La storia degli Ospedali di Sanremo
Quando, con Napoleone, vennero aboliti gli ordini religiosi e i loro beni confiscati e acquisiti dal Demanio, nel 1778-79 la chiesa ed il vecchio convento dei francescani situato in c.so S. Lazzaro (oggi c.so Garibaldi) fu abbandonato dai religiosi e furono requisiti dalle truppe francesi ed austriache, che praticamente distrussero i locali loro riservati.
Fino ai primi anni dell'800 l'ospedale civile di Sanremo era nel quartiere del Piano (in'tu Ciàn), nell'attuale via Corradi e precisamente nell'edificio che oggi ospita la Federazione Operaia Sanremese, ma tale sede non era più considerata idonea per le necessità della popolazione.
Nel 1810, l’Ospedale venne trasferito nell'edificio dell'ex convento, ormai liberato dagli occupanti, adiacente all'attuale Chiesa degli Angeli, che i nostri vecchi hanno sempre chiamato "a Geixa du Cuventu".
Questo edificio ebbe una parte molto importante nella storia di Sanremo, perché in effetti fu il primo vero Ospedale della città, voluto fortemente da Margotti , dopo quello del Piano, e attuato grazie alla lungimiranza di Napoleone, per cui fu chiamato anche Ospedale Napoleonico.
All’inizio, l'edificio che doveva ospitare l'ospedale era in condizioni quasi fatiscenti, visti i trascorsi, e furono necessari molti lavori per poterlo adibire al nuovo scopo.
Sulla facciata venne apposta una lapide, successivamente distrutta con parte della muratura, che ricordava, in latino, come quel luogo una volta serviva per ospitare i frati e ora gli ammalati.
Le opere di adattamento, miglioramento e mantenimento della struttura durarono per molti anni e ancora verso il 1880 si prevedevano altri interventi.
Nel periodo di attività, questo ospedale dovette fronteggiare epidemie di colera, vaiolo e vennero curate, fra gli altri, anche le vittime dei lupi, detti cervieri, che invasero i boschi della zona nella prima parte dell'800.
La strumentazione medica e i medicinali in uso a quei tempi oggi farebbero probabilmente inorridire, ma sicuramente i medici che operarono in quel periodo si adoperarono con abnegazione per ottenere i risultati migliori possibili.
Una volta dismesso come ospedale, l'edificio fu convertito in caserma e potenziata da Napoleone III divenne sede del Comando di Reggimento dei Bersaglieri e più tardi del Distretto Militare. Nel secondo dopoguerra, sulla stessa area subentrò il mercato dei fiori e oggi c'è il Palafiori.
Nel XVIII° secolo , ma anche in seguito, Sanremo fu colpita da numerosi casi di epidemie dovute a colera, vaiolo (vedasi il capitolo Igiene e Sanità) e dalla lebbra.
Quest'ultima portata, sembra, da marinai provenienti dall'Oriente e diffusasi rapidamente tra la popolazione più povera, aveva creato un alto numero di infelici che si rifugiavano dove capitava e la vista di questi lebbrosi, vaganti ed elemosinanti per le vie della città, erano uno spettacolo ben poco piacevole a vedersi.
L'Ospedale Mauriziano
A partire dagli anni Trenta dell’Ottocento era tornata d’attualità la questione della lebbra, in particolare nel territorio ligure.
Da un’inchiesta fatta predisporre dal re Carlo Alberto nel 1837 era emerso che i circa venti lebbrosi presi in carico dall’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro si concentravano nelle province di Nizza, Chiavari, Savona, Sanremo e Oneglia. I responsabili dell’Ordine Mauriziano pensarono quindi di individuare un luogo più consono alla gestione dell’infermità, dove poter curare adeguatamente i malati.
Essendo l’intendenza di Oneglia quella maggiormente colpita, in un primo tempo si pensò di situare in quell’area un nosocomio specifico per la cura e l’accoglienza dei lebbrosi. Successivamente Carlo Alberto ordinò a una commissione appositamente costituita di recarsi sul posto a riconoscere ed individuare tutti i lebbrosi esistenti nei vari territori, e fornire loro un sussidio in denaro (una lira a testa al giorno) finché non si fossero presi altri provvedimenti più idonei.
