La Storia nei dettagli
Dalle origini ai tempi nostri
Il primo embrione del futuro porto di Sanremo esisteva probabilmente fin dai tempi delle incursioni dei Saraceni tra il IX e il X secolo. Già nel 1170 la città era in grado di armare una galea per la difesa della navigazione. In epoca medioevale erano molti i marinai sanremaschi che con i loro velieri solcavano i mari e dovevano essere molto bravi se secondo un antico detto provenzale " Li gens di San Remu navigoun san remu " cioè riuscivano ad attraccare con il solo ausilio della vela, manovra tutt'altro che facile. Nel 1130 i genovesi sbarcarono nel porto matuziano i propri soldati per muovere guerra alla potente città di Ventimiglia. Poco più di trent’anni dopo alcuni marinai di Sanremo sarebbero comparsi, con altri uomini di mare delle località limitrofe, in una convenzione stipulata con marinai di Roma.
I rapporti tra Genova e Sanremo sono sempre stati complicati, fin dall'inizio. Se da un lato infatti la Repubblica di Genova vedeva di buon occhio la presenza di marinai con i quali poteva armare le navi della sua flotta dall'altro si ingegnava per evitare la presenza di porti concorrenti sul proprio territorio con difficoltà e diffide di ogni tipo come ad esempio il divieto di sbarco per merci che non provenissero da Genova.
È del 16 ottobre 1199 una bolla che stabiliva « ...Non si partiranno da S. Remo dalle Calende di Aprile fino a quelle di Ottobre bastimenti per varcare l'alto mare di là della Sardegna, o di là da Barcellona, senza prima toccare il Porto di Genova, dal qual Porto non partiranno senza aver prima ottenuta licenza del Podestà, e Consoli del Comune di Genova i nocchieri, i partecipanti, interessati, marinai, e tutti quelli che devono solcare il mare sopra quel dato legno, e con l'obbligo ai medesimi di tornare nel Porto di Genova a farne lo scarico se pure non ottenessero licenza di far diversamente dal Podestà Consoli del Comune di Genova. ...Noi Consoli, e Podestà di San Remo non permetteremo, che nei confini della nostra giurisdizione e distretto si armi ed esca veruna Galera, o legno Corsaro, senza che in primo luogo tutta la marineria, nocchieri, ed altri interessati in detto legno giurino e prestino sicurezza di non fare alcuna ingiuria ai Genovesi, o loro distrittuali, e amici, obbligati per convenzione, e patti fatti con li stessi genovesi di aver con noi pace, ... »
Nonostante le limitazioni e gli intoppi, la prima notizia sicura relativa all’esistenza di uno scalo portuale a Sanremo, risale tuttavia solo al 1435, quando nel testo degli Statuti comunali viene prevista espressamente la costruzione o il riattamento di un molo di massi costruito nei pressi della spiaggia dell'Arenella.
Con delibera del 4 maggio 1533 vennero eletti massari del porto Battista Sappia, Giovanni Battista Guglielmone e Antonio Asquasciato, che furono incaricati di esaminare lo stato del molo e riferire sui lavori che si sarebbero dovuti intraprendere nell’area portuale. Nel gennaio 1558 il Consiglio comunale decise di affidare ad alcune persone competenti la valutazione delle spese per l’ampliamento dello scalo marittimo della città, che venne ulteriormente ingrandito nel 1559 con l'acquisto di un terreno che doveva permettere l'approdo di un numero maggiore di navigli, per la cui difesa si stabiliva di costruire un molo più ampio.
Nel 1575 il Parlamento decise di stanziare un finanziamento triennale per ingrandire ancora il porto cittadino, la cui gestione venne allora affidata ai Consoli del Mare, i nuovi funzionari dell'amministrazione comunale preposti al coordinamento delle attività marinare, citati per la prima volta nel luglio 1576, i cui precisi compiti istituzionali furono fissati per la prima volta nella radunanza del Consiglio comunale del 13 febbraio 1579.
