Prospiciente l’omonima piazzetta, detta anche dei Dolori e un tempo dei Gasdia (dal nome di un’antica famiglia nobile locale con possedimenti nelle vicinanze), l’oratorio di San Sebastiano, sito in un pittoresco e suggestivo angolo della Pigna, venne eretto nel 1508 per esaudire il voto fatto dalla comunità di Sanremo il 20 gennaio 1502 a san Sebastiano, protettore contro la peste, per aver miracolosamente preservato la città dalla gravissima pestilenza che proprio in quell’anno aveva flagellato l’intero Ponente ligure.
La costruzione del nuovo oratorio, eretto all’interno del palazzo pretorio, che conserva ancora in facciata il blasone di un podestà genovese, della città di Genova e di quello di Sanremo, con accesso dalla loggia pubblica, fu resa possibile dalla cessione, fatta il 23 gennaio 1509 dal prevosto di San Siro Pietro Gioffredo e dal canonico Girolimo Gaudo, in nome del Capitolo della collegiata, ai cittadini Gio Batta Fabiano e Lorenzo Anselmo, di una casa scoperta e aperta per adattarla a luogo di preghiere in onore di san Sebastiano martire per la somma complessiva di 152 lire genovesi.
La scelta del sito su cui ergere il nuovo oratorio ricadde in particolare sul perimetro delle antiche mura urbane, in modo tale da innalzare l’edificio sacro con un sistema di possenti volte a scavalco sul cosiddetto vallum, una sorta di vallone difensivo situato nelle vicinanze della porta medievale di Santo Stefano.
La conformazione naturale del luogo condizionò inevitabilmente la strutturazione architettonica dell’oratorio, costituito da una pianta rettangolare unita lungo i lati corti al tessuto edilizio. L’ingresso fu posto quindi circa al centro dell’unica parete longitudinale utilizzabile dall’esterno, resa porticata e affacciata su piazza dei Dolori, mentre gli spazi interni mantennero la tradizionale disposizione di tipo longitudinale con l’altare maggiore sistemato sul lato corto dell’edificio.
Nel 1532 il pretore Lorenzo Fornari fece restaurare il palazzo pretorio, come attestato da un’iscrizione incisa su una lapide marmorea, rinvenuta nelle fondamenta dell’oratorio di San Sebastiano dall’allora cappellano della chiesa abate Antonio Ameglio, che poi la fece murare nella sacrestia di fronte alla porta d’ingresso dell’edificio sacro, che già alla fine del XVI secolo cominciava tuttavia a dare evidenti segni di precarietà strutturale.
Nel 1762 l'oratorio divenne sede della confraternita della Madonna dei Dolori, da cui il nome di oratorio "Dei Dolori", e dal 1770 anche quella della Misericordia, un’associazione di laici che si erano assunti l’onere di assistere i feriti negli ospedali, gli appestati e i condannati a morte, nonché di accompagnare i defunti al cimitero.
Intorno al 1770 l’interno venne riccamente decorato dal portorino Maurizio Carrega (1737 – dopo il 1819), al quale seguì il suo concittadino Luigi Varese (1825-1889), che, tra il 1855 e il 1860, realizzò la sequenza di tele dipinte con i Sette dolori della Vergine, tra cui spicca la tela raffigurante la Salita al Calvario.
Dietro l’altare maggiore è collocato un dipinto raffigurante i Misteri della Madonna, donato all’oratorio nel 1860 dalla famiglia Gismondi,
mentre la balaustra in legno dell’organo, inserito in un caratteristico palco orchestrale, conserva una tempera con una veduta della città del primo Settecento, nella quale il campanile di San Siro è raffigurato nell’antico stile romanico sormontato dalla cuspide, che sarebbe stata abbattuta nel 1754 su ordine delle autorità genovesi per punire la città ribellatasi l’anno prima contro il governo della Repubblica.
L’oratorio si presenta a navata unica ed è affiancato da un leggero campanile a cuspide addossato ad una casa confinante che risale però ad un’epoca precedente.
La decorazione corrente lungo le pareti spicca in modo particolare nelle paraste che ritmano l’interno con i loro rilievi, reggenti un lungo fregio. Numerosi dettagli sono stati inoltre dorati, presumibilmente nel corso del XIX secolo.
Sopra la porta d’ingresso dell’oratorio è posta una lastra di ardesia raffigurante il Martirio di san Sebastiano, sottoposta ad un accurato restauro nel luglio 1999 a cura del Lyon Club cittadino e affiancata da quella intagliata con il Sacro Cuore trafitto circondato da figure angeliche.
Nel corso dell’ultimo conflitto mondiale l’oratorio dovette subire i danni maggiori tra quelli patiti nella sua lunga storia.
Nella notte tra il 16 e il 17 aprile 1945, infatti, dopo un inutile tentativo di furto attraverso un finestrino della canonica della chiesetta della Madonna del Borgo, una banda di fascisti appiccò fuoco alle sue sovrastrutture in legno, che andarono completamente distrutte, mentre il resto della costruzione si salvò fortunosamente dalla totale distruzione per il pronto intervento di un reparto di vigili del fuoco. Durante l’infausto episodio vennero purtroppo ridotte in cenere la canonica, la sacrestia e gran parte degli arredi sacri dell’oratorio, che sarebbe stato riattato dopo la fine della guerra.
È interessante la presenza di una lapide incisa del 1642 a fianco della porta d’ingresso, sulla quale qualche solerte funzionario comunale ha incollato un numero civico, senza curarsi di ciò che sottraeva alla storia sanremese, che testimonia lo scarso rispetto dei sanremesi nei confronti delle rigide leggi imposte alla città dal governo genovese.
L’iscrizione ammonisce infatti a non orinare o lasciare immondizie sotto il portico di accesso al palazzo, sotto pena della sanzione pecuniaria allora particolarmente onerosa di quattro lire genovesi. Si avvisava inoltre che si sarebbe dato seguito anche alle denunce anonime in modo da acuire ulteriormente le possibili tensioni tra le famiglie sanremesi, situazione assai benvista dalle autorità genovesi per poter meglio governare la città.
Si ricorda infine che il 18 maggio 1538 sostò brevemente in preghiera, all’interno dell’oratorio, papa Paolo III prima di recarsi nella vicina casa Manara, dove trascorse la notte precedente alla sua partenza alla volta di Nizza per presenziare alla sottoscrizione di una tregua decennale tra Carlo V e Francesco I.
(fonte testi: Andrea Gandolfo e altri; fonte immagini: archivi personali)