosi e terribili effetti. ».
Viene inoltre affisso un apposito manifesto, datato 26 luglio 1873:
Il 6 gennaio 1874 viene "accertata la cessazione del colera in tutto il territorio del Regno".
Dopo un decennio il Prefetto, con lettera dell'8 luglio 1883, scrive ai Sindaci:
« Non sarà ignorato dalle Signorie Loro come nel non lontano Egitto si sia manifestato il colera asiatico, e come pur troppo in quel paese vada il terribile morbo estendendosi ed aggravandosi sacrificando alla morte numerose vittime.
Le misure sanitarie che dal Governo del Re sono state prese, sono tali da rassicurare gli animi, ed è da sperare che basteranno a tener lontano dalla nostra Italia l'epidemica invasione.
Ciò nondimeno, e saviamente prevedendo anche per lontana ipotesi che il morbo possa estendersi a questi paesi, è necessario essere preparati perché, nel caso, l'epidemia possa essere più facilmente dominata e circoscritta ».
La lettera prosegue con le già note raccomandazioni sulle misure profilattiche da adottare.
Nello stesso anno seguono ulteriori avvertenze:
« Facendo seguito a precedente circolare debbo ricordare che l'epidemia per introdursi nei confini dello Stato, può prendere tanto la via di mare quanto quella di terra: difatti è sufficiente alle volte un panno, un cencio, un oggetto qualunque il quale contenga i germi del morbo letale, per farlo scoppiare nel paese dove l'oggetto viene importato.
Sono stati presi concerti col sig. Intendente di Finanza affinché le guardie doganali concorressero nella vigilanza sanitaria, e sono convinto che il concorso di quel Corpo sarà un valido aiuto a salvaguardarci dal colera.
Tuttavia poiché le precauzioni prese non possono essere mai troppe, è necessario che in quest'opera gli agenti della finanza siano aiutati efficacemente e concordemente dalle stesse popolazioni. Ora che è sospesa l'importazione di alcune merci a scopo sanitario, ora che i bastimenti in arrivo debbono sostenere quarantene di maggiore o minore durata secondo la loro provenienza, è prevedibile che l'introduzione clandestina di merci sarà su scala più vasta tentata, e forse con grave detrimento della pubblica salute ».
Il Consiglio Comunale, nella riunione del 9 agosto 1883, delibera urgenti ed importanti interventi di costruzione delle fognature, come richiesto dall'Autorità sanitaria, "anche in vista dei pericoli, onde è minacciata la salute pubblica nei paesi del Mediterraneo, stante la comparsa e l'infierire del colera in Egitto".
Nell'ottobre del 1883 una Ordinanza di sanità marittima, « accertato per notizie ufficiali che le condizioni sanitarie delle isole di Malta e di Cipro, della città di Smirne e di tutta la Siria si mantengono soddisfacenti, decreta che la quarantena ora in vigore per le navi di detta provenienza, giunte con traversata incolume, qualunque ne sia la durata, è da oggi ridotta a 24 ore; e che , constatato altresì il notevole miglioramento manifestatosi nelle condizioni sanitarie dell'Egitto e di tutti i porti al di là del canale di Suez, la quarantena delle navi da là provenienti sarà da oggi stabilita indistintamente in 10 giorni ».
L'ordinanza fu poi revocata il 24 marzo 1884.
Ma nello stesso anno il Prefetto comunica ai Sindaci:
« Sarà probabilmente a cognizione delle SS.LL. come nella vicina Francia, e precisamente nella città di Tolone, durante questi ultimi giorni si siano manifestati alcuni casi di una malattia che ha tutti i caratteri del colera asiatico e che come tale venne definita.
In vista di ciò il Governo del Re ha preso severe misure sanitarie tali da rassicurare gli animi ed è da sperare che le medesime basteranno a tener lontana dalla nostra Italia l'invasione del morbo.
Tuttavia prevedendo, come prudenza vuole, anche per lontana ipotesi che l'epidemia possa estendersi a questi paesi, è necessario essere preparati per potere all'uopo più facilmente dominarla e circoscriverla.
Dispongo per tanto che sia conveniente che i Sindaci pensino fin d'ora al locale in cui si potrebbe stabilire il lazzaretto per i colerosi, onde non essere presi alla sprovvista nel caso di invasione colerica ».
2- Tentativi di miglioramento dell'Igiene urbana
Se Sanremo voleva avere un futuro come stazione climatica, dunque, doveva innanzitutto prevenire il pericolo di epidemie, migliorando l'igiene e procedendo quindi con le vaccinazioni.
Un'ulteriore spinta a questo furono i numerosi fallimenti avvenuti a Nizza per l'assenza dei turisti a causa dell'epidemia di colera.
I turisti, provenienti da luoghi lontani e con viaggi magari onerosi, quando arrivavano volevano trovare dei luoghi dove curarsi, non per ammalarsi. Non era pensabile che i facoltosi turisti provenienti dal nord fossero disposti a passeggiare tra mucchi d'immondizie o "ripugnantissime e nauseabonde esalazioni" provenienti da pozzi neri o scarichi fogniari a cielo aperto.
D'altronde, anche se non colpiti particolarmente da tutto questo, avrebbero preteso una maggiore pulizia urbana, e soprattutto acqua corrente a sufficienza.
Nel 1871, quando la colonia straniera cominciò a prendere una certa consistenza, in virtù dei provvedimenti riguardanti la pulizia, malgrado che le condizioni delle strade urbane più frequentate potevano considerarsi soddisfacenti, le lagnanze non mancavano, prendendo generalmente la forma di lettere inviate a periodici locali, e riguardavano quasi esclusivamente la situazione delle zone collinari, delle strade secondarie, di quelle private, dei cortili interni agli stabili.
Nella seconda metà degli anni sessanta venne istituita una Commissione di Sanità, a cui fu affidata una "Relazione sullo stato igienico di San Remo", i cui membri duravano in carica quattro anni, e la cui funzione era quella di presentare alla giunta le misure da approvare nell'interesse dell'igiene urbana.
La relazione dei membri della commissione di sanità, incaricati dell'ispezione, esordiva in questo modo:
«...se è voce generale che nella parte alta la pulizia sia poco curata, i riferenti ebbero invece a persuadersi che il male trovasi al contrario molto più forte nella parte bassa della città, dove a dir vero, giudicando dalle strade frequentate che son quotidianamente spazzate, si sarebbe propensi a dar fede alla volgare credenza; ma se poi, come fecero i sottoscritti, si va ad addentrarsi in certi viottoli, chintagne, ed intercapedini comunemente esistenti dietro le case verso i giardini, vi è da restare stomacati tanto è l'immondizia ivi accumulata; e fa meraviglia come gli abitanti nelle case che vegliano su quegli immondi ricettacoli di sozzure, si adattino, senza muovere lagnanze, a respirare le fetidissime esalazioni, e che anzi col gettito continuo di ogni avanzo di casa liquido e solido, alimentino colla massima indifferenza tale fonte di miasmi, tanto da far credere che abbiano ormai perduto il senso dell'olfatto ».
La relazione conteneva un elenco dettagliato dei luoghi dove bisognava urgentemente intervenire per evitare il pericolo di epidemie e per non lasciar stomacati i villeggianti e un prontuario dei tipi di interventi che si ritenevano più opportuni.
Uno dei casi, tra i tanti simili, che gli ispettori sanitari segnalavano, riguardava il centralissimo e monumentale palazzo della Dogana, dietro al quale,
«...vi è pure un'intercapedine senza sfogo e piena d'immondizie, ma ivi quello che più ripugna e che richiede un pronto riparo, si è, un camerino al pian terreno con porta aperta lateralmente alla trattoria del Vapore, nel quale hanno sfogo le doccie di tutti i cessi del palazzo, a tal punto che si vedono in detto camerino gli escrementi naturali dell'altezza di oltre un metro, e che per l'agitazione continua prodotta dalle materie che cadono dall'alto dei doccioni, mandano un fetore da asfissiare».
Un altro caso di diversa natura ma di eguale gravità concerneva:
«...il beodo che passa nella chintagna, ed il passaggio di tal nome, che sono cose orribili a vedersi, massime dietro il macello di Viale Giovanni, dove è stagnante tale quantità di acqua putrida frammista a sangue di macello da far ribrezzo anche all'uomo più indifferente».
Nell'agosto 1871 giunsero al sindaco Corradi i risultati di questa indagine, che egli stesso aveva sollecitato e che danno una nitida immagine delle condizioni di Sanremo all'inizio della sua storia turistica e quindi, fu per cambiare questo status sanitario che anche le amministrazioni comunali successive si impegnarono in un'ampia gamma di misure correttive.