La Regia Magistrale Commissione sui lebbrosi, formata dal dottor Lorenzo Granetti e dal segretario Mella, visitò dal 2 marzo al 2 giugno 1839 i lebbrosi delle due riviere (divisione di Nizza e divisione di Genova). In una relazione stilata l’8 marzo 1841 dal dottor Granetti sarebbero risultati dodici casi di lebbrosi, di cui sei alla Turbia (Nizza), uno a Montalto, uno a Camporosso e quattro a Varazze.
A Sanremo, invece, sarebbero stati registrati due casi di lebbra nel 1841, quattro nel 1842 e sei nel 1844. La situazione era quindi piuttosto seria e si complicava ulteriormente in quanto alcuni lebbrosi sfuggivano a ogni controllo, mentre altri, non lebbrosi, esponevano alle autorità la loro malattia come lebbrosa, magari anche certificata con dichiarazione medica.
Che la situazione non accennasse a migliorare è confermato da una relazione trasmessa a Carlo Alberto dalla segreteria dell’Ordine Mauriziano il 4 giugno 1841. Nella relazione veniva espressa l’opinione come l’unico rimedio utile per sanare la situazione, sarebbe stato il ricovero dei lebbrosi in ospedale.
Contemporaneamente si stendevano una serie di relazioni cliniche sulla lebbra, tra cui quella compilata dal dottor Granetti nel 1839 e quella del dottor Trompero del febbraio 1843.
Frattanto, su richiesta di Carlo Alberto al consiglio dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, accertata l’opportunità di fondare il nuovo «ospedale de’ Lebbrosi» in Riviera, si era provveduto a una valutazione dei diversi siti per la sua ubicazione.
Già il 18 marzo 1837 il primo segretario del Gran Magistero dell’Ordine Mauriziano, Venceslao Arborio Gattinara aveva informato l’intendente di Oneglia Carlo Farcito di Vinea e il vicario foraneo Giambattista Belgrano che il sovrano intendeva affidare loro l’incarico di occuparsi dell’erezione di un lebbrosario nella loro città.
Venne quindi studiato un progetto per trasformare in lebbrosario il convento di Sant’Agostino, capace di ventisei letti, o di erigerne uno nuovo di sessantasei letti presso l’ospedale civile.
Il 2 luglio 1839 Granetti inviò una pianta per la costruzione del lebbrosario di Oneglia, disegnata da Luigi Celestino Foppiani, professore di architettura civile all’Università di Genova, pianta che ricalcava da vicino quella del regio manicomio di Genova, realizzato dall’architetto Carlo Barabino.
Una relazione fatta curare nel 1847 dal conte Maurizio Nicolis di Robilant, delegato provvisorio per la supervisione degli ospedali dell’Ordine, esponeva nel dettaglio le caratteristiche dei “locali visitati”, con relativo “avviso” sulla loro trasformabilità.
Vi figuravano due edifici di Albenga (già conventi rispettivamente dei francescani e di San Bernardino dei frati minori osservanti), giudicati troppo esigui e troppo costosi da trasformare; tre spazi in Oneglia (il convento di Sant’Agostino, già proposto nel 1838 per diventare lebbrosario, anche qui valutato di difficile trasformabilità; un convento a Porto Maurizio di proprietà del vescovado di Albenga, che tuttavia non poteva fungere da lebbrosario provvisorio per la carenza cronica di acqua durante il periodo estivo; e infine, a Sanremo, il « locale costrutto dalla Città per uso di Seminario… che trovasi sulla più elevata parte di detta Città… poco prima di giungere a magnifico Tempio dedicato alla Vergine, detta della Costa, [ove] sorgeva una volta un convento di Nicoliti ».
A questo edificio, già sede del monastero degli Agostiniani Scalzi dal 1681, trasformato in seminario nel 1831 (senza essere però mai usato come tale) e situato poco lontano dal santuario della Madonna della Costa, in posizione molto arieggiata e con uno splendido panorama sul mare, furono subito rivolte le attenzioni dell’Ordine.
