3 - I Liguri preromani e i castellari
Con la fondazione della colonia greca di Massalia (Marsiglia, allora ancora territorio ligure) datata al 600 a.C. circa, si ebbero notevoli cambiamenti perché l’espandersi del commercio greco vero levante e l’arrivo di nuovi gruppo etnici, provocarono il peggiorare delle relazioni e dei conflitti tra gli abitanti costieri, già più evoluti e quelle interne, agricole e pastorali mutando le strutture poliico-sociali ed addirittura il modo di vivere.
La Liguria dell’Età del ferro, non tanto in quella di levante, che sentiva l’influenza etrusca, quanto in quella di Ponente, soffriva per i continui cambiamenti apportati dai commerci greci e dalle prime invasioni dei popoli pre-celtici che provenivano dal Centro Europa. Sentivano di aver perso il controllo della situazione, sia le tribù preromane costiere, che praticavano molto spesso la pirateria e che si dimostravano ostili e diffidenti verso coloro che potevano limitare od escludere la loro autonomia, sia anche quelle dell’interno che, isolate, erano ancor più ostili tanto che spesso erano in conflitto con quelle costiere per le razzie e le incursioni dai quali erano sottoposti.
Tutto questo portò questi ultimi a difendersi con un sistema di fortificazioni primitive, ( i cosiddetti “Castellari”) poste sulle cime dei monti e delle colline costiere, molto spesso scoscese e rocciose su uno o più lati, costruiti con pietre raccolte sul posto, formanti dei muraglioni a secco, di varie dimensioni e spessore, collegati visivamente tra di loro. All’interno di questi v’erano anche torri di vedetta che assicuravano una protezione a tutto ciò che li circondava, strade, pascoli ed altro. Alcuni castellari erano così grandi che all’interno poteva esserci anche un centro abitato. Altri, più piccoli, in caso di pericolo avrebbero accolto e protetto la popolazione all’esterno, almeno fino a che il pericolo non fosse passato.
Pur essendo presenti in quasi tutta la Liguria e anche nell’arco Prealpino dalla Valle d’Aosta al Carso giuliano, dimostrando di essere culturalmente molto diffuse, nella Riviera di Ponente, grazie alle ricerche archeologiche, di questi castellari se ne sono trovate parecchie tracce. Risalenti per lo più al 4° secolo a.C. e che durarono anche fino al tempo dei Romani, generalmente a pianta circolare oppure ovale, ma potevano essere anche quadrangolari, protetti da una o più cinta di mura.
Lungo tutta la cintura dei monti che circonda Sanremo, è presente un sistema difensivo basato su questi “castellari”. Senza entrare in dettagli che interessano particolarmente l’archeologia, indicheremo i punti più salienti interessati da questo sistema.
Come detto in precedenza, queste fortificazioni erano in contatto visivo le une con le altre per cui in vista del castellaro di cima Merello, sopra Bordighera, appena poco sopra Capo Nero, sul monte Mucchio di Scaglie, come dice il nome stesso, vi sono dei cumuli di pietre di un castellaro oppure di una torre di vedetta crollata.
Il successivo avrebbe potuto essere posto sopra Coldirodi, sul rilievo roccioso della Croce di Padre Poggi ma per il quale l’interesse è stato destato solo da pochi frammenti in ceramica.
Tracce più certe si possono invece trovare più in alto, su Costa Bevino, a sud di Monte Caggio. In mezzo alla boscaglia si ritrovano degli imponenti muraglioni tanto larghi da contenere probabilmente un intero centro abitato ed ancora tutto da esplorare.
Arriviamo quindi proprio al Monte Caggio, fulcro occidentale del sistema la sommità del quale ha la forma di un cono tronco e dal quale spunta una costruzione quadrata in pietre a secco e con una base in parte formata da grossi muri, molto spessi. Non se ne conosce esattamente l’utilizzo, ma dalla forma, rilevabile anche nel vicino Monte Bignone, si direbbe proprio un castellaro. Vicini a quella vetta si sono ritrovati anche delle rocce spuntanti dal terreno e dei lastroni crollati, segno che qualcosa d’importante c’era.
D’altronde l'interesse archeologico del luogo era già stato segnalato da un antico manoscritto, in cui si descriveva la cima del monte nel 1642: « ...coronata con otto muri... tutti gli uni sopra gli altri... il primo di questi muri posa con le sue fondamenta su una piazza... ove si vedono alcuni sassi lavorati dall'arte e si scorgono in qualche parte squadrati e ve n’è uno qual piano forma una tavola, altri ivi dispersi formano sedili... ».
Anche il territorio sanremese risulta interessato da un sistema difensivo di castellari e di punti intermedi, che corre lungo la cintura dei suoi monti. Poco sopra capo Nero, all'estremità occidentale e in collegamento visivo col grande castellaro di cima Merello presso Bordighera, il monte Mucchio di Scaglie rappresenta, come suggerisce lo stesso toponimo, il cumulo di pietre di un castellaro o di una probabile torre di vedetta crollata. Nel fondo di capanna scavato dalla Soprintendenza è stata rinvenuta ceramica di età repubblicana di tipo campano, ma nelle zone circostanti la cima i frammenti raccolti attestano la frequentazione del luogo fino al IV secolo d.C. È pure presente ceramica di tipo preromano ad impasto, sebbene molto rara.
Il successivo punto di collegamento, risalendo la dorsale, poteva essere situato in corrispondenza dell'affioramento roccioso della Croce di Padre Poggi, sopra Coldirodi, il cui interesse è documentato da pochi ma significativi frammenti ceramici. Per ritrovare tracce sicure bisogna salire ancora e raggiungere Costa Bevino, a sud di monte Caggio. Nascosti dalla boscaglia vi sono imponenti muraglioni che sembrano delimitare un grande recinto rettangolare, forse l'area difesa di un villaggio tutta da esplorare, anche se finora non esistono conferme di natura archeologica.
Siamo ora sotto la parete di monte Bignone (1298 m), sulla cui vetta è stato individuato e in parte scavato il più elevato castellaro della regione, posto ad evidente difesa dei pascoli circostanti. Una doppia cinta col basamento appoggiato sulla roccia e formato da accumuli terrosi lo difendeva sul lato settentrionale, mentre dagli altri lati la natura rocciosa e a precipizio ne assicurava l'imprendibilità. L'area interna, oggi occupata dalla cisterna dell'acquedotto pubblico e da un belvedere turistico, ha restituito due costruzioni quadrate con muratura a secco, dallo spessore compreso fra 1,40 e 2,05 m, con vani interni di circa m 6 x 6, la dimensione già accertata sul monte Caggio (forse un modulo costruttivo dell'epoca), privi di porte e di finestre. Tracce di focolare sono state ritrovate sul pavimento di uno degli ambienti.
I materiali archeologici raccolti comprendono frammenti di ceramica preromana di fabbricazione locale e di anfore ad impasto micaceo di tipo massaliota, datate al V secolo a.C. La superficie ancora da scavare, risparmiata dalle moderne costruzioni, dovrebbe conservare altri resti murati del tipo di quelli riportati alla luce.
Dal vertice di monte Bignone, seguendo e discendendo per la dorsale orientale della cintura, si giunge al castellaro di monte Colma (649 m), sovrastante l'abitato della frazione di Verezzo. Si tratta del più importante e probabilmente, allo stato attuale delle ricerche, del più completo castellaro dell'estremo Ponente ligure, con cinta muraria di tipo poligonale. Sui lati più esposti, a settentrione e a mezzogiorno, i muraglioni, formati da un doppio cordone parallelo riempito di pietrame minuto grezzo, raggiungono il ragguardevole spessore di nove metri; gli altri due lati, innalzati su asperità naturali del terreno, misurano un solo metro di spessore. L'altezza delle cinte è stata stimata in circa tre metri, mentre il suo sviluppo complessivo supera i cento metri.
L'area interna comprende i resti di una costruzione a pianta quadrata, le rovine di una probabile torre e un'area pianeggiante a sud, dall'uso ignoto. Alcune costruzioni di modeste dimensioni di età preromana e romana in pietre a secco risultano addossate alla cinta muraria esterna, segno che due distinti villaggi furono insediati in età diversa dai pastori e agricoltori della zona, che oggi presenta la fitta trama dei terrazzamenti abbandonati nel dopoguerra. Una casella di età romana appare chiaramente distrutta da un incendio, evento che forse determinò l'abbandono del sito. Tra i frammenti di ceramica recuperata, molto abbondanti e datati dal V secolo a.C. al III secolo d.C., figurano anche parti di anfore massaliote, già incontrate a monte Bignone (e pure presenti negli strati preromani della città di Albintimilium o Ventimiglia). Ancora una volta viene proposto il problema dei contatti con la colonia greca di Marsiglia; ma i rifornimenti potevano avvenire tramite intermediari locali, oppure potevano essere il frutto delle azioni di pirateria.
La cintura dei monti sanremesi è chiusa a levante da capo Verde, preceduto lungo la dorsale dal cocuzzolo del monte Calvo e dal colle su cui sorge il santuario della Madonna della Guardia. È ovvio pensare che da quelle parti esistesse l'ultimo anello del sistema difensivo dei sanremesi preromani, ma l'intensa e ripetuta utilizzazione del suolo per la floricoltura deve averne cancellato ogni traccia. Occorre rilevare però che fino ad oggi non sono venuti alla luce né strutture murarie né materiali sporadici.
Ha scritto Nino Lamboglia, il maggiore storico della Liguria occidentale: « Di fronte agli oppida, embrioni di città, il castellaro è la cellula primordiale dell'organizzazione dei Liguri, attorno alla quale si è andata sviluppando tutta la vita e l'unità della tribù, regolata dalle esigenze del suolo e dell'economia ».
Oggi sappiamo che anche le comunità umane insediate sui monti e sui colli di San Remo erano partecipi di questa realtà; e che pertanto anch'esse contribuirono all'avanzamento civile della società del loro tempo.
L'ultima segnalazione di probabile pertinenza proto-storica è un masso inciso da una serie di cinque coppelle unite da un canaletto presso l'eremo di San Michele, alle falde meridionali di monte Bignone. Il masso, di forma arrotondata e allungata, è affiancato dalla mulattiera che conduce all'antico cenobio, ed è perciò forse la segnalazione di un luogo sacro già dai secoli che precedettero la fondazione della chiesa. Questo enigmatico tipo di incisione su roccia, tuttavia, noto in altre zone della Liguria e dell'arco alpino, non è facilmente assegnabile a un determinato periodo e si presta pertanto a più di una interpretazione, non escludendo origini protostoriche.
(fonti: libera elaborazione dal Libro “Sanremo, cuore e anima di una Città" di Enzo Bernardini; immagini da Archivio privato)
A seguire 2^ Parte