La decisione di finanziare dei lavori per ingrandire il porto testimonia tra l'altro che a Sanremo il volume del traffico commerciale doveva essere particolarmente fiorente già nella seconda metà del Cinquecento.
Per recuperare introiti per le spese portuali, venne inoltre deciso il 10 marzo 1580, e una seconda volta nel 1596, di rinnovare le tasse sulle barche e sulle merci trasportate, mentre nello stesso tempo il Consiglio comunale disponeva l'inizio di lavori sul molo dell'Arenella tramite il rafforzamento della scogliera con pali e tavoloni in modo da formare dei cassoni collegati e interrati al fondo.
Alla necessaria mano d'opera per questi lavori provvidero gratuitamente le stesse famiglie sanremesi, che venivano tassate per alcune giornate di lavoro a seconda delle possibilità numeriche ed economiche di ognuna. Vennero stabiliti per questo scopo dei turni di sequella, a cui i cittadini potevano sottrarsi soltanto dietro il versamento di sei soldi e otto denari per ogni giornata sostitutiva.
Nello stesso tempo le autorità comunali, per provvedere all'acquisto e alla lavorazione del legname, delle catene di ferro, dei chiodi e dell'altro materiale necessario ai lavori, decisero di introdurre anche una tassa destinata alle barche che transitavano nel porto sanremese.
Con l'avvento del Seicento iniziò inoltre un periodo molto importante per la realizzazione a Sanremo di un approdo più adatto alle nuove esigenze della vita commerciale e sociale della città. La comunità rivolse allora una sempre maggiore attenzione alla zona portuale e alla sua ulteriore valorizzazione.
Nel primo cinquantennio del secolo il Parlamento locale tentò in più occasioni di ingrandire il porto cittadino senza tuttavia conseguire risultati apprezzabili, probabilmente a causa della mancanza di un'adeguata programmazione tecnica e finanziaria.
Il 28 luglio 1600 il Consiglio comunale emanò una delibera che imponeva una sequella a tutta la popolazione: veniva cioè imposto a tutti i cittadini di trasportare dal bosco alla spiaggia il legname necessario per completare il pontone all'interno del bacino portuale, utilizzato in numerose operazioni di trasporto.
Nel 1605 la cittadinanza sanremese inviò a Genova una supplica sostenuta dai due deputati Giovanni Antonio Anselmo e Michelangelo Sapia per ottenere una somma in prestito necessaria per completare le opere portuale rimaste in sospeso.
Nello stesso anno il molo del porto sanremese era già lungo 300 palmi (n.d.r. 1 palmo genovese corrisponde a 0,248 mt, quindi 300 palmi = 74,40 mt) con un'altezza pari a 15 palmi (3,72 mt) e, in base al progetto approvato dalle autorità comunali, avrebbe dovuto essere allungato di altri 50 palmi, (12,4 mt) e, superato un gomito, di ulteriori 390 palmi (96.72 mt).
La nuova costruzione avrebbe permesso inoltre di realizzare un sicuro riparo dallo scirocco e di aumentare il fondale a 26 palmi permettendo l'ormeggio anche alle galee. Quest'ultimo provvedimento venne probabilmente adottato per ottenere dal Senato genovese i necessari finanziamenti in quanto la nuova struttura avrebbe creato un avamposto per le navi da guerra genovesi in caso di conflitto con la Francia. I progetti degli amministratori comunali sanremesi furono però bruscamente interrotti da una violenta tempesta che distrusse nell'inverno del 1605 il nuovo pontone arrecando gravi danni anche al resto dell'area portuale.
La comunità non desistette comunque dai suoi propositi di ingrandire lo scalo cittadino e già nel 1608 il Parlamento deliberava la ricostruzione del porto sanremese.
Nella stessa occasione il Consiglio comunale chiese all'Ufficio di San Giorgio un finanziamento di due o tremila scudi per ampliare il porto nonché l'invio di un esperto a Sanremo per valutare la concreta possibilità di edificare la nuova struttura portuale. Due anni dopo, nel 1611, venne affidato a due ingegneri, Antonio Frugono e Bartolomeo De Luca, di preparare dei progetti per la ricostruzione del molo.