La mancata destinazione a seminario, dovuta a una serie di divergenze sorte tra il vescovo di Ventimiglia e l’amministrazione comunale, che sarebbe stata propensa a una permuta dei fabbricati per ricavare proventi per la “grandissima opera di un porto che sta sempre meditando”, al pari della notevole ampiezza dell’edificio, parevano indicarlo come il più idoneo per la trasformazione in lebbrosario. Dotato di cinque piani, la struttura era fornita di una propria cisterna, cui era possibile garantire adeguato afflusso d’acqua con una deviazione del canale di adduzione costruito dalla municipalità per alimentare le fontane cittadine.
Oltre ai servizi generali, si sarebbero potuti ricavare inoltre sessanta “celle”, mentre – annota la relazione – sarebbe opportuno fin da subito acquisire il contiguo giardino, già di pertinenza del fabbricato, e allora assegnato gratuitamente alle “Monache dette Turchine”.
Secondo le stime preventivate dal capo di divisione dell’amministrazione e del contenzioso dell’Ordine Giuseppe Guinzio, recatosi a Sanremo per ispezionare il fabbricato, che sembrava al conte di Robilant il più idoneo, le spese per la trasformazione del complesso sarebbero ammontate a 20.000 lire, rispetto alle 30.000 chieste in prima battuta, cui andavano aggiunte ulteriori 5000 lire per l’acquisto del giardino delle monache, con un esborso finale di 85.000 lire.
Con atto dell’8 gennaio 1847, peraltro, il sovrano aveva già destinato al funzionamento ordinario del nuovo lebbrosario i proventi della Commenda di Montonero, di cui godeva fino a quel momento, per la somma di 26.000 lire, che sarebbero state in breve portate a 30.000. Nel 1848 si procedette quindi all’acquisto del complesso dell’ex convento e del giardino delle monache, cui si aggiunse un’ulteriore striscia di terreno coltivata a frutteto, della quale avrebbero potuto occuparsi i degenti. Nello stesso tempo veniva avviata la prima progettazione dell’edificio, commissionata dal conte di Robilant all’ingegnere dell’Ordine, Carlo Bernardo Mosca. Al Consiglio dell’Ordine venne comunicato l’espletamento degli atti di acquisto e il conferimento dell’incarico al cavalier Mosca per le valutazioni da effettuarsi per rendere lo stabile idoneo alla nuova funzione di lazzaretto, nella seduta straordinaria del 26 febbraio 1848. Intanto Mosca si recava a Sanremo, insieme al patrimoniale dell’Ordine, per effettuare un sopralluogo sul sito, affidando il compito di approntare gli studi preliminari a un tecnico locale di assoluto valore: l’ingegnere della provincia di Sanremo Davide Pontremoli.
Appena ricevuto l’incarico, l’ingegner Mosca non avanzò nessuna obiezione in merito all’ubicazione del futuro lebbrosario, ma espresse un certo scetticismo sulle modalità di costruzione del nuovo edificio, per cui chiese che venisse interpellata la Reale Accademia Medicina di Torino, su una serie di punti esposti in un apposito questionario. La Reale Accademia di Medicina, attraverso il suo presidente Secondo Berruti, rispose a tutti i quesiti, ma soprattutto insistette sui seguenti punti:
1) dal momento che la lebbra era una malattia contagiosa, i lebbrosi avrebbero dovuto essere ricoverati in camere singole;
2) il numero dei letti doveva essere pari a sessanta per soddisfare tutte le esigenze di ricovero;
3) si doveva installare un servizio di bagni di acqua semplice e uno di acqua sulfurea.
Ricevuto il parere dell’Accademia, il Consiglio dell’Ordine Mauriziano decise di costruire il lebbrosario di Sanremo in base ai fondi a sua disposizione.
La versione ufficiale del progetto venne stilata il 30 ottobre 1850, e fu solo “sottoscritta” dal cavalier Mosca, ma la sua stesura effettiva risale all’8 novembre 1848, e venne firmata dall’ingegner Davide Pontremoli, che ne fu quindi il vero autore. Il trasferimento del grandioso progetto in un programma realmente realizzabile spettò però all’ingegner Ernesto Camusso, stabilmente al servizio della Sacra Religione per tutti gli interventi di natura ospedaliera.
Il progetto complessivo trasformava il vecchio monastero in sistema nosocomiale di grande impatto visivo in posizione dominante, ma abbastanza discosta dal nucleo più densamente abitato, dotandolo di una evidente connotazione classicista, con le insegne dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro bene in vista, per una spesa complessiva di 329.762 lire. Nel 1853 era stata tra l’altro aggiunta un’ulteriore ala al convento per ospitare i lebbrosi.
Il 19 settembre 1855 giunse a Sanremo, inviatovi da Vittorio Emanuele II, l’ingegner Giovenale Gastaldi, per assumere la direzione dei lavori di sistemazione dell’antico convento.
Dopo il completamento dell’edificio, il 18 settembre 1858 Vittorio Emanuele II emanò il decreto con cui affidava al primo segretario del Gran Magistero dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro Luigi Cibrario l’incarico di adottare le misure necessarie in vista dell’inaugurazione del lebbrosario, che così recitava:
« Vittorio Emanuele II Re di Sardegna, di Cipro e di Gerusalemme, Duca di Savoia, di Monferrato e di Genova, Principe di Piemonte, Generale Gran Maestro dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro: uno degli ardenti voti dell’Augusto mio Signore e Padre, di gloriosa memoria, trovasi ora compiuto, mercé l’ultimazione dell’Ospedale pei lebbrosi d’ambo i sessi che il prelodato Sovrano prescriveva si erigesse nella Città di Sanremo; lieto che sia condotto a termine questo nuovo stabilimento di beneficenza dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, il quale rimane sotto la dipendenza della nostra Segreteria del Gran Magistero e volendo che si addivenga senza ulteriore ritardo all’apertura del medesimo a pronto sollievo dei poveri lebbrosi: commettiamo al Nostro Primo Segretario del Gran Magistero Don Luigi Cibrario, Cavaliere di Gran Croce, decorato del Gran Cordone dell’Ordine anzidetto, Cavaliere dell’Ordine del Merito Civile di Savoia, Senatore del Regno, di procedere in nome Nostro all’apertura di quello stabilimento e di fare tutte quelle disposizioni che sono del caso. E desiderando che di quest’atto rimanga memoria non peritura, ordiniamo che apposita iscrizione su la lapide marmorea ne faccia menzione, dichiarando: essere Mente Nostra che uno dei tre originali del presente diploma sia murato dietro essa lapide, che l’altro originale venga conservato nei Regi Archivi dell’Ordine previa le consuete registrazioni ».
La mattina del 18 ottobre 1858, alla presenza del segretario e ministro dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro Luigi Cibrario, in rappresentanza del sovrano, del cavalier Luigi Sassi, primo direttore sanitario della struttura, proveniente dall’ospedale di Valenza, del vescovo di Ventimiglia Lorenzo Biale e di quello di Nizza Jean-Pierre Sola, si svolse la cerimonia di inaugurazione del nuovo lebbrosario.
Il discorso ufficiale fu tenuto dal dottor Alessandro Rambaldi, che, nel corso del suo intervento, avrebbe dichiarato tra l’altro:
« Ma egli è pur vero che nelle più afflitte emergenze si mostrano mai sempre uomini privilegiati di gran cuore di alto sentire, che, indefessi il pubblico vantaggio operando, sanno acquistarsi il più sacrosanto diritto alle benedizioni dei contemporanei, ed alla riconoscenza delle più lontane generazioni. Tali di fatto si furono gli Ospitalieri di Gerusalemme - modello di ogni più sublime virtù. Questi non solo accoglievano in apposito Ospizio i pellegrini, che dalle provincie Cristiane si recavano a visitare i Luoghi Santi; non solo quai valenti e generosi guerrieri li difendevano dalle aggressioni dei Turchi e degli Arabi; ma caldi di cristiano affetto prestavano agli infermi di lebbra ogni genere di più umile e pietoso servizio. Ond’è che in questi uomini, che come a tutta ragione li dice il chiarissimo Alibert, mentre - con una mano soccorrevole assistevano gli sventurati, coll’altra combattevano gl’infedeli, ora pacifici, ora guerrieri, la umanità pareggiava il militare valore. Tale si fu ben anco l’inclito, né mai debitamente commendato Ordine religioso-militare di S. Lazzaro: - Istituzione meritevole di onorare tutti i secoli. - E per verità