Il vechio Palazzo del Commissario
La zona dove sarebbe sorto l’attuale palazzo Nota, era occupata fino alla metà del XIII secolo da un terreno coltivato ad orto disseminato di alberi.
In quest’area, situata a fianco della chiesa di Santo Stefano, venne edificato nel 1258 dall’arcivescovo di Genova Gualtiero da Vezzano il nuovo palazzo arcivescovile, che fu poi ampliato nel 1282 dall’arcivescovo Bernardo de Arimindis da Parma.
Gravemente lesionato ma non completamente distrutto da un incendio verso la fine del XIV secolo, gli fu affiancato dal lato di ponente nello stesso lasso di tempo o al più tardi agli inizi del XV secolo un nuovo altrettanto grandioso edificio che fu destinato a palazzo comunale e sede del Podestà, il funzionario inviato da Genova per governare la città.
Il 25 febbraio 1396 il palazzo arcivescovile era intanto passato di proprietà a Percivalle Curlo, mentre l’11 agosto 1416 il figlio di Percivalle Antonio Curlo lo cedette in enfiteusi ad Andrea Rambaldo.
Il 12 giugno 1478 il vecchio edificio, già sede degli uffici arcivescovili, fu venduto dall’ufficio dei Revisori del Comune di Genova alla famiglia di Bartolomeo Palmari.
Fin dall’inizio del Quattrocento una lunga costruzione occupava già completamente tutto il lato meridionale dell’attuale piazza Cassini, separandola dalla sottostante strada romana (l’odierna via Palazzo), sino al punto dove quest’ultima si immetteva nella via che dal mare saliva verso la porta di Santo Stefano (Via Cavour).
Esattamente nel punto dove le due vie si incrociavano (bivio detto “Croce del Palazzo”) venne costruita una porta, il cui custode risultava regolarmente salariato dal Comune nel 1494.
Nel frattempo il vecchio Palazzo pretorio situato nell’odierna piazza dei Dolori nel complesso edilizio comprendente anche l’oratorio di San Sebastiano, era diventato di fatto insufficiente per le accresciute esigenze amministrative e burocratiche della comunità.
Ai primi del Cinquecento, infatti, forse anche per la difficoltà di raggiungere l’antico palazzo della Pigna, che fu comunque riparato per rispetto all’autorità, il centro politico ed economico della città si era ormai trasferito in piazza Santo Stefano intorno al nuovo palazzo comunale, che venne ingrandito e ristrutturato per rispondere meglio al suo ruolo di rinnovata sede dell’amministrazione municipale.
Con successive delibere del 4 e 11 ottobre e 8 novembre 1532, fu poi deliberata la riparazione della strada che dal palazzo del Comune (detto anche palazzo del Podestà) conduceva al ponte del Cavallo, situato nella zona meridionale dell’attuale piazza Eroi Sanremesi, forse identificabile con il tratto in discesa dell’odierna via Palazzo nel tratto occidentale del suo percorso.
Agli inizi del XVI secolo, all’ala di ponente del palazzo comunale fu unita, mediante un archivolto, una piccola costruzione che serviva per il cavalerio (tipo di ufficiale) del podestà ed aveva di fronte un grande terreno ortivo, corrispondente all’attuale piazza Nota, di proprietà dell’oratorio della Madonna della Costa.
Dopo l’elevazione della città da parte del governo genovese a sede di Commissario generale d’armi nel 1651, con poteri di sorveglianza e giurisdizione su tutto il territorio compreso tra Noli e Ventimiglia, l’amministrazione comunale matuziana, che doveva da allora in poi provvedere alle spese di alloggio del nuovo funzionario, con conseguente aumento dei locali necessari per ospitare l’accresciuto numero di servitori e impiegati, decise di intraprendere la costruzione di un grande palazzo per soddisfare le esigenze derivanti dall’installazione in città del nuovo organo amministrativo.
Venne quindi stabilito l’ampliamento del piccolo edificio dei dipendenti del podestà e del suo vicario, che sorgeva a ponente della porta del Quadrivio, situata proprio all’incrocio della strada romana con quella proveniente dal mare e diretta verso la Pigna.
Il 6 settembre 1666 il Consiglio comunale incaricò allora Agostino Faraldo e Giacomo Balestero di svolgere accurate indagini in merito al proprietario dell’orto situato presso la modesta costruzione dove risiedeva il vicario, e al relativo prezzo richiesto per la sua alienazione. Il 22 giugno dell’anno successivo i due deputati riferirono al Consiglio che l’acquisto del terreno avrebbe richiesto un esborso di 250 lire.
Deciso l’acquisto dell’orto al prezzo proposto, meno di un mese dopo fu conferito l’incarico all’architetto Pietro Antonio Corradi, già autore del progetto dell’attiguo monastero delle Turchine, di predisporre il disegno generale della futura residenza del Commissario governativo.
Risolte alcune controversie derivanti dall’incertezza se un albero di fico cresciuto nella zona fosse stato nel territorio già appartenente al Comune o in quello che esso stava per acquistare dall’oratorio della Costa, ai primi di settembre dello stesso 1667 il Consiglio comunale conferì l’appalto dei lavori per l’erezione del grande fabbricato.
Il capitolato prevedeva la costruzione dell’edificio secondo il piano particolareggiato già predisposto nell’aprile precedente dall’architetto Gio Batta Martini, che aveva previsto il prolungamento di un palmo della lunghezza complessiva del palazzo rispetto a quella originariamente stabilita da Corradi nel suo progetto iniziale del 1659.
Le spese per la costruzione dello stabile comprendevano anche quelle per la realizzazione di porte, serrature, finestre, balconi, rondini e simili, tranne i vetri. Martini venne pagato con la somma di quattro scudi d’argento, mentre Corradi fu ricompensato con due barili d’olio. Due successivi stanziamenti di 8 mila e 2 mila e cinquecento lire, erogati rispettivamente nell’agosto 1668 e il 12 aprile 1669 e diretti al Martini, sostennero i costi del palazzo, che erano evidentemente lievitati. Pare comunque che la spesa per l’erezione del fabbricato sia ammontata complessivamente a 13 mila lire, come risulta da un atto del 1670.
I lavori di costruzione dell’edificio, iniziati nel settembre 1667, si conclusero definitivamente soltanto nel luglio del 1680, sotto la direzione del capo cantiere Gio Batta Aicardo, poi sostituito a partire dal 1678 da Maria Antonio Fornaro. Nel corso di tali lavori fu anche presentato un progetto di ampliamento e miglioramento della struttura, che venne predisposto nel 1671 dallo stesso Martini, già autore del piano del 1667.
Nel 1676 le autorità locali avevano frattanto richiesto al Senato della Repubblica l’autorizzazione a far dipingere le Armi della Comunità sul palazzo, per la cui costruzione furono stanziate altre mille lire nei mesi di aprile e giugno del 1678. Fu tuttavia soltanto nel 1687 che nel palazzo appena ultimato si insediò in forma ufficiale il Commissario generale della Repubblica.
Tra il 1757 e il 1762 furono invece eseguiti alcuni interventi mirati ad una completa ristrutturazione dello stabile, che era stato danneggiato dai bombardamenti navali del 1678. Gli interventi, che portarono alla realizzazione del piano nobile e di un piano di mezzanini, furono diretti in particolare dal capo d’opera Pietro Cantone, che si avvalse della collaborazione, in qualità di assistente, del cognato Giuseppe Fontana, oltreché del pittore e architetto Francesco Carrega.
La ristrutturazione incluse anche la decorazione a stucco in rilievo dei paramenti esterni secondo lo stile dei grandi palazzi genovesi. La nuova sistemazione della facciata antistante l’attuale piazza Nota rispetto a quella del secolo precedente, determinò tra l’altro un notevole aumento delle dimensioni dell’edificio, un suo cospicuo arricchimento sotto il profilo decorativo ed una maggiore cura dei dettagli architettonici finalizzata a rendere il palazzo ancora più importante e prestigioso.
Verso piazza Nota il prospetto principale dell’edificio è disposto su due piani, oltre al pianterreno e al mezzanino, ed è scandito da dieci assi di finestre, di cui solo i primi sette presentano una scansione regolare. Il secondo piano, o piano nobile, di più recente costruzione, è caratterizzato, oltre che dalle grandi finestre con timpani e incorniciature assai elaborati, anche da elementi orizzontali che fuoriescono leggermente dal corpo del fabbricato, quali una cornice, un marcapiano e un cornicione.
Al pianterreno il portone d’ingresso è invece sormontato da un fregio marmoreo in rilievo raffigurante l’emblema della città, realizzato nel 1713 dallo stuccatore ticinese Gio Andrea Manni e collocato in posizione laterale rispetto all’asse principale del palazzo.
Anche la facciata prospiciente via Palazzo risulta molto diversificata per il fatto di essere costituita dal corpo di fabbrica più massiccio e da quello sporgente, il cosiddetto «dente», al cui livello si apre al terzo piano una loggia movimentata da quattro archi e cinque paraste ornate con un capitello.
La fronte retrostante è invece scandita da aperture murarie sottolineate da cornici e timpani in rilievo, il cui apparato decorativo presenta alcune lievi differenze rispetto a quello della facciata antistante piazza Nota.
Il piano nobile del palazzo, risalente per intero al XVIII secolo, era destinato in particolare ad ospitare le sale di rappresentanza e i salotti per le riunioni, che erano tutti coperti da volte a padiglione.
Al primo piano del palazzo era stata inoltre realizzata, su iniziativa del governatore Domenico Maria Doria, una cappella, poi terminata nel 1722, dove veniva celebrata una Messa nei giorni festivi alla presenza del Commissario generale e degli altri funzionari dell’ufficio governativo sanremese.
Nel corso del XIX secolo il palazzo, allora sede municipale, fu sottoposto ad alcuni lavori di ornato su disposizione del sindaco Carli, che li finanziò con le provvisioni di rappresentanza del suo ufficio, mentre nell’agosto del 1841 venne deliberata una generale ristrutturazione degli uffici comunali, poi progettata dal regio misuratore Paolo Ammirati tra gennaio e febbraio del 1842.
A tali lavori seguirono altri interventi di minore portata, tra cui quelli eseguiti nel 1840 dal decoratore Giovanni Capoduro nei saloni del palazzo, che pare siano stati affrescati in precedenza dal pittore portorino Maurizio Carrega.
Il palazzo, rimasto sede del Comune fino al definitivo trasferimento degli uffici municipali a Palazzo Bellevue nel 1968, ha continuato ad essere di proprietà comunale ed è oggi diventato Sede del Museo Comunale dopo il suo trasferimento dal Palazzo Borea d'Olmo, oltre a sede di varie associazioni e numerosi esercizi pubblici su via Palazzo.
(Fonti: per il testo Andrea Gandolfo; Immagini da Archivio Privato e Web)