Dopo un lungo periodo di crisi seguito alla guerra tra Genova e il Ducato di Savoia del 1625, il Comune di Sanremo riprese con nuovo vigore i lavori nell'area portuale, stanziando fin dal 1639-40 la consistente cifra di 26.000 lire per effettuare una grossa riparazione. Tale spesa rappresentò tuttavia soltanto una piccola parte dell'ingente opera di ricostruzione del molo, che venne deliberata pochi anni dopo dal Parlamento e quindi portata a termine nel triennio tra il 1646 e il 1648.
Le autorità comunali sanremesi avevano infatti intenzione di realizzare un approdo in grado di resistere all'azione del mare, e, per la prima volta, avviarono una programmazione sia di natura tecnica che finanziaria in grado di poter finalmente esaudire i desideri della comunità.
Per fare in modo che l'impresa riuscisse da un punto di vista tecnico, il Consiglio comunale si premurò di contattare una delle maggiori imprese costruttrici dell'epoca, mentre, per quanto concerne l'aspetto finanziario, ci si preoccupò soprattutto di raggiungere una relativa autonomia gestionale; non venne nemmeno trascurato il problema delle relazioni con la capitale, di vitale importanza per ottenere le necessarie autorizzazioni e i contributi indispensabili per la realizzazione del progetto.
Il 21 febbraio 1646 il Parlamento assunse la prima rilevante decisione deliberando di incaricare un magistrato per fare il nuovo molo e di prendere ad interesse mille pezzi di scudi reali dal cassierie del Comune. Lo stesso giorno il Consiglio comunale nominò una apposita commissione per il porto, presieduta da Antonio Fabiano e Giovanni Battista Bottino, e composta dai cassieri Paolo Battista Gandolfo e Michele Palmaro e dagli ufficiali Giacomo Carlo, Gio Maria Fabiano, Germano Pesante, Giovanni Battista Borea, Giacomo Martini e Pier Francesco Sapia. Il 28 maggio successivo lo stesso Consiglio incaricò Giovanni Battista Bottino di ottenere il placet e il consenso per il nuovo molo dal Senato della Repubblica, prendendo nello stesso tempo i necessari accordi per la sua costruzione con l'impresario di Vado Ligure Ilario Gnecco. Per sopperire inoltre alle notevoli spese previste per la realizzazione del molo, il Parlamento autorizzò lo stesso Bottino, con delibera dell'11 agosto, a prendere in prestito dal Comune di Genova la somma di 8.000 lire. Il 16 settembre seguente, essendo stata preventivata una spesa complessiva di almeno 70.000 lire annue per la fabbrica del nuovo molo, il Consiglio comunale decise di imporre una nuova gabella alle imbarcazioni che frequentavano il porto, riservandosi la possibilità di prelevare il denaro mancante alla somma necessaria per i lavori dalle altre entrate dell'amministrazione comunale.
Grazie ai consistenti finanziamenti stanziati dal Comune fu quindi possibile avviare la costruzione di un nuovo molo in muratura, non più soggetto all'erosione delle onde e capace di garantire un attracco sicuro alle numerose imbarcazioni che ormai approdavano quotidianamente nello scalo sanremese; non ci si limitò peraltro soltanto a ricostruire il molo, ma, per favorire le operazioni di carico e scarico delle merci, venne realizzata una vasta area vicina al porto in grado di assecondare la crescente attività portuale, dove sorsero magazzini e depositi pronti a ricevere tutti i prodotti esportati o importati da commercianti e marinai.
I lavori per il nuovo molo proseguirono alacremente fino all'inizio del 1647, quando, per la mancanza di fondi, si rese necessario un ulteriore stanziamento di 4.000 lire per la prosecuzione dell'opera, rallentata anche da impreviste difficoltà di natura tecnica che erano sorte nel frattempo. Ormai però i lavori stavano per essere portati a termine anche se le autorità genovesi, nel timore che il nuovo approdo potesse fare di Sanremo una futura rivale della capitale nei commerci marittimi nella Riviera di Ponente, tentarono di ostacolare il proseguio dei lavori fino a bloccarne la costruzione.