quai modi varrebbero a tutti enumerare e dicevolmente descrivere gli altissimi pregi, di cui andavano riccamente forniti i suoi Cavalieri? Quali condegne laudi tributar si potrebbero al lor Evangelico eroismo? Essi, del pari che i primi Spedalieri, consacrando la loro vita a soccorso di quanti commiserevoli lebbrosi, languivano nell’abbandono degli uomini, li ricettavano in opportuni Ospedali, e con ogni maniera di conforti li racconsolavano. La fama delle loro amorevoli cure, ampiamente diffusa fra i popoli cristiani, fe’ si che le famiglie agiate gareggiassero per coadiuvarli nella umanissima opera, onde sì cospicue furono le dovizie accumulate, che verso il 1300 la Cristianità contava diecinovemila Maladrerie. Qui non dobbiamo passare sotto silenzio e senza ben meritato encomio i Monarchi di Francia Luigi VII, Filippo Augusto, Luigi VIII, siccome splendidissimi proteggitori dell’Ordine di S. Lazzaro, ed in modo specialissimo quel Santo Luigi IX, il quale, ardente di quel zelo istesso per cui S. Basilio nell’Ospedale di Cesarea nec aegrotis admoveri gravabatur, sed ut fratres amplectebatur, leprosos deosculabatur, dopo aver apportato ogni sorta di caritatevole aiuto ai lebbrosi, medicandoli egli medesimo, e prediligendo sempre i più contraffatti e più stomachevoli, lasciava in testamento legati per duemila lazzaretti. E a dar compimento al quadro delle eminenti virtù, che tanto distinsero i Cavalieri dell’Ordine succennato, farò osservare come questi, non solo non difficoltassero di ammettere nella loro corporazione gli affetti da lebbra, ma giudicassero anzi opportuno che Gran Maestro ne fosse un lebbroso, - acciocché - come osserva Cantù - meglio sapesse consolare mali, che aveva provati. - E fu soltanto nel 1572 che l’immortale Emmanuele Filiberto otteneva dal Romano Pontefice Gregorio XIII venisse creato l’Ordine di S. Maurizio, e unito a quello di S. Lazzaro, e che quindi in poi fossero dichiarati Gran Maestri del duplice Ordine i valorosissimi e religiosissimi Duchi di Savoia ».
Sotto il busto di Vittorio Emanuele II, il giorno dell’inaugurazione, fu murata una lapide, oggi non più esistente, come lo stesso busto del sovrano, sul quale venne incisa la seguente iscrizione, dettata dal conte Cibrario: « Providentia atque munificentia Regum / Caroli Alberti et Victorii Emanuelis II / Magistrorum Ordinis Mauritiani Lazzariani / valetudinarium / in solatium aegrorum / lepris laborantium constitutum / anno MDCCCLVIII. / Curam agente Aloisio Cibrario V. E. Equite Senatore / Ordinis Maurit. Lazar. antistite / Friderico Colla V. E. Equite Senatore Praefecto Aerarii / Ernesto Camusso architecto ».
Anche dopo la sua trasformazione in ospedale civile nel 1883, il Mauriziano avrebbe conservato due sezioni per i lebbrosi, una per i maschi e l’altra per le femmine, che assunse la denominazione di “infermeria Carlo Alberto”, mettendo a disposizione del Comune sedici letti per il reparto dei colerosi, il cosiddetto “lazzaretto”; anche il ricovero di questi ammalati sarebbe stato a carico dell’amministrazione comunale.
Dopo la solenne inaugurazione, il nuovo nosocomio cominciò subito a prestare la sua opera assistenziale, ricoverando cinque uomini e quattro donne, cui si aggiunsero entro l’anno altri quattro ricoverati, fino a un massimo di venti. Nell’organico del lebbrosario erano compresi un direttore, un segretario, un cassiere economo, un amanuense, un medico ordinario, un chirurgo ordinario, un medico chirurgo assistente interno e un cappellano.
Alla direzione amministrativa del lebbrosario si succedettero, dopo il cavalier Sassi, il cavalier Mercet, il commendator Giulio Ferrero, il cavalier Bachelet e il cavalier Giuseppe Torazzi.
Primario sanitario fu nominato il dottor Alessandro Rambaldi, che vinse il relativo concorso prevalendo sul dottor Francesco Onetti, autore di una pubblicazione sulla lebbra, dove aveva sostenuto che il morbo non era da considerarsi pericoloso, mentre il dottor Rambaldi lo riteneva invece contagiosissimo e facilmente trasmissibile da una persona all’altra per contatto corporale. Oltre alla carica di direttore sanitario del lebbrosario di Sanremo, il dottor Rambaldi assunse pure l’incarico di medico condotto per l’assistenza ai poveri della città.
Durante la gestione del commendator Ferrero, per via di alcuni gravi errori di natura amministrativa, la cassa dell’opera pia venne affidata all’architetto Giovenale Gastaldi, che assunse così l’incarico, confermatogli il 28 giugno 1863, di amministratore unico del lebbrosario, rimanendo poi in carica fino al 1881, quando fu collocato in pensione.
Il numero dei lebbrosi ricoverati sarebbe stato di discreta entità nei primi anni: 14 nel 1858, 19 nel 1860, 29 nel 1861, 25 nel 1862, per scendere già nel 1864 a quattro unità e a nessun degente nel 1867. Poi si sarebbe registrata una lieve ripresa, ma dal 1874 al 1880 non vi sarebbero stati più di sette o otto ricoveri all’anno. Ciò sarebbe stato determinato da vari fattori concomitanti: diminuzione generica delle fonti di contagio, cessione della contea di Nizza alla Francia, morte dei lebbrosi più vecchi.
Per questi motivi, con regie magistrali patenti del 14 giugno 1871 e del 1° dicembre 1872, cominciarono ad essere ricoverati anche degenti affetti da altre malattie contagiose.
Malgrado questo ripiego, sembrò tuttavia all’amministrazione civica che un così capiente edificio, per la cui costruzione si erano spese tra l’altro delle ingenti somme, potesse servire meglio la comunità cambiandone la destinazione, tanto più che il vecchio ospedale era diventato ormai insufficiente per soddisfare i bisogni dell’accresciuta popolazione sanremese. Di qui la richiesta all’Ordine Mauriziano di cedere al Comune la proprietà del lebbrosario.
Con l’accordo siglato il 22 giugno 1882 dal notaio Taccone tra l’Amministrazione comunale di Sanremo e l’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, quest’ultimo cedeva il lebbrosario al Comune per essere adibito ad ospedale civico. Come avrebbe scritto Paolo Boselli, il regime del nuovo istituto venne così stabilito:
« I lebbrosi e gli altri dermatosi dovevano esservi accolti e curati a norma dei vigenti regolamenti, su iniziativa dell’Ordine, che conservava sull’ospedale un diritto di alto patronato da esercitarsi a mezzo di uno speciale delegato, e si disponeva per essi di venti letti gratuiti. La dotazione del lebbrosario, che dalle lire 33.000 annue iniziali erasi ridotta nel tempo in seguito a Regi M. Decreti dell’11 dicembre 1873 e del 7 ottobre 1881 a lire 26.000, venne ritirata dall’Ordine: il valore degli stabili ceduti figurò, in quegli atti, di lire 100.000, e quello dei mobili, biancheria ed arredi di lire 40.000: estimo evidentemente inferiore al valore reale, specialmente per quanto riguarda i fabbricati e i terreni. Una clausola speciale del contratto stabilì inoltre che l’edificio ceduto non potesse mai avere altra destinazione fuorché quella di Ospizio per la lebbra e per le altre malattie affini, o di Ospedale per le malattie acute, potendo, in caso contrario, a volontà dell’Ordine, essere la cessione revocata. Contemporanemente alla convenzione con l’Ordine Mauriziano il comune di San Remo ne faceva un’altra con la locale Congregazione di Carità amministratrice dell’Ospedale Civico, alla quale deferiva pure l’amministrazione della Sezione dei lebbrosi, corrispondendole in compenso una lira per ogni giornata di presenza di lebbroso inviato dall’Ordine ».
Con questo atto formale terminava così la lunga storia dell’assistenza ai lebbrosi sanremesi da parte dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro.
L'Ospedale Civile di Sanremo
Agli albori del secolo scorso si sentiva l'esigenza di una nuova struttura ospedaliera in grado di rispondere all'emergenza e dotata di tutte le moderne strutture per assicurare, alla città in crescita. un servizio sanitario efficiente.
Il 27 aprile 1901 infatti, si riunì la Commissione Amministrativa dell'Ospedale Mauriziano, presieduta dal senatore Ernesto Marsaglia, presidente della Congregazione di Carità di Sanremo per discutere la possibilità di dotare Sanremo di un nuovo nosocomio.
Ci volle molto del tempo per percorrere una strada lunga e tortuosa...
Il primo progetto ideato e fortemente voluto dal l'ingegner Pietro Agosti, prevedeva la costruzione di un nuovo edificio a padiglioni separati nella località dove in seguito fu effettivamente costruito.
La spesa complessiva sarebbe stata divisa tra Comune e Congregazione, e molti benefattori, tra cui l'avv. Bernardo Massabò che donò tutte le sue sostanze, concorsero con offerte a questo progetto.
Purtroppo, per motivi finanziari, nonostante fossero già iniziate le espropriazioni, la cosa non andò a buon fine
Successivamente furono prese in considerazione altre prospettive:
a) adattamento del Ricovero Marsaglia a padiglione ospedaliero,
b) acquisizione dell'Hotel West End,
c) adattamento dell'Ospedale Tedesco di costruzione ex novo su terreni dei Fratelli Capoduro nei pressi di Corso Victor Hugo (hotel Quisisana e l'attuale Corso Matuzia)
Finalmente l'anno 1928 la Commissione Amministrativa della Congregazione bandì un concorso per la costruzione di un nuovo Ospedale.
L'ingegner Antonio Sibilia, torinese. esperto nel campo dell'edilizia ospedaliera. espose una relazione che riassumeva tutte le esperienze passate ed aveva il pregio di concepire la costruzione con criteri decisamente nuovi, inserendosi in un clima di orgoglio nazionale, tipico dell'epoca. Scartata l'idea di un adattamento di vecchi fabbricati, come si era soliti fare, propose la costruzione di un nuovo edificio sul terreno alle spalle del ricovero Marsaglia che era bene esposto al sole ed aveva il vantaggio di essere già di proprietà della Congregazione.
Sibilia fece inoltre un elenco di tutte le opere necessarie: dalla strada adeguata, al sistema fognario, ai giardini e aiuole per il confort dei degenti.
Il Consiglio Sanitario Provinciale espresse parere favorevole al progetto che prevedeva una spesa di Lire 4.000.000.
L'Ospedale, denominato Vittorio Emanuele III sorse in base a questi postulati fondamentali:
a) avere una disponibilità di 150-160 letti, facilmente elevabile in caso di necessita;
b) permettere la costruzione di un facile ingrandimento, quando in avvenire la capienza non fosse più sufficiente;
c) pur attenendosi al criterio delle costruzioni a padiglione, non incorrere in eccessivo decentramento in modo da assicurare i servizi senza aumentare le spese;
d) rispondere a tutte le esigenze sanitarie, avendo presente che, ad eccezione della pediatria, della oculistica e della otorinolaringoiatria, già presenti sul territorio in altre sedi, tutte le altre specialità oltre a medicina e chirurgia generale vi debbano essere esercitate;
e) costituire un centro di irradiazione di cultura medico chirurgica per attrarre o favorire la frequentazione di giovani medici della città e della regione.
La Rivista "Ospedali d'Italia", edita nel 1942 ritiene: « L'Ospedale di San Remo come uno dei migliori tipi di ospedale di media grandezza, non solo per la invidiabile ubicazione, per la bellezza architettonica dei suoi fabbricati, per la signorile e molto ben riuscita ambientazione intensa, ma anche per la ricchezza e completezza dei suoi impianti che corrispondono alle più moderne e signorili esigenze della tecnica ospedaliera ».
Il nuovo Ospedale, era circondato da vaste zone verdi con una impareggiabile vista sulla Città sottostante e sul mare. II recinto ospedaliero misurava una superficie di mq. 26.800, pari a circa mq. 185 per letto. Per la orientazione dei fabbricati, tenuto conto dei dati calorimetrici locali, dei venti dominanti, della giacitura del terreno era stata prescelta una esposizione a Sud-Est.
Come tipo di costruzione si fu seguito il criterio dell'accentramento dei servizi, contemperandolo con le esigenze e coi requisiti collinari, non consentendo il regolamento edilizio urbano, la costruzione nelle zone collinari di fabbricati eccessivamente sviluppati in lunghezza o altezza, non sarebbe stato possibile costruire un unico monoblocco, anche per decentrare le malattie contagiose e distaccare dai reparti di degenza i servizi settici: lavanderia, disinfezione, deposito mortuario.
Il nuovo Ospedale. si presentava così costituito da un gruppo principale di quattro fabbricati collegati a croce che occupavano un ampio piazzale alla quota di 85 metri sul mare, e comprendenti i servizi all'entrata dell'Ospedale e le degenze comuni, e di altri fabbricati minori a monte (isolamento - tubercolotici - disinfezione - lavanderia e centrale termica) in modo da sfruttare i dislivelli del terreno collinoso.
Il fabbisogno di posti-letto del nuovo Ospedale era stato fissato in 170 così suddivisi: Medicina 52, Chirurgia 52, Cronici 20, Ostetricia e Ginecologia 12, Tubercolotici 16, Infettivi 8, Degenza temporanea 4.
Il numero dei letti fu infine di 140: per motivi economici furono sacrificati gli alloggi delle suore e del personale come anche il reparto dei degenti a pagamento.
Il Nuovo Ospedale Civile Vittorio Emanuele III fu inaugurato il 28 ottobre del 1936. Ma il trasferimento dal vecchio dovette aspettare l'anno successivo: il Commissario Prefettizio deliberò il trasferimento dei degenti solo il 20 marzo 1937.
Opera magnifica per l'epoca ed innovativa fu salutata come un'opera del regime fascista a beneficio del popolo italiano secondo il classico "salus popoli suprema lex".
Fu considerata esempio di Edilizia Moderna Ospedaliera al punto che il Comune di Milano invitò il Comune di Sanremo a partecipare alla Fiera Campionaria Internazionale di Milano che si tenne dal 12 al 27 aprile 1937, cui Sanremo partecipò con un plastico dell'Ospedale.
Ospedale Andrès Nuñez del Castillo
Sotto l'Amministrazione del Sindaco Orazio Raimondo, venne inaugurato, tra il 1906 e il 1908, in zona Borgo Pescio, l'Ospedale intitolato ad Andrés Nuñez del Castillo.
Ciò fu possibile grazie alla generosa donazione fatta dal Marchese e Conte Beniamino Carlo Nuñez del Castillo, che in memoria dello zio Andrés donò nel 1905 terreno ed edificio alla città di Sanremo, costruendo così l’ospedale pediatrico che per tanti anni ha servito la città dei fiori.
La progettazione dell'edificio fu assegnato all'ingegnere Pietro Agosti.
L'ospedale era Pediatrico perché al benefattore stavano a cuore le condizioni precarie dei bambini che non potevano essere ospitati dall'Ospedale Civile.
L'inaugurazione avvenne nel 1908 col la partecipazione, oltre alle Personalità locali, la Regina Elena, consorte di re Vittorio Emanuele III.
La famiglia Andrès Nuñez del Castillo era di origini spagnole, dal paese di Almunecar presso Malaga da dove nel 1680 il capitano Juan Nunez del Castillo si trasferì a Cuba, ove fondò la città coloniale di San Felipe y Santiago e ricevendo nel 1713 il titolo marchesale da Filippo V.
Ai discendenti della famiglia, a tali titoli si aggiunse nel 1804 quello di Conte del Castillo con Grandezza.
Assai noto nella America centrale fu il marchese, Juan José, colonnello, governatore del Venezuela, gentiluomo del Re; prestò notevoli servizi amministrativi e finanziari allo Stato; morì in Ispagna nel 1758.
Alla Famiglia fu concesso il titolo comitale (mpr.) da S.M. il Re Alfonso XIII in data 8 marzo 1908.
Il ramo italiano discende dal secondogenito di detto marchese Juan José, mentre il ramo primogenito si è spento in Spagna.
C'è tutt'ora l’ultimo discendente della famiglia che per combinazione si chiama Andrea Nuñez del Castillo.
Negli anni '80 del secolo scorso venne l'Ospedale venne chiuso, e fu costruito un nuovo padiglione alle spalle dell'Ospedale Civico, dandogli il nome di Castillo.
(Fonti: Testi di Andrea Gandolfo (Mauriziano; di Marco Mauro (Ospedale civile); immagini da Archivio Privato e Web)