Negli anni settanta così si intervenne molto sui casi specifici, segnalati di volta in volta dagli ispettori sanitari, mentre sul piano generale si cominciò a dotare la città di orinatoi pubblici.
Nel 1883, ancor prima della legge Crispi del 1888 (già citata), la città di San Remo approvò il Regolamento d'igiene, aggiornato nel 1893 e sostituito nel 1901 dal Regolamento per l'igiene del suolo e dell'abitato della città di San Remo, a sua volta modificato nel 1909, nel 1911 e nel 1913, basandosi sulle nuove leggi comunali e provinciali e ministeriali, con i quali venivano stabiliti i criteri generali a cui i vari regolamenti locali avrebbero dovuto attenersi.
I vari regolamenti d'igiene sanremesi, pur non differenziandosi molto l'uno dall'altro, proibivano qualsiasi opera che mettesse in pericolo il naturale deflusso delle acque piovane, per le quali esistevano lungo le vie canali di scolo; vietavano lo sbocco nei torrenti, nel mare o nei canali bianchi del contenuto delle latrine e delle acque immonde; imponevano la pavimentazione di tutte le strade urbane con materiali impermeabili; stabilivano norme per il rilascio del certificato di abitabilità delle case; concedevano al sindaco la facoltà di ritirare l'abitabilità agli appartamenti considerati insalubri; prescrivevano la pavimentazione dei cortili, che dovevano sempre essere lasciati sgombri da immondizie; rendevano obbligatorie le latrine nelle case; regolamentavano i sistemi di raccoglimento delle materie fecali e delle acque luride; ancora proibivano le stalle e i depositi di letame e immondizie nell'abitato. Infine contenevano disposizioni per le condotte d'acqua potabile, per i pozzi, per i cassoni e le cisterne di raccolta e per i lavatoi.
Nella seconda metà degli anni ottanta e nel corso del successivo decennio si istituì un Ufficio d'Igiene, vennero varate disposizioni per la macellazione delle carni, fu realizzata una rete di bocche per la lavatura delle strade, vennero costruiti moderni gabinetti e fu finalmente ultimato il Mattatoio di Valle Armea, fuori città.
Nel gennaio del 1884 il dottor Warlomont, direttore dell'Istituto Oftalmico Internazionale con sede in Sanremo, scrive al Sindaco una lettera con la quale egli, « animato dal desiderio di contribuire al benessere e incremento di questa Città, comunica al Consiglio un frammento o capitolo di un libro, che va ad essere pubblicato prossimamente a Parigi e Bruxelles col titolo "Ou faut-il passer ses hivers?" (Dove bisogna passare il proprio inverno?), il quale frammento tratta della salubrità delle abitazioni in rapporto alla trasmissibilità ed infettività della tubercolosi, e contiene varie proposte per provvedere convenientemente alla salubrità medesima ».
Intanto però le varie Amministrazioni, sia comunali che provinciali raccomandavano spesso di tenere alta la guardia sui pericoli di contagi, specie colerico e vaioloso, che circolavano ancora in varie parti del Paese.
Nel novembre del 1884 viene comunicato che il colera è scomparso da ogni parte del Regno, meno pochi casi.
Tuttavia, nella seduta del 28 giugno 1884 il Consiglio delibera in via d'urgenza, "in vista del pericolo d'una invasione colerica", di autorizzare il Sindaco ad emanare tutti i provvedimenti e fare tutte le opere occorrenti nell'interesse ed a tutela della salute pubblica.
Nel 1885 però, il colera si manifesta a Marsiglia ed immediatamente viene attivata su tutte le principali vie di comunicazione ai confini fra l'Italia e la Francia una rigorosa visita medica delle persone che si presentano per entrare nel Regno, e dei loro bagagli.
Il Ministro dell'Interno dispone che:
«- ogni treno ferroviario in percorrenza da Ventimiglia a Savona dovrà avere un vagone speciale con latrina destinato al ricovero ed alla cura dei viaggiatori che durante il viaggio fossero colpiti da malattia sospetta;
- detto vagone verrà scortato da sufficiente personale sanitario e fornito di medicinali, disinfettanti e di tutto l'occorrente per la cura dei malati;
- i malati ricoverati nel vagone ospedale saranno deposti alla più vicina stazione, provveduta di adatti locali per riceverli in isolamento;
- quando occorra depositare in un Comune un viaggiatore colpito da malattia sospetta dovrà esserne preventivamente avvertita l'Autorità Municipale per cura del Capo stazione, onde concertare colla medesima le cautele con cui deve farsi il trasporto dei malati nei locali destinati per la cura».
Sono del 1885 alcune raccomandazioni che il Prefetto rivolge ai Sindaci:
« Si avvicina la stagione estiva, la stagione che più è propizia allo sviluppo delle malattie epidemiche. E siccome nessun sintomo accenni al ritorno nel paese del morbo che sventuratamente infierì nell'anno scorso, tuttavia non si può disconoscere la necessità di adottare rimedi preventivi atti ad impedire il generarsi e il diffondersi di qualsiasi malattia infettiva, e specialmente di provvedere per rimuovere ogni fomite d'infezione facendo mantenere la massima pulizia nelle vie, nelle piazze, nelle scuole e negli altri luoghi pubblici, come pure nell'interno delle abitazioni private e nelle loro adiacenze.
Conviene anche che, oltre la sorveglianza attribuita dalla legge all'autorità comunale, che deve essere rigorosissima, sulla qualità dei commestibili e delle bevande poste in vendita, e sulla salubrità delle acque potabili, i rappresentanti comunali si adoperino per far comprendere ai loro concittadini che per essere bene in salute e trovarsi quindi in grado di resistere all'assalto delle malattie, fa anche d'uopo curare la nettezza della persona, adottare una nutrizione sana, evitare i disordini d'ogni genere e durante l'estate moderarsi nell'uso della frutta.
Di più non basta soddisfare alle esigenze del presente, bisogna occuparsi anche dell'avvenire, cioè procurare che l'osservanza delle indicate regole igieniche entrino nelle abitudini delle popolazioni affinché le nuove generazioni crescano sane e robuste e possano così migliorare le loro condizioni sì morali che materiali, essendo provato che lo sviluppo della intelligenza suole camminare di pari passo con lo sviluppo e rinvigorimento del corpo.
Ed a chiamare in modo speciale su ciò l'attenzione delle amministrazioni comunali sono indotto dal fatto doloroso che in questa Provincia, pur tanto favorita dalla natura, non sono pochi i giovani che in occasione della leva vengono dichiarati inabili al servizio militare per difetto appunto di sviluppo fisico ».
Ma nel 1886 l'epidemia si diffonde in tutto il Regno ed il Prefetto comunica al Sindaco che « il Municipio di Roma, al quale l'Augusta Maestà del Re, commossa all'annunzio delle gravi sciagure che l'epidemia colerica diffondeva tra il suo popolo, commetteva il nobilissimo mandato di raccogliere dalla carità di tutta la nazione copiose offerte per soccorrere a tante miserie e lenire così acuti dolori, si rivolge per mezzo mio ai corpi morali di questa provincia al fine di ottenere il loro generoso aiuto.
Nel dare di ciò notizia alla S. V. La prego di voler darne partecipazione a codesto Consiglio Comunale, con invito a votare, nei limiti della possibilità delle finanze comunali, un soccorso a favore dei colpiti dal flagello.
La interesso poi a voler rivolgere analogo invito agli Enti morali esistenti in codesto Comune che hanno per obbiettivo la beneficenza, il risparmio, il mutuo soccorso, la previdenza, e a stimolare alla nobile impresa tutte le società patriottiche e sodalizi di mutuo soccorso, professionali, o di ricreazione ecc., perché destinino ad incremento dei fondi della carità qualche loro offerta collettiva o personale, e ad esempio di tutti là dove è possibile aprano sottoscrizioni nei giornali e promuovano espedienti, come lotterie pubbliche, tombole, regate, spettacoli teatrali, rappresentazioni musicali, concerti, serate di ricreazione a pagamento, apposizione di urne elemosiniere in luoghi pubblici per raccogliere l'obolo della beneficenza, ecc. ».
Dopo avere colpito più di 50.000 persone, con oltre 2.000 morti, l'anno seguente il morbo si placò.
In previsione della stagione estiva del 1887 scrive il Prefetto:
« Le condizioni sanitarie del Regno volgono soddisfacenti, e tutto fa credere che il presente stato di incolumità possa continuare durevole.
Ma una tale speranza non deve trattenere le autorità preposte alla tutela della salute pubblica dal tentare tutti i mezzi valevoli a scongiurare prima che sopravvenga la stagione estiva ogni anche lontana possibilità dì pericolo, sia nei comuni che nel decorso anno furono più o meno infestati dal colera, sia in tutti gli altri ».
L'anno 1887 fu anche l'anno del terremoto che devastò interi comuni della Provincia e il 20 luglio il Prefetto ribadisce:
« Ora che il caldo è nel suo pieno sviluppo, e pur troppo favorevole alla manifestazione delle malattie epidemiche, è più che mai necessario che i signori Sindaci pongano ogni loro opra nella cura dell'igiene pubblica, specialmente ìn quei Comuni la cui popolazione vive nelle baracche.
L'esperienza di questi ultimi anni, nei quali le epidemie si succedettero, ora in un punto, ora in un altro del Regno, dimostrò chìaramente che la pulizia è uno dei più efficaci preservativi delle malattie, specialmente di quelle di natura diffusiva.
Perciò ritengo opportuno, quantunque le condizioni sanitarie della nostra Provincia siano soddisfacenti, raccomandare caldamente la nettezza delle strade e piazze pubbliche, specialmente dove sono ammucchiate ancora macerie, disporne l'immediato sgombro, o almeno la disinfezione con cloruro di calce, sciolto nell'acqua, come pure dei cessi pubblici e privati, e soprattutto di quelli degli alberghi e dei pubblici esercizi, per mezzo dei quali potrebbero facilmente essere propagate dai viaggiatori malattie contagiose. Ordineranno anche l'immediata rimozione dei depositi di letame e concime di qualsiasi natura, che si trovano nell'abitato od in prossimità delle piazze e strade pubbliche.
In quei comuni poi dove la popolazione o parte dí essa vive nelle baracche si raccomanda maggiormente l'esecuzione dei suaccennati suggerimenti, praticando di frequente la pulizia e la disinfezione delle baracche, ed evitando gli agglomerati di persone in luoghi rinchiusi, onde la respirazione non si renda difficile e perniciosa ».
Seguì un periodo di relativa tranquillità di contagio, finché nel 1892 il Ministro Giolitti scrive:
« L'estendersi minaccioso dell'epidemia colerica in Stati col nostro confinanti o col nostro in continui e importanti rapporti commerciali, rende imperioso per tutte le autorità sanitarie provinciali e comunali, di coadiuvare, colla loro più scrupolosa vigilanza, l'opera del Governo, nell'intento di impedire che la temuta infezione riesca a farsi strada in paese e, nel caso disgraziato ciò avvenisse, di provvedere che non trovi fra le nostre popolazioni facilità di attecchire e diffondersi, che anzi vi siano subito soffocati gli eventuali primi focolai della malattia ».
Alla circolare vengono allegate dettagliate istruzioni per prevenire lo sviluppo e la diffusione del colera.
L'anno dopo aumentano i casi di colera nel sud della Francia e si intensificano i controlli sanitari di frontiera: ciò non evita che si verificassero 10 casi nella Provincia di Porto Maurizio.
Nel frattempo, nel corso della riunione consiliare del 22 ottobre 1889 il Sindaco riferisce sul servizio di pulizia della Città, dicendo che « vi si provvede "con donne a giornata", per cura della Giunta e col mezzo della Polizia Urbana ».
Si verifica, è vero, l'inconveniente dei mucchi della spazzatura che a tarda sera si deposita lungo le vie da quelle famiglie che non hanno modo di esportarla; ma vi sono difficoltà per provvedere più convenientemente.
Del resto le immondizie sono raccolte in luoghi appositi, dai quali vengono tolte da un carrettiere il quale, per qualche tempo, pagò al Comune £.1 in ragione d'ogni giornata.
Ora sarebbe da trovarsi un mezzo per meglio provvedere; forse farebbe all'uopo un carretto con campanello come si usa in altre primarie Città.
Il consigliere cav. ing. Ernesto Marsaglia « suggerisce il mezzo dei depositi in opportuni locali nell'interno delle case. Oppure, secondo lui si potrebbe obbligare gli spazzini a ritirare le spazzature direttamente dalle famiglie, senza obbligarle a pagare alcun corrispettivo.
Dicendo quest'ultimo mezzo usato nella Città di Genova, il consigliere avv. Vincenzo Manuel Gismondi lo raccomanda all'attenzione della Giunta che "Di buon grado si accette così fatta raccomandazione dal Sindaco ».
Nel 1890 il Consiglio comunale delibera la costruzione, nell'alveo del torrente S. Romolo, di una tratto di fognatura in muratura tra la piazza del Mercato ed il ponte della ferrovia, e con la posa di una tubazione in ghisa dal detto ponte al mare, nel quale il tubo stesso si internerà per 20 metri.
Lo stesso anno si delibera di costruire un forno disinfettante col metodo del vapore surriscaldato, con il quale "è possibile compiere in un giorno la disinfezione di 50 letti completi".
L'impianto sorgerà "nell'area di terreno posta a ponente del forte in vicinanza al mare."
Nella seduta consiliare del 26 ottobre 1891 il consigliere cav. avv. Vincenzo Manuel-Gismondi, nel trattare delle spese di bilancio, propone « un conveniente aumento a fine di migliorare la paga giornaliera delle spazzine pubbliche ». Constata che esse sono di sovente costrette a ricorrere alla beneficenza pubblica; « che compiono un lavoro penoso e non scevro da malanni ».
Il Presidente, Sindaco Alessandro Escoffier, reputa giusta la proposta, la paga delle spazzine essendo veramente tenue. « se non che è da osservarsi che ciò appunto serve loro di scusa per ricorrere al Comitato di beneficenza. Inoltre è da osservarsi che il loro lavoro giornaliero si limita alle prime ore del mattino ed a quelle della sera, onde hanno modo di guadagnare alcun che con altri servizi ch'esse possono fare per proprio conto. Così pure è da tener presente che l'Amministrazione comunale, di preferenza ed occorrendone il bisogno, impiega le spazzine in altri lavori retribuiti a parte ». Conclude dichiarando che se anche si corrispondesse loro una somma più elevata, non si avrebbe un servizio né maggiore, né migliore.
Pur lasciando com'è lo stanziamento proposto, il consigliere Augusto Mombello crede conveniente che la Giunta studi e risolva la questione, « non essendo di decoro per il Comune che si abbia da dire come esso tenga al suo servizio persone poco retribuite. Raccomanda poi alla stessa Giunta di provvedere all'acquisto di una macchinetta per la spazzatura delle strade ».
Nella seduta consiliare del 27 agosto 1900 il consigliere geom. Paolo Eugenio Carbonetto svolge brevemente la proposta, fatta alcun tempo addietro, « per l'acquisto di un scopatrice meccanica trainata da cavalli, ed accenna ai vantaggi del sistema adottato altrove, con risparmio della spesa nel servizio di pulizia delle strade e degli altri spazi pubblici.
In questo proposito l'assessore ing. Antonio Tornatore riferisce avere la Giunta già da tempo compiuto gli studi opportuni per la scelta d'un idoneo sistema di scopatrice, e fatto le pratiche relative all'acquisto della macchina ed al suo prezzo.
Fa quindi conoscere avere aperto trattative colla Ditta industriale Gola & Canelli di Milano, la quale si obbligherebbe a fornire una scopatrice Barrows ad un cavallo, al prezzo di £. 1.150.
L'esponente descrive la forma ed il funzionamento dell'apparecchio; dimostra i vantaggi che si conseguirebbero, e propone che se ne faccia l'acquisto. Riconoscendo la convenienza della proposta, il Consiglio, senza discutere e di pieno accordo, l'approva.
Nel 1894 l'Ufficio d'Igiene viene fornito degli apparecchi necessari per effettuare l'esame chimico delle derrate alimentari.
L'anno dopo si provvede ad un « miglior sistema di lavatoi pubblici, con visioni in più truogoli, al fine di evitare la lavatura dei panni che, al presente, fa in comunione, col possibile danno di comunicare certe gravi malattie" ».
Viene aumentato, nel bilancio di previsione del 1898, lo stanziamento di spesa di £.1.423 per il mantenimento dei lebbrosi di Sanremo.
Nell'anno 1900 il Consiglio del 24 agosto approva l'inserimento nel Regolamento d'igiene, del seguente nuovo articolo: « Nel perimetro della Città, che si estende dal mare all'altezza del Santuario dell'Assunta, e dal torrente Val d'olivi al torrente Bernardo, è vietato di sbattere, per ispolverarli, i tappeti e gli altri oggetti d'arredamento delle locande, ville e case d'abitazione, tranne in quelle località che verranno di volta in volta designate dal Sindaco, sentito il parere, per iscritto, dell'Ufficiale sanitario ».
Agli inizi del nuovo secolo le condizioni della città potevano a ragione ritenersi molto migliorate. Le misure adottate dal consiglio, le sanzioni amministrative varate dalla giunta, le azioni del corpo di polizia urbana, nonché un'evoluzione delle abitudini igieniche dei sanremesi avevano fatto scomparire le immondizie anche dai cortili e dalle strade secondarie.
La Sanremo della Belle Époque era ormai una stazione turistica d'avanguardia, in cui lo "spazzamento" delle vie era in gran parte meccanicizzato e in cui il servizio di "annaffiamento" delle strade era puntuale ed efficiente, grazie alla quantità d'acqua potabile ora disponibile grazie al nuovo Acquedotto Marsaglia. Questo versante della questione igienica era stato insomma parzialmente risolto.
Diciamo parzialmente perché la parte salubre della città era solo quella formata dai quartieri residenziali periferici e dal centro direzionale della piana, mentre invece nella città "vecchia" le condizioni igieniche erano rimaste quelle di due decenni prima, con i suoi edifici malsani come nei suoi vicoli maleodoranti. Questa era la vera questione: i problemi non venivano presi in considerazione dalle amministrazioni che si succedevano, in funzione della loro gravità assoluta, ma solo in ragione del fatto che potevano recare danno allo sviluppo del turismo.
Circa la questione igienica era sempre attuale l'organizzazione del sistema sanitario per la prevenzione della malattie infettive. Successivamente alla metà del secolo in avanti, si misero a punto delle misure d'emergenza che sarebbero dovute entrare in vigore ogni qualvolta si fosse prodotto un allarme e ancora si elesse un ispettore sanitario addetto al controllo delle sostanze alimentari, si organizzò un servizio necroscopico, si riorganizzò il sistema sanitario e si creò un servizio sanitario notturno.
Quando i risultati della scoperta di Koch si erano ormai diffusi, e soprattutto dopo che in Sanremo venne pubblicata una statistica dell'ispettore sanitario — secondo il quale la percentuale dei morti per tubercolosi sul totale dei decessi del comune era passata da una inconsistente percentuale del 1870, al 9,5% del 1875, al 12,4% del 1884, al 18,0% del 1889, al 30,0% del 1890 — il problema del contagio fu affrontato con ben altra determinazione e con ben altra paura.
A Sanremo fino a quel momento era stato il colera a essere maggiormente temuto, ma da quel decennio in poi, a causa del fatto che la città ospitava un grande numero di tisici, ora improvvisamente scoperti contagiosi, sarà la tubercolosi a costituire una specie di incubo collettivo.
Le statistiche mediche dimostravano che il morbo si stava diffondendo tra la popolazione locale e Sanremo rischiava di essere vista all'estero non più come centro di terapia climatologica, ma come un grande sanatorio per tisici.
Questo avrebbe potuto comportare l'esclusione della cittadina ligure dal grande circuito turistico e di conseguenza avrebbe potuto causare il crollo dell'economia locale. E a tutto ciò faceva pensare il drastico calo delle presenze dei villeggianti che si verificò negli anni novanta.
L'amministrazione comunale era chiamata ad agire e ad agire in fretta. E così, sempre nello stesso decennio, venne istituito un servizio per la cura delle malattie infettive contagiose, a vantaggio della popolazione residente; fu studiato e realizzato il progetto di un forno a vapore per la disinfezione, a cui poi fece seguito l'organizzazione di un servizio disinfezione a domicilio.
Infine, il Mauriziano, già adibito a lazzaretto, fu trasformato in ospedale vero e proprio, e fornito anch'esso di un particolare apparecchio per la disinfezione, oltre a tutta una serie di apparecchiatura moderne delll'epoca. Per favorire la costante presenza del personale medico, nel 1895, fu costruito un edificio per ospitarli e che fu in seguito chiamato "La Casa dei Dottori"
«...which takes in the contagius hotels and pensions as well as the other who are without any proper attention. They get the best attendance possible under the superintendence of two appointed physicians. is provided with a grand apparatus for disinfection and in all cases, when a room has been infected, this as well as the forniture undergo an energetic disinfection». (...che accoglie gli alberghi e le pensioni contagiose e gli altri che sono privi di qualsiasi attenzione adeguata. Essi ricevono la migliore assistenza possibile sotto la supervisione di due medici nominati, è dotato di un grande apparato di disinfezione e in tutti i casi, quando una stanza è stata infettata, questa così come l'arredamento subiscono un'energica disinfezione.)
Lo scopo del servizio di disinfezione, che fu la misura più importante ed efficace presa dall'amministrazione, era quello di sterilizzare le stanze degli alberghi e delle ville dove avevano alloggiato clienti tubercolotici e di disinfettare altresì gli oggetti che potevano essere stati contaminati dai batteri, bruciando invece tutto ciò che, come le sostanze alimentari, non poteva essere sterilizzato. Il servizio era obbligatorio e spettava agli albergatori e ai locatari richiedere e pagare l'intervento. In caso di inadempienze si rischiavano forti multe e il ritiro della licenza.
L'isteria che colpì molti in quegli anni fece sì che dalle colonne dei giornali venissero continuamente invocate nuove misure cautelative, le più astruse. Vi fu chi, quando si credeva ancora che fosse lo sputo dei tisici a propagare i germi, chiese che tutti i locali pubblici venissero forniti di sputacchiere a chiusura ermetica da disinfettarsi quotidianamente; vi fu chi invocò la creazione di locali e passeggiate riservate ai tubercolotici; vi fu infine chi insistette perché venisse inserito nel regolamento di polizia urbana il divieto per i tisici di sputare per terra.
In un simile clima trovò una forte opposizione la decisione favorevole che il consiglio comunale -- a maggioranza socialista -- prese nel 1903 riguardo alla proposta di istituire un sanatorio di grandi dimensioni per la cura della tubercolosi.
Il turismo aveva già cominciato a modificarsi in senso moderno. Sul finire del secolo, i turisti che arrivavano per imprescindibili motivi di salute erano ridotti a una minoranza e quando si presentò per la prima volta la questione del sanatorio furono gli stessi membri delle colonie inglese, francese e tedesca ad inoltrare proteste, minacciando di non ritornare più a Sanremo qualora la città fosse stata trasformata in un "foyer d'infection".
Nel nuovo secolo l'amministrazione continuò la sua lotta contro le malattie infettive. Furono, a questo scopo, costruiti locali per l'isolamento dei sospetti contagiati, fu riordinato l'intero servizio sanitario per favorire la cura degli infetti, fu fondato un gabinetto per le analisi cliniche.
Prima della grande guerra i progetti da realizzare per combattere le malattie contagiose erano ancora molti.
Nel 1913 si legge sul Resoconto della Giunta Municipale di San Remo:
«I locali di isolamento per le malattie infettive non sono più atti allo scopo... Tale necessità di nuovi adeguati locali per le malattie infettive fu sentita specialmente nella Colonia Inglese, la quale si è proposta di costruire, a proprie spese, un piccolo Ospedaletto di isolamento... Ma poiché l'Ospedaletto Inglese non è capace che di pochi letti, e dovrà essere riservato di preferenza alla Colonia Inglese, occorre che accanto ad esso sorga l'Ospedaletto cittadino...
Il progetto del nuovo Ospedale fu studiato dall'ufficio di Igiene ed è pronto in tutti i suoi particolari, compresavi la stazione di disinfezione....».
La guerra però interromperà la realizzazione dei progetti in corso di studio e nell'immediato dopoguerra le risorse cittadine, divenute molto esigue a causa della paralisi del movimento turistico, saranno finalizzate ai lavori essenziali.
3 - Il problema dell'evacuazione dei rifiuti
Con la creazione dell'acquedotto che convogliava in Sanremo le acque dell'Argallo, l'amministrazione comunale aveva creato il più importante presupposto atto a risolvere la questione igienica; essa era ora in grado, infatti, di disporre della sufficiente quantità d'acqua per il lavaggio delle strade e dei canali di scolo e per lo sciacquo delle chiaviche e dei fognoni.
Sulle ali dell'entusiasmo che l'inaugurazione dell'acquedotto provocò nella città, il consiglio comunale decise la costruzione della fognatura generale, riservandosi, però, di lasciare in sospeso la redazione del progetto, sia per l'incertezza del migliore sistema da adottarsi, sia per l'insufficienza dei mezzi finanziari disponibili.
Eseguire una fognatura costituiva, per le possibilità economiche e per le conoscenze tecniche di allora, un problema di non facile risoluzione. Solo nella seconda metà dell'Ottocento alcune città europee si erano impegnate in un simile sforzo e la tecnologia da esse impiegata era ancora per gran parte sperimentale. Inoltre, pur fervendo ormai da un ventennio un acceso dibattito sull'efficacia dei diversi sistemi, non v'era assolutamente accordo tra gli scienziati che si applicavano a questi studi.
La ragione dell'improvviso interesse che la questione fognaria seppe polarizzare era
«...senza dubbio, nell'esser riconosciuto come tale questione stia in stretto rapporto con quanti altri studi si vanno facendo per conoscere la cagione e le origini delle malattie infettive miasmatico-contagiose, e per iscoprire i mezzi atti a prevenirle ed a combatterle. Poiché si riconobbe in mododa non ammetter dubbio, da medici e igienisti, che la condizione di pulizia e nettezza del suolo sottostante alle costruzioni ed alle pubbliche vie, influisce assolutamente sulla purezza dell'aria nelle abitazioni e sulla consalubrità di chi sopra vi abita.
Si riconobbe che i germi di alcune fra le infezioni morbose dominanti chiaminsi essi bacterii, bacilli, microbi o che so io, quando sieno fuori dagli organismi viventi, hanno loro sede e vita nelle deiezioni emesse da coloro che furono colpiti dalle infezioni stesse, e che tali germi propagantisi con grandissima rapidità per l'aria e per l'acqua, conservano nelle materie di deiezione e di rigetto la loro vitalità tenacissimamente e per lunghissimo tempo. Si può quindi stabilire, sotto questo punto di vista, che lo allontanare il più presto possibile e nel modo migliore i materiali di deiezione dai centri abitati sia il primo dovere di quanti sono preposti al pubblico bene ».
Fino agli anni 70, nel Sanremese, il problema della raccolta e dell'evacuazione delle immondizie e delle materie fecali dalle case, non era considerato un problema che investiva la comunità nel suo complesso e dunque ricadente sulle spalle dell'amministrazione comunale, bensì un problema che riguardava il singolo cittadino, che provvedeva la propria casa di pozzi neri e che periodicamente si occupava dello svuotamento e del trasporto delle materie di deiezione e dei rifiuti domestici.
I compiti del municipio si esaurivano con l'evacuazione delle acque piovane dall'abitato, che venivano raccolte in appositi canali di scolo.
Così in Sanremo, come in quasi tutte le città liguri, esisteva soltanto un rudimentale sistema di canali bianchi, costruiti sotto il suolo stradale o in superficie, su un lato delle vie.
Questi canali generalmente immettevano le acque «meteoriche» nei torrenti o direttamente nel mare; solo in qualche caso, analogamente a quanto accadeva per l'acqua di scarico di alcune fontane, i canali bianchi conducevano l'acqua piovana su terreni circostanti all'abitato, dove era usata per l'irrigazione.
Un tale sistema di canali di scolo a piccola sezione, pensato esclusivamente per convogliare le piogge, aveva un grave difetto. Nei condotti terminavano spesso immondizie di vario tipo, che stagnavano emanando esalazioni pestilenziali. Queste materie organiche finivano con l'ostruire i canali provocando impaludamenti del fondo stradale.
Quasi mai l'acqua piovana aveva la pressione necessaria a sturare i condotti, trascinando con sé i rifiuti nei torrenti. Ma quando questo avveniva le sostanze organiche finivano di imputridirsi nel greto dei rii in secca.
Una tale situazione, già di per se igienicamente deprecabile, era complicata dal fatto che molte case costruite nei pressi dei corsi d'acqua cittadini vi immettevano direttamente le deiezioni e le acque di rifiuto. Si venivano così a formare nell'alveo dei torrenti «specie nel lungo periodo della loro siccità, ulteriori depositi di materie fetide e putrescenti che non accrescono certo la reputazione delle brezze balsamiche di San Remo, tanto ricercate dai turisti».
Questo grave problema non si risolse nemmeno quando, ultimato l'acquedotto Carli nel 1828, l'amministrazione ebbe a disposizione una notevole quantità d'acqua per le esigenze igieniche dell'abitato. L'acqua della nuova condotta, infatti, immessa a grande pressione, era in grado di sciacquare i canali di scolo, ma non di trascinare via i rifiuti dal greto dei torrenti. Per oltre sei mesi all'anno, così, il San Romolo, il San Francesco e il San Lazzaro erano dei veri e propri condotti fognari scoperti e stagnanti.
Fino agli anni settanta Sanremo dipendeva da un sistema di «cessi a secco» , consistenti in un buco nel pavimento dei gabinetti delle case, che rappresentava l'estremo di un condotto verticale con sfogo in una stanza del pianterreno, dove in genere si trovava un pozzo nero. Le sostanze organiche liquide e solide prodotte dagli utenti delle latrine, e talvolta le stesse immondizie domestiche, venivano fatte precipitare lungo il condotto senza l'ausilio dell'acqua, e finivano nel pozzo nero o nella vasca di raccolta, o ancora si accumulavano semplicemente nella stanza che le accoglieva, finché la mancanza di spazio non costringeva a rimuoverle.
I sistemi a cui ci si affidava per la raccolta degli escrementi nelle case erano diversi: v'era il sistema dei pozzi neri impermeabili, quello dei pozzi neri assorbenti, quello dei bottini mobili e quello delle stanze di deposito. Il primo e il terzo sistema richiedevano l'impiego di capitali, sia pure esigui, per la costruzione e l'allestimento ed erano generalmente usati nelle case borghesi; il secondo e il quarto, di facile realizzazione, erano invece sistemi usualmente impiegati nelle abitazioni popolari. Nel complesso i pozzi neri, assorbenti e impermeabili, costituivano l'espediente di gran lunga più utilizzato in Sanremo.
Gli inconvenienti che medici e scienziati riconoscevano al sistema dei pozzi neri erano diversi. In primo luogo essi, che fossero assorbenti o no, non erano impermeabili, perché anche le pareti in muratura erano con il tempo soggette ad infiltrazioni.
«...ne avviene quindi che dopo un certo tempo il terreno tutto all'intorno dei pozzi neri resta infetto ed imbevuto, per uno spazio più o meno grande, a seconda della maggiore o minore porosità del terreno circostante di materia immonda e putrescibile che rende infetta ed insalubre e nociva l'area da noi respirata. E non è nemmeno difficile il farci un concetto del come questa infezione può arrivare fino a noi.
L'abbassamento della falda d'acqua sotterranea richiama in sostituzione l'aria atmosferica che penetra nelle cavità e nelle porosità del terreno sovraccaricandosi di gas infetti, mentre che il successivo innalzamento della corrente d'acqua nello strato permeabile scaccia l'aria infetta dai vacuoli del terreno e la diffonde negli ambienti abitati. Questo ricambio d'aria tra il suolo e l'atmosfera avvenendo in modo abbastanza continuo e rapido, massime nelle stagioni piovose, si capisce di leggieri come possa esercitare una influenza notevole sulle nostre abitazioni ».
In secondo luogo, grave inconveniente dei pozzi neri era quello
«...delle emanazioni fetide che dai serbatoi superiori salgono ad infettare gli appartamenti sovrapposti, seguendo la via dei condotti destinati allo sgombro delle deiezioni. Adottando dei pozzi neri dalle dimensioni considerevoli, onde non esser costretti ad evacuare troppo di frequente le materie immessevi, ne viene che le deiezioni ed i rifiuti domestici, restando là raccolti in quantità non indifferente, in un'atmosfera povera d'ossigeno, subiscono una specie di fermentazione putrida, dando origine a gas deleteri, quali sono l'ammoniaca, l'acido carbonico, l'ossido di carbonio, l'idrogeno solforato, di cui una gran parte si diffonde nelle abitazioni ».
I pozzi neri, comunque, erano visti come un male necessario in quanto avevano una grande importanza nell'economia del Sanremese. Il suolo della Liguria è molto povero, in gran parte roccioso e nella restante parte poco fertile.
La concimazione della terra era una misura indispensabile a rendere il raccolto meno ingrato.
I concimi chimici negli anni ottanta del XIX secolo non erano ancora usati e il guano era molto costoso. La concimazione, e dunque il livello di produttività agricola del Sanremese, dipendeva così in gran parte dalla capacità degli abitanti del capoluogo di produrre escrementi abbondanti e ben azotati.
Questo faceva sì che i pozzi neri cittadini venissero svuotati dagli stessi contadini del circondario, che per lungo tempo furono disposti anche a pagare pur di poter disporre del prezioso materiale. Quando iniziò la concorrenza del guano, però, i proprietari dovettero rassegnarsi a concedere agli agricoltori il contenuto dei pozzi in cambio dell'opera di pulizia.
Il maggior approvvigionamento idrico, di cui Sanremo poté disporre, grazie all'Acquedotto Marsaglia, inaugurato il 12 marzo 1885, creò un grande problema di sopravvivenza a questo secolare e sperimentato sistema di evacuazione delle deiezioni liquide e solide. Infatti la nuova grande quantità d'acqua finiva, dopo gli usi domestici, nelle latrine.
Addirittura, ora che si imponeva la moda del water closet, migliaia di litri d'acqua pulita finivano giornalmente nei pozzi neri. Il risultato era che gli escrementi tanto utili all'agricoltura venivano diluiti in modo spropositato e i contadini iniziarono di conseguenza a perdere interesse per un prodotto divenuto scarsamente efficace e difficilmente trasportabile.
Si cominciò così a pagare il servizio di svuotamento dei pozzi, che doveva ora essere eseguito con maggior frequenza, dato che le fosse a causa dell'acqua si riempivano più in fretta. E la piega presa dagli eventi non piacque a nessuno: scontentò infatti i contadini, che persero la possibilità di usufruire gratuitamente di grandi quantità di concime, e scontentò i proprietari e i turisti, danneggiati economicamente dagli eventi, ma soprattutto disturbati ora troppo spesso dalle operazioni di svuotamento delle fosse.
Insomma aveva fatto bene l'amministrazione comunale a deliberare la costruzione della fognatura; sembrava questa l'unica soluzione di un problema che si andava sempre più ingarbugliando.
La delibera del 28 maggio 1885 fu però più che altro uno stratagemma per prendere tempo; le finanze comunali dopo la realizzazione dell'acquedotto non erano floride e gli amministratori sapevano bene che la fognatura, seppure deliberata, non si sarebbe per lungo tempo potuta costruire.
Il tempo tuttavia acuì maggiormente i problemi che erano sul tappeto. Tra la fine degli anni ottanta e gli inizi del nuovo secolo, infatti, si diffuse in Sanremo la consuetudine di allacciare abusivamente i pozzi neri ai canali stradali.
Ai proprietari era sufficiente collegare la parte superiore delle fosse ai condotti delle acque metereologiche, in modo che potesse defluire il contenuto liquido; ciò che restava di solido era infatti vendibile ai contadini.
Annotazione tecnica:
Nell'Ottocento erano stati sperimentati tre differenti sistemi di fognatura: quello a canalizzazione mista, in condotti a sezione grande (sistema francese) o ridotta (sistema tedesco); quello a canalizzazione distinta con circolazione continua (sistema inglese); quello a canalizzazione distinta semplice (sistema americano) .
Il sistema a canalizzazione mista prevedeva la creazione di un'unica rete a canali sotterranei destinati a ricevere i materiali di deiezione, le acque di rigetto delle cucine, le acque piovane, quelle di rifiuto delle industrie, dei lavatoi pubblici e privati, dei macelli, ecc. e a evacuarle dai centri abitati immettendole nei fiumi o nel mare, o destinandole all'irrigazione delle campagne.
Era il sistema adottato nelle grandi città europee come Londra, Bruxelles e Parigi, dove esistevano due specie di canali: i collecteurs e gli égouts (raccoglitori e fogne). Gli égouts, a cui erano allacciate le arterie secondarie provenienti dalle case, correvano sotto le strade e raccoglievano le acque e le materie immonde per versarle poi nei collecteurs, o canali principali, che sboccavano a valle nella Senna.
Questo sistema era in uso anche a Berlino, Amburgo e Francoforte, dove però invece di condotti a grande sezione erano stati adottati condotti ovoidali a sezione ridotta, convenientemente alimentati da acque, onde impedire il ristagno dei materiali di rifiuto.
Il sistema della canalizzazione mista era avversato da molti scienziati, che ritenevano che i liquami delle fogne potessero, a prescindere dalla bontà dei materiali usati nella loro costruzione, infiltrarsi comunque attraverso le pareti dei condotti, inquinando il terreno circostante.
Un altro inconveniente grave di questo sistema era costituito dalla formazione di gas deleteri nei canali, prodotti dalla fermentazione delle materie putride stagnanti, che erano in grado di salire fino nelle case. E questo spiegava perché una volta
« ...introdottasi l'epidemia in una grande città, riesce impossibile l'arrestarla; diffondendosi essa sicuramente e rapidamente per mezzo di questo dedalo sotterraneo e tenebroso, che come un'immane madrepora dai mille tentacoli, abbraccia nella sua stretta fatale tutte le case, tutte le famiglie e vi porta la malattia e la morte ».
Il sistema della canalizzazione distinta con circolazione continua, usato soprattutto in Inghilterra, era composto da due serie di condotti: l'uno per le acque piovane, l'altro per le acque di rigetto e per le deiezioni. Per queste ultime era stabilita una circolazione continua ottenuta mediante una speciale condotta d'acqua, che si immetteva nel circuito fognaria e che, entrata pura, ne usciva carica di materie fertilizzanti.
I condotti conducevano quest'acqua nelle campagne, dove veniva usata per l'irrigazione. La canalizzazione, in questo sistema, era generalmente fatta in ghisa con tubi di grande sezione. Per il suo funzionamento, però, erano necessari molti litri d'acqua per abitante da immettere giornalmente nel circuito.
Il sistema della canalizzazione distinta semplice, molto usato negli Stati Uniti, prevedeva la separazione dei condotti per le acque piovane e per le acque immonde.
All'estremità superiore dei canali secondari del circuito di queste ultime erano predisposte apposite cisterne d'afflusso, per mezzo delle quali si poteva versare una notevole quantità d'acqua nei condotti, ottenendo così il loro rapido lavaggio. Questo sistema, però, oltre a richiedere molta acqua, aveva bisogno di forti pendenze di terreno. Imponeva inoltre la dispersione delle materie di deiezione nei fiumi o nei mari.
Il primo progetto di una fognatura generale per la città di Sanremo fu elaborato dall'amministrazione Asquasciati nel 1890 e prevedeva la costruzione di tre grandi collettori nell'alveo dei torrenti San Romolo, San Lazzaro e San Francesco e di collettori secondari da eseguirsi lungo le direttrici delle principali strade urbane.
Il sistema adottato dal piano era quello del "tout à l'égout" (drenaggio). Le acque piovane, quelle di rigetto e i materiali di deiezione sarebbero stati dispersi nel mare a conveniente distanza dalla riva nel tratto prospiciente all'abitato.
Il secondo progetto, degli ingegneri Losio e Pagliani di Torino, elaborato nel 1901, era senz'altro più complesso e articolato del precedente. Il sistema da essi adottato era quello della canalizzazione distinta semplice, che si avvaleva di una conveniente distribuzione di «cacciate» automatiche d'acqua. Il liquame sarebbe dovuto sfociare in mare, a cento metri di distanza dall'arenile, all'altezza del torrente Bernardo, depurato con il sistema biologico.
Il progetto prevedeva la costruzione di quattro collettori principali paralleli alla spiaggia, lungo le vie Cavallotti - Garibaldi - Palazzo, la via Vittorio Emanuele, la via Roma e il corso Carlo Alberto, su cui convergevano i canali secondari stradali, che raccoglievano tramite i tubi terziari i liquami delle abitazioni, con inclinazione dall'alto in basso, in modo da convogliare le acque e le materie immonde verso la parte più declive della città, ad ottanta metri ad ovest della stazione ferroviaria, lungo corso dell'Imperatrice, da dove un collettore generale unico avrebbe condotto il liquame alla foce del torrente Bernardo.
L'ultimo progetto di fognatura generale elaborato per Sanremo prima della guerra mondiale è quello della ditta Zucchetti & Brugnatelli di Milano, del 1912. I due ingegneri lombardi convennero con i loro predecessori piemontesi scartando il sistema della canalizzazione mista e adottando quello della canalizzazione distinta semplice, che meglio si adattava alle caratteristiche topografiche della città.
« Col nuovo progetto Zucchetti-Brugnatelli le acque cittadine sono smaltite da due collettori principali; un collettore di ponente che raccoglie i liquami del centro urbano e della regione di ponente e li versa in mare presso il cimitero; ed un collettore di minore portata verso il levante che convoglia i liquami della corrispondente regione, immettendoli nel mare al di là di San Martino ».
Anche nel corso del dibattito che animò le sedute del consiglio comunale sulla questione fognaria si riprodusse la frattura fra «filoturisti» e fautori di uno sviluppo basato sulle attività economiche tradizionali. I primi volevano la fognatura generale per risolvere definitivamente la questione igienica, per prevenire le epidemie e per assecondare i desideri della colonie étrangère; i secondi (la cui parola d'ordine era laissez-faire) avversavano la sua costruzione, preoccupati soprattutto dei contraccolpi che la fine della grande disponibilità di concime avrebbe comportato per l'agricoltura.
All'interno del consiglio comunale v'era poi uno schieramento centrista, che voleva che si risolvesse il problema dell'evacuazione dei rifiuti urbani senza sottrarre all'agricoltura il concime che le era necessario. Questo a Sanremo voleva dire no alla fognatura, in quanto non era allora possibile, per gli alti costi che si sarebbero incontrati, convogliare i liquami sui terreni coltivati, quasi tutti collinari.
Il personaggio più rappresentativo di questa fazione era l'ingegnere Giacomo Picconi, consigliere comunale e poi assessore nell'ultimo periodo dell'amministrazione Asquasciati, autore di un importante studio sulla questione fognaria. Picconi era un fermo sostenitore di una regolamentazione ferrea delle modalità di evacuazione dei liquami e propugnava l'adozione del sistema delle fosse mobili a completa asportazione delle deiezioni liquide e solide, che si praticava con successo in molte città tedesche.
« Il servizio di queste fosse è molto semplice, ove sia stato impiantato abbastanza in grande, tanto più che può essere fatto assai utilmente per opera di una società appositamente costituita. La costituzione di questa società non esigerebbe un grande capitale primitivo d'impianto. Le fosse mobili potrebbero anche essere botti a petrolio già usate, opportunamente cerchiate e munite di coperchio a chiusura ermetica... Per ogni casa basterebbero due botti, per eseguire il ricambio.
L'asportazione di queste botti sarebbe fatta periodicamente ogni quattro o cinque giorni, nelle ore più opportune della notte, senza recar noia o disturbo agli inquilini, per mezzo di carri su cui si potrebbero trasportare le botti vuote di ricambio ed esportare le piene ».
Per risolvere la questione dell'evacuazione dei rifiuti urbani, in Sanremo, tra il 1885 e il 1915, non si costruì una fognatura generale, come sperava la borghesia «filoturista» raccolta attorno al sindaco-banchiere Asquasciati; non si rese obbligatorio il sistema delle fosse mobili, come volevano i tecnici rappresentati in consiglio dall'ingegnere Picconi; né tantomeno ci si astenne dall'intervenire, come esigevano il consigliere Viale e gli altri esponenti del partito «antiturista».
Le misure che vennero varate, comunque, furono tali da non scontentare completamente nessuna fazione. Infatti alcuni tronchi fognari vennero realizzati, il sistema di evacuazione dei liquami fu regolamentato, ma si tollerò, allo stesso tempo, che si continuassero a scaricare le deiezioni liquide nei canali stradali.
Esistevano, alla fine del secolo, due differenti specie di allacciamenti fognari abusivi: quelli che univano i pozzi neri, generalmente nella loro parte superiore, ai canali stradali e quelli che collegavano direttamente i condotti delle latrine al letto dei torrenti. Nel primo caso erano solo le deiezioni liquide a finire negli alvei dei rii San Romolo, San Francesco e San Lazzaro, nel secondo caso vi terminavano tutte le sostanze gettate lungo i doccioni dei gabinetti: deiezioni liquide, materie fecali, acque domestiche e persino immondizie.
La municipalità tollerava una tale situazione ritenendola temporanea e pensava che in breve tempo, con la costruzione della fognatura generale dell'abitato, la questione si sarebbe risolta da sola. Ma per tutto il periodo considerato non venne realizzata alcuna rete fognaria e la paura dei miasmi che esalavano dal greto dei torrenti provocò spesso petizioni e lettere di protesta indirizzate agli amministratori pubblici.
Ma il consiglio comunale restò per molti versi sordo a tali lamentele e talvolta autorizzò addirittura la costruzione di fognoli privati, riservandosi il diritto di usufruire di tali allacciamenti abusivi. Su questo punto, indubbiamente, avevano vinto gli «antituristi» fautori del laissez-faire.
In palese contraddizione con questo atteggiamento permissivo, però, l'amministrazione, nel 1883, aveva approvato il nuovo Regolamento d'igiene che conteneva norme importanti finalizzate alla razionalizzazione del sistema di raccolta ed evacuazione dei rifiuti urbani, norme di cui si avvertiva la matrice «picconiana».
« Gli articoli del Regolamento d'igiene del suolo e dell'abitato della città di San Remo proibivano gli allacciamenti dei pozzi neri e dei condotti delle latrine ai torrenti e ai canali bianchi; vietavano il sistema dei pozzi assorbenti e delle stanze di deposito, mentre autorizzavano i pozzi neri impermeabili e i bottini mobili; prescrivevano, nelle latrine, l'obbligo di sifoni, chiusure ermetiche, apparecchi idraulici per lo scarico dell'acqua e tubi di sfogo per i gas nocivi; introducevano la costrizione allo spurgo inodore delle fosse; fissavano orari notturni per le operazioni di pulizia e svuotamento dei pozzi e di trasporto delle materie fecali; vietavano l'uso di concime naturale nel perimetro urbano; prescrivevano l'obbligo dei proprietari di allacciare i propri pozzi neri alla fognatura generale, una volta che questa fosse stata realizzata; proibivano, infine, lo scarico delle immondizie sui prati o nei torrenti.
Erano previste multe e sanzioni per chi avesse trasgredito queste norme, naturalmente non erano dei semplici provvedimenti amministrativi che potevano risolvere il problema delle condizioni igieniche dei torrenti urbani ».
Un terzo tipo di misure che, tra il 1885 e il 1915, il consiglio comunale intraprese riguardo alla questione dello smaltimento dei rifiuti urbani, concerne la costruzione di fognoni e la sistemazione degli alvei dei torrenti cittadini, in vista di una loro futura trasformazione in collettori fognari.
Si trattava del primo passo verso la realizzazione di una fognatura generale dell'abitato, principale richiesta dello schieramento filoturista.
Condotti fognari vennero costruiti per allacciare pubblici edifici come il mattatoio, l'ospedale, la stazione, i lavatoi e i gabinetti pubblici, che richiedevano il costante smaltimento di grandi quantità di acque e materie immonde, e lungo i principali torrenti cittadini. Il liquame finiva in mare nel tratto prospiciente all'abitato.
I rii San Romolo, San Francesco, San Lazzaro e Foce vennero, dunque, a distanza di alcuni anni l'uno dall'altro, provvisti di condotti fognari.
La condizione igienica dei torrenti però, pur migliorando, rimase sostanzialmente precaria, soprattutto a causa dei numerosi allacciamenti fognari abusivi.
Nel nuovo secolo si giunse allora ai provvedimenti di copertura e sistemazione parziale dei letti del San Francesco, del San Lazzaro e del Foce e alla copertura e sistemazione totale del San Romolo, il più inigienico torrente cittadino.
Le vicende di quest'ultimo sono emblematiche. Fu parzialmente coperto già negli anni 1878 /79, in occasione della costruzione di corso Umberto I.
Negli anni novanta si progettò la sua copertura totale, la sistemazione del suo alveo e la sua trasformazione in condotto fognario. L'amministrazione allora in carica, però, si limitò semplicemente a costruire un fognone lungo la sua sponda.
Nel 1902 fu lastricata una parte del suo letto unendo l'orto davanti al Convento della Turchine con la piazzetta dietro la Chiesa di San Siro (allora chiamata piazza del mercato) creando quella che sarà la piazza del Mercato nuova.
Nel 1910 si procedette ad una seconda parziale copertura, per rendere possibile l'allargamento della piazza del Mercato.
Nel 1912 fu nuovamente deliberata la sua totale copertura; l'amministrazione Natta-Soleri chiese allora il riconoscimento della pubblica utilità dell'opera e la concessione di un mutuo agevolato che rendesse possibile i lavori.
Tra il 1913 e il 1914 la copertura fu estesa fino alla via Morardo ed al Ponte della Ciapella, completando così la piazza che, nel 1917 fu intitolata agli Eroi Sanremesi.
Poi arrivò la guerra e la questione delle condizioni igieniche del San Romolo fu messa da parte.
Nel dopoguerra se ne riprese comunque a parlare
Nel 1918, infatti, una petizione popolare segnalò la gravità della situazione direttamente al prefetto, che incaricò l'ispettore di sanità di effettuare un sopralluogo.
I risultati di questa ispezione confermarono la necessità di tornare ad occuparsi di questo corso d'acqua.
« Il torrente San Romolo nel suo decorso nell'abitato riceve acque di frantoi, acque di rifiuto delle case e dei lavatoi, e tutte quelle altre acque luride e rifiuti domestici, che vi vengono abusivamente versati dagli inquilini delle case latistanti, nonché le acque di lavaggio delle strade. Il letto del torrente, tanto nella parte scoperta, come nella parte sottostante alle vie, è in massima parte permeabile con pendenze e contropendenze tali da costituire qua e là delle pozze più o meno profonde, ove le acque ristagnano e si decompongono. Il fondo di queste pozze è costituito da uno strato melmoso in decomposizione dal quale si sollevano continuamente bolle di gas putridi; i quali talora, e per la loro abbondanza, e per l'azione di certi venti, invadono le case vicine, costringendone gli inquilini a barricarsi in esse....»
L'ufficiale sanitario consigliava la pavimentazione del greto del torrente e la sua copertura totale, ma il sindaco nell'inoltrare la relazione al prefetto aggiungeva: « ritengo che non sia questo il momento per risolvere il complesso problema della sistemazione dei torrenti che attraversano la città, sistemazione che si connette col problema della fognatura cittadina ».
Questa considerazione derivava dal fatto che il peggio delle situazioni igieniche dei torrenti era naturalmente nel periodo estivo, quando il caldo faceva putrescire le sostanze organiche nei letti dei torrenti. Invece durante la stagione turistica, che iniziava in ottobre per concludersi in aprile, le piogge fornivano acqua sufficiente a rimuovere quelle sostanze dai greti; inoltre la bassa temperatura invernale impediva la rapida decomposizione dei rifiuti ed infine l'azione dei venti marini spazzava via gli effluvi miasmatici.
Tuttavia non mancavano le lamentele e le proteste, specie da parte dei cittadini, che vivevano in città tutto l'anno.
Le risorse del comune erano abbondanti grazie al turismo, ma non infinite. Infatti trovò i fondi per realizzare un nuovo ospedale con annesso servizio di disinfezione o per municipalizzare l'Acquedotto, ma non riusciva reperire la somma che era necessaria per dotarsi di una moderna rete fognaria.
Ancora una volta, dunque, la risoluzione del problema delle condizioni igieniche dei torrenti urbani, nell'illusione che si sarebbe presto costruita la rete fognaria, subì un rinvio.
Però, fino agli anni trenta, nessuna amministrazione si sobbarcò l'onere finanziario che comportava una tale realizzazione e proprio per questa ragione possiamo concludere che, nonostante l'efficienza raggiunta dal servizio di nettezza urbana, dall'organizzazione sanitaria e sul piano dell'approvvigionamento idrico, la questione igienica nella Sanremo della belle époque non fu mai completamente risolta.
Appena partivano i turisti, insomma, cominciava per i residenti la dura convivenza con gli effluvi dei torrenti, pieni di deiezioni, immondizie e acque di rigetto.
Ma Sanremo era una ville pour les autres e i problemi venivano presi in considerazione solo quando avevano un'influenza diretta e nefasta sulla vita della colonia straniera; le ingenti spese venivano tollerate soltanto quando erano finalizzate al turismo, che dava prosperità alla città.
La fognatura generale dell'abitato non era un'opera che avrebbe arrecato un grande giovamento agli hivernants, quanto piuttosto ai residenti, e per i sanremesi simili spese non potevano venire affrontate.
E così la Sanremo della belle époque, proprietaria di uno dei più efficienti acquedotti europei e di un lussuoso casinò, accettava di perpetuare un arcaico e inigienico sistema di evacuazione dei rifiuti urbani, che condizionava la nettezza dei torrenti e comprometteva, almeno per sei mesi all'anno, la generale salubrità dell'abitato.
4 - I gabinetti pubblici
Il Consiglio comunale del 14 giugno 1872 approva la costruzione di pisciatoi pubblici (vespasiani) da collocarsi alla Stazione ferroviaria, al giardino pubblico, sulla piazza Colombo, lungo la via Vittorio Emanuele, e altrove la Giunta municipale reputi necessario.
Si suggerisce l'opportunità di costruirli "a garitta come quelli che si vedono a Nizza".
Nel 1885, in occasione del rinnovo dell'appalto per la distribuzione delle sedie nei giardini pubblici, si dà onere all'appaltatore di provvedere alla custodia e cura dei gabinetti pubblici costruiti nel giardino Maria Vittoria.
Nella seduta del Consiglio comunale del 5 giugno 1891 l'ing. Giacomo Picconi, assessore ai lavori pubblici, fa una succinta relazione intorno alla proposta del rappresentante in Italia della "Compagnie nouvelle des chalets de commoditè", con sede in Parigi, al fine di ottenere la privativa, per 30 anni,
« onde stabilire ed esercitare in Città un padiglione o chiosco ad uso di latrina pubblica, e due colonne luminose con scompartimenti, ad uso di orinatoi.
Il riferente dimostra come coll'una e colle altre s'intenda di sopperire ad un sentito bisogno, e come le due specie di costruzioni corrispondano pienamente allo scopo. La Società provvederebbe in proprio alla loro costruzione ed all'esercizio, mediante un annuo assegno, mentre il Comune dovrebbe fornire l'acqua ed il gas necessari. La spesa annuale sarebbe di £. 600 circa; dopo 30 anni, chiosco e colonne passerebbero in proprietà del Comune senz'altra spesa.
La latrina sarebbe da collocare sull'angolo della piazza Mercato, posto in faccia al Palazzo dell'istruzione, di modo che non presenterebbe alcun inconveniente, quand'anche si volesse ampliare la piazza stessa.
Ciò posto, propone di approvare in massima l'impianto della latrina e dei due orinatoi, e d'incaricare la Giunta perché prepari apposita convenzione, da presentarsi a suo tempo alla approvazione del Consiglio ».
La proposta è, per i consiglieri Pio Carli e cav. Antonio Rubino, del tutto accettabile; però, prima di vincolare il Comune colla concessione a lunga scadenza, vorrebbero si facesse un apposito esperimento.
« Nessun dubbio potendo sorgere circa il buon esito del sistema proposto, come quello che è in uso e fa ottima prova nelle più importanti Città, specialmente in Parigi, Picconi non vede con quanta ragionevolezza si possa pretendere che la Società assuma di sobbarcarsi ad una spesa assai ragguardevole, colla condizione d'una prova, e per questo insiste nella fatta proposta ».
Il Presidente comm. Bartolomeo Asquasciati parla in senso favorevole alla proposta che viene da Rubino formulata nei seguenti termini: « Il Consiglio, prendendo in considerazione la proposta della Società, commette alla Giunta la preparazione di apposito atto convenzionale per l'impianto e l'esercizio della latrina e dei due orinatoi pubblici ».
Il Consiglio, a pieni voti, delibera di adottare la proposta del consigliere Rubino.
Nel 1896 il consigliere geom. Bartolomeo Odorizzi illustra al Consiglio comunale del 15 dicembre, un'interpellanza da lui presentata « sulla errata costruzione dei pubblici orinatoi della Città, sia per ciò che concerne la forma e le dimensioni, sia per ciò che ha tratto col decoro e colla decenza ».
Passa in rassegna i vari difetti, riguardanti la tecnica e l'estetica, da lui più specialmente riscontrati negli orinatoi di via Morardo, in quello posto a lato del Teatro comunale e nell'altro addossato al muro di levante del palazzo Borea.
Suggerisce alcune norme, alle quali dovrebbe essere informato il sistema di siffatte costruzioni, affinché meglio corrispondessero al loro scopo.
In Consiglio comunale del 18 giugno 1900 viene posto in discussione il progetto "per un cesso pubblico da erigersi in via Umberto I, nell'aiuola a sud della via Roma", per l'eseguimento del quale sarà per occorrere la spesa di £. 7.500.
Riferisce l'assessore cav. ing. Antonio Tornatore, descrivendo le particolarità tecniche ed economiche del progetto stesso, del quale poi propone una modificazione che consiste nel sostituire all'esterno dell'edificio le piastrelle smaltate in luogo dell'intonaco di cemento.
Segue una breve discussione sulla scelta della località, parendo al consigliere Paolo Marini che sarebbe da preferirsi quella sul piazzale antistante alla Stazione ferroviaria; mentre invece i consiglieri cav. dott. Gio. Battista Onetti e cap. Gio. Battista Goetta giudicano assai migliore quella prescelta. Il secondo poi desidera e raccomanda che si provveda, a non lungo andare, per l'erezione d'altri cessi in luoghi adatti, a levante ed a ponente della Città.
Messo ai voti, il progetto è approvato all'unanimità.
(fonti: elaborazione da testi di Massimo Scattareggia "Sanremo 1815-1915; Giuseppe Silingardi "C'era una volta a Sanremo")