Il Senato di Genova decise infatti di addurre il pretesto che i lavori eseguiti non erano quelli previsti dal progetto originario del 1646 per congelare i finanziamenti e inviò a Sanremo l'architetto genovese Stefano Scaniglia per verificare la veridicità dell'accusa.
Come era prevedibile, l'architetto Scaniglia avvallò la tesi propugnata dal governo genovese, sostenendo nella sua relazione che Sanremo non si poteva permettere un porto più ampio di uno che potesse ospitare al massimo 25-30 barche. Per poter completare i lavori del nuovo molo, che rischiava di subire danni molto gravi se non fosse stato terminato in tempi brevi, il Parlamento sanremese inviò allora una supplica alle autorità genovesi affinché quest'ultime permettessero la conclusione dei lavori.
Il Senato della Repubblica rispose alla domanda del Parlamento di Sanremo ordinando una modifica sostanziale al progetto originario, che prevedeva di continuare l'opera per altri 60 palmi , in modo da evitare la distruzione della cima del molo e la dispersione dei 15.000 scudi già spesi per la sua costruzione.
In esecuzione di quest'ordinanza, il Parlamento fu però costretto ad introdurre nuove imposte per far fronte alle maggiori uscite del progetto così approvato.
Alla fine del 1647 la comunità sanremese aveva così a sua disposizione non più un piccolo approdo in grado di offrire riparo a poche imbarcazioni, ma un vero e proprio porto adeguato alle sue cresciute esigenze marittime e commerciali. Il considerevole aumento della mole del traffico e l'elevato numero di imbarcazioni che approdavano nello scalo sanremese iniziarono però a creare delle difficoltà di manovra nel bacino portuale e lungo i moli, che indussero il Parlamento ad emanare un'apposita delibera che imponeva alle barche di lasciare libera immediatamente la banchina dopo avere caricato e scaricato le mercanzie. Intanto si susseguivano le iniziative per ampliare ulteriormente l'area portuale, come quella assunta il 16 agosto 1648 dal sindaco di Sanremo Lorenzo Anselmo, che presentò al governo genovese un progetto di ampliamento del porto, che prevedeva di allungare il molo per altri 50-60 palmi. Le autorità genovesi diedero quindi il loro assenso all'inizio dei lavori di miglioramento del molo verso la fine dell'estate del 1648, negando peraltro il permesso all'allungamento del molo nei termini richiesti dal sindaco Anselmo.
Nel gennaio 1654 il Parlamento assunse la decisione di stipulare un nuovo contratto con l'impresario Gnecco, che fu però vanificato dalla contemporanea richiesta di una forte somma, corrispondente a 10.766 lire, da parte del governo della Repubblica, che intendeva utilizzarla per finanziare la costruzione delle nuove mura della capitale e che, di fatto, tolse dalle casse comunali sanremesi i fondi già stanziati per i nuovi lavori nella zona portuale.
Gli amministratori sanremesi però non si scoraggiarono più di tanto e il già il 5 aprile 1656 il Parlamento emise un'altra delibera che prevedeva la costruzione di una calata nel porto, che avrebbe facilitato il carico e lo scarico delle merci. In base al relativo contratto di appalto dei lavori, il Parlamento impose al costruttore di rispettare alcune clausole, quali terminare l'opera entro il settembre 1656, assicurarne la stabilità per almeno tre anni utilizzando del materiale di buona qualità e rispondere di eventuali inadempienze del contratto con tutti i suoi beni e la sua stessa persona.
Intanto la ripresa delle attività commerciali spinse la comunità sanremese a desiderare un ulteriore ampliamento della calata, come risulta tra l'altro da una lettera inviata al Senato della Repubblica dai Consoli del mare di Sanremo nel 1660, nella quale questi ultimi chiedevano alle superiori autorità genovesi il permesso di allungare di settanta palmi la calata del porto, dove l'insufficienza del fondale non consentiva alle navi di grossa portata di caricare e scaricare le merci sulla banchina. Nel quinquennio tra il 1661 e il 1666 il Parlamento tentò quindi di riprendere i lavori nella zona portuale richiamando a Sanremo l'impresario Ilario Gnecco, che era allora impegnato in altri lavori sul litorale tirrenico. Le trattative tra l'impresario e il Comune si protrassero però a lungo sia perché molti consiglieri non lo ritenevano in grado di realizzare un'opera sufficientemente solida, sia perché lo stesso Gnecco temeva che una ripresa dei lavori nel porto sanremese si risolvesse in un nuovo insuccesso.
Soltanto verso la fine del 1666 i negoziati parvero giungere ad un prima conclusione grazie alla mediazione del patrono sanremese Angelo Pesante, che curava gli interessi di Gnecco nella città matuziana. Il 22 dicembre di quell'anno infatti Gnecco scrisse una lettera al Consiglio per informarlo che era disposto a fornire un nuovo progetto del molo e a ritornare entro breve tempo a Sanremo. L'accordo non venne però rispettato dall'impresario e il 29 aprile 1667 il Parlamento gli intimò di iniziare i lavori previsti entro un mese. Per tutta risposta, Gnecco non si spostò da Livorno e così trascorse tutto il 1667 senza che si concludesse nulla. Con l'inizio del 1668 ripresero le trattative, anche con altri impresari, che non portarono tuttavia ad alcun risultato positivo.
Il 13 luglio 1668 il Parlamento nominò allora una speciale commissione per stipulare un contratto per il miglioramento del molo con Gnecco, stanziando all'uopo la somma di 17.000 lire, aumentata a 18.500 quattro giorni dopo, a patto che l'impresario si impegnasse a finire i lavori entro la fine dell'anno. Il 31 agosto vennero finalmente fissati i termini tecnici del contratto con Gnecco, che avrebbe costruito un scogliera larga 50 palmi dalla punta del molo vecchio a quella del nuovo. Con una serie di delibere emanate nel corso del mese di settembre furono invece stabilite le modalità di pagamento del costruttore, che avrebbe percepito la somma di 5.000 lire suddivisa in base allo stato di avanzamento dell'opera.
I lavori di riparazione del molo iniziarono quindi nell'autunno del 1668, ma non sembra che procedessero con particolare celerità, anche perché i commerci dei prodotti del comprensorio sanremese subirono un netto calo a causa delle gelate del 1668, 1670 e 1672.
Soltanto verso la fine del 1672 il Parlamento decise di stanziare nuove somme per la fabbrica del molo, ma fu tuttavia necessario aspettare fino al 1674 per assistere ad una apprezzabile ripresa delle attività commerciali. Nel 1677 il Parlamento tentò nuovamente di riprendere i lavori della zona portuale finanziandone le spese tramite la pubblica vendita della gabella dell'ancoraggio, acquistata da un facoltoso commerciante sanremese.
Nei primi mesi del 1680 tuttavia il porto di Sanremo era ormai ridotto in uno stato alquanto precario, soprattutto a causa dei pesanti bombardamenti avvenuti nell'agosto 1678 ad opera del contingente di navi francesi; il fatto inoltre che il basso fondale permetteva l'ormeggio al molo soltanto ai piccoli vascelli aveva praticamente paralizzato i traffici commerciali, in quanto poche navi si arrischiavano ad entrare nel porto per scaricarvi le merci. Ripresero quindi difficili trattative con le autorità genovesi per ottenere l'autorizzazione al prolungamento e alla riparazione del molo, condizione essenziale per la ripresa dei commerci, che costituivano la principale e irrinunciabile risorsa economica della comunità sanremese.
All'inizio del 1681 il governo di Genova prese in esame le richieste del Parlamento sanremese, che desiderava prolungare il molo di altri 120 palmi per scongiurare un ulteriore interramento del porto. L'autorizzazione iniziale, rilasciata dal Senato genovese prima di trasferire la pratica al Magistrato di Guerra, modificò però il progetto primitivo consentendo un allungamento del molo di soli 50 palmi. Dopo aver esaminato la pratica, il Magistrato di Guerra riferì quindi al Senato il 9 gennaio 1682 che un prolungamento del molo per altri 100 palmi avrebbe giovato anche alla Repubblica per riparare le proprie galee in caso di tempesta.
A causa della rivalità con la cittadina del Ponente ligure e per paura di un pericoloso incremento dei suoi traffici marittimi, il Senato della Repubblica, con atto dell'11 gennaio 1682, decise però di non ratificare la vantaggiosa proposta del Magistrato di Guerra, obbligando quindi la comunità sanremese a rinunciare per il momento a costruire un approdo più ampio.
Dopo un periodo di stasi, il Parlamento di Sanremo riprese l'iniziativa incaricando nel gennaio 1690 il sanremese Giacomo Borea di trattare con un impresario genovese la realizzazione di un vasto progetto per l'ingrandimento dell'area portuale. Le trattative tuttavia non ebbero seguito e così, al principio di marzo del '90 venne contattato il costruttore sanremese Gio Francesco Martino, con il quale il 24 luglio fu stipulato il contratto di appalto.
L'impresario si impegnava a costruire un molo lungo 170 palmi, iniziando dall'estremità di quello che restava delle opere precedenti, con la clausola però che gli ultimi 70 palmi sarebbero stati vincolati all'approvazione del Senato genovese. Da parte sua, il Comune garantì una copertura finanziaria di 25.000 lire per la realizzazione del progetto. All'inizio del 1693 tuttavia i lavori erano ancora ben lungi dall'essere conclusi e allora il Parlamento avviò una pratica legale contro Martino per stabilire le cause e la natura dei danni causati dalla mancata esecuzione del contratto.
Mentre i lavori erano fermi, nel novembre 1694 una violentissima tempesta si abbattè sulla costa, distruggendo gran parte del molo e trascinando nella rada, fino all'Arenella, enormi quantità di alghe e sabbia, oltre a molte pietre e numerosi massi divelti dal molo. Soltanto all'inizio del 1697 il Parlamento deliberò di stanziare nuovi fondi per le riparazioni all'area portuale, che versava in tali condizioni che perfino il governo genovese dovette riconoscere che erano ormai urgenti e indispensabili dei nuovi lavori. Una commissione di sanremesi stipulò quindi in tempi molto brevi un contratto di appalto con l'impresario Nicolò Firpo di Vado Ligure, che il 9 ottobre 1697 iniziò la realizzazione del suo progetto di ricostruzione e ristrutturazione del porto. Anche questa volta però la scelta non si rivelò particolarmente felice per l'inadempienza del costruttore, che nel mese di luglio del '98 venne esonerato dall'incarico con contestuale richiesta dei danni e confisca dei beni.
Verso la fine dell'estate del 1699 ripresero le trattative per completare i lavori nella zona portuale nella speranza di poter fornire la città di un porto adeguato: fu allora contattato un nuovo costruttore, il genovese Gio Battista Gerino, che si recò a Sanremo, valutò l'entità dei lavori da effettuare, pervenne ad un accordo con il Parlamento e infine acquistò il materiale venduto a un'asta pubblica dal precedente impresario Nicolò Firpo.
Il contratto d'appalto tra Gerino e il Comune di Sanremo, stipulato il 10 settembre 1699, prevedeva, oltre al prolungamento del molo di 170 palmi, una serie di innovazioni tecniche che avrebbero garantito maggiore solidità al porto; il costo dell'intera opera era infine valutato nella somma di 32.000 lire. Sorte però delle complicazioni relative alla mancata accettazione da parte dell'amministrazione sanremese dei quattro fideiussori proposti da Gerino, condizione vincolante per la ratifica dell'accordo, si arrivò così al marzo 1701 senza che si giungesse ancora ad una stipulazione del contratto, fino a quando il Consiglio comunale redasse un nuovo accordo, in cui erano meglio precisati i compiti spettanti a Gerino.
In base a questo contratto, il prolungamento del molo sarebbe stato realizzato riparando per i primi 70 palmi la vecchia opera costruita da Martino e poi rovinata dalle mareggiate, mentre i successivi 100 palmi sarebbero stati raggiunti tramite la posa di casse fino al compimento dei 170 palmi previsti; era inoltre prevista una maggiore cura per la pavimentazione e il parapetto della banchina, mentre sarebbero anche state modificate le dimensioni della scogliera a protezione del molo. La comunità impose infine al costruttore di iniziare i lavori il 1° aprile 1701 e di portarli a termine entro due anni. In un primo tempo però Gerino si rifiutò di accettare le condizioni poste dal Parlamento sanremese e ritornò a Genova, ma poi decise di sottoscrivere il contratto, che venne stipulato il 3 giugno 1701.
Ebbero così finalmente inizio i lavori per la costruzione delle nuove infrastrutture portuali, ma anche questi lavori furono eseguiti solo in parte e anzi dopo il 1709, quando una ennesima gelata mise in ginocchio le produzioni agricole della città, rallentati fino ad essere quasi completamente sospesi.
Da allora Genova si preoccupò solamente di imporre tasse trascurando in problemi locali.
Peraltro questi lavori furono gli unici eseguiti nei primi settant'anni del XVIII secolo e, a quanto risulta dalle rilevazioni effettute dal colonnello Matteo Vinzoni nel 1753, vennero portati a termine seguendo nelle sue linee generali quanto prescritto dal contratto stipulato nel 1701.
In ogni modo l'inizio della vera crisi del porto, quella da cui la struttura non avrà più modo di uscire se non per brevi periodi e grazie a fortunate combinazioni, prende le mosse dal 1753, con la repressione seguita alla rivolta contro Genova. Le aree portuali vennero sequestrate, furono imposte gabelle straordinarie ed eliminati gli antichi privilegi faticosamente acquisiti. Conseguenza fu la fine del periodo più florido e la migrazione della imprenditoria locale che all'epoca armava circa centoventi imbarcazioni.
Fu soltanto nel 1770 che, dietro pressioni politiche da parte di alcune potenze straniere, il governo genovese venne costretto a dimostrare il suo interesse per la ripresa economica del circondario sanremese, di cui la ricostruzione del porto rappresentava il primo e inderogabile passaggio.
Il commissario generale di Sanremo Alessandro Carrega, facendosi portavoce di queste necessità, scrisse allora il 30 gennaio 1770 al governo per denunciare le pietose condizioni economiche e sociali in cui versava la città.
I Sanremesi intanto cominciarono a raccogliere i fondi necessari per finanziare i lavori portuali, ben sapendo che, se non li avessero trovati, il governo genovese avrebbe subito fermato tutte le pratiche. Le autorità comunali proposero quindi al commissario Carrega di stornare a favore del porto la somma che il canonico Gian Luca Fabiani aveva lasciato per la costruzione di una collegiata e alcune opere pie con testamento del 23 febbraio 1680, che non aveva più trovato esecuzione pratica.
Nel 1770 infatti la discendenza Fabiani era quasi del tutto estinta e potevano allora beneficiare del lascito soltanto le famiglie del notaio Lorenzo Cesarea, residente a Porto Maurizio, e quella di Pietro Francesco Oreggia, che acconsentì subito alla rinuncia della sua parte di eredità, che poteva essere così utilizzata per la ricostruzione del porto.
Nonostante la ferma opposizione di Cesarea, l'altro destinatario del lascito, che, vivendo fuori, non era interessato al problema del porto sanremese, il commissario genovese approvò la richiesta di storno dei fondi, ben intuendo il grande vantaggio politico che ne sarebbe derivato per la Repubblica, che avrebbe potuto così dimostrare alle corti europee, sempre ostili nei confronti di Genova per la feroce repressione della rivoluzione sanremese, la sua decisa volontà di operare per il benessere economico e sociale della città.
L'8 luglio 1770 giunse quindi a Sanremo l'ingegnere Domenico Policardi con l'incarico di realizzare in tempi rapidi un progetto di ricostruzione del porto cittadino. Nella relazione trasmessa al governo genovese l'ingegner Policardi individuò la causa del riempimento del porto nella costruzione del forte di Santa Tecla, che aveva ostruito, alla base del molo, un'apertura dalla quale uscivano in precedenza le arene. Questo riempimento aveva di fatto demoralizzato i Sanremesi, che da molti anni non riparavano più il molo.
Gli ultimi 120 palmi del molo erano ormai ridotti a un mucchio di sassi dispersi sotto la superficie dell'acqua e anche la gettata di scogli in cima al molo era andata completamente distrutta.
Policardi propose allora di costruire una doppia fila di pali lunghi 20 palmi, che avrebbero dovuto essere piantati nel fondale per un profondità di 14 palmi; questa duplice fila, prolungata verso il mare, avrebbe poi dovuto formare un moletto nel porto destinato ai piccoli bastimenti e per riparare la spiaggia, dove si sarebbero potuto costruire o riparare le barche.
L'ingegnere genovese prevedeva inoltre di realizzare un molo con un'apertura chiudibile, per permettere l'uscita delle arene in caso di burrasca, e di costruire tre casse lunghe 100 palmi, larghe 36 e alte 24 da sistemarsi nelle immediate vicinanze del molo. I lavori avrebbero infine richiesto l'impiego di 150 maestri e 550 manovali fino all'autunno del 1771.
Nel presentare però al governo una relazione che incautamente attribuiva la rovina del porto di Sanremo alla costruzione della fortezza di Santa Tecla, voluta espressamente dallo stesso governo, Policardi causò indirettamente la secca bocciatura del progetto da parte della Giunta dei Confini, che lo archiviò senza neppure ammetterne la discussione in Senato. Del resto i Sanremesi non disponevano ancora della somma di denaro sufficiente per sovvenzionare i lavori, mentre le discussioni in merito alla fattibilità dell'utilizzazione del lascito Fabiani contribuivano a rinviare ogni iniziativa.
Il 2 agosto 1779 la pratica del porto venne poi riproposta dal nuovo commissario generale, che denunciò in una lettera allarmante trasmessa alle autorità genovesi lo stato di totale abbandono e rovina dello scalo sanremese, dove negli ultimi anni erano naufragate ben sette navi che avevano così perso totalmente gli uomini dell'equipaggio e il carico. Pochi mesi dopo una deputazione di Sanremesi si recò a Genova per fare presente al governo la triste situazione della città dovuta alla decadenza dei commerci, la distruzione del molo e l'impraticabilità della spiaggia, che impoverivano estremamente l'economia cittadina.
Intanto una commissione di tecnici sanremesi iniziò a lavorare al progetto di un nuovo porto. Il progetto, per la verità forse un po' troppo ardito, prevedeva l'abbandono quasi totale dello specchio d'acqua protetto dai vecchi moli e l'escavazione di tutta l'area retrostante il forte di Santa Tecla per consentire il ricovero delle navi nella darsena così ottenuta.
La proposta venne quindi riferita all'ingegner Gerolamo Gustavo, inviato dalle autorità genovesi a Sanremo nel 1780, il quale però la scartò immediatamente mettendosi subito dopo al lavoro per redigere il progetto di un nuovo molo che utilizzasse quanto rimaneva del vecchio.
Gustavo, riconosciuta subito la grande importanza dello scalo sanremese non soltanto per la stessa città ma anche per la navigazione generale di tutta la Riviera di Ponente, propose di allungare il molo di 250 palmi oltre la punta estrema degli scogli, sgomberare le arene dall'interno, costruire una calata di fronte a piazza Sardi e arginare i torrenti a levante e a ponente, che, a causa del taglio di molti alberi nell'immediato entroterra, portavano a valle molta terra e detriti.
Appena però l'ingegnere genovese rese noti i risultati del suo studio sul porto, i principali responsabili locali della realizzazione delle opere portuali esternarono il loro vivo disappunto per il progetto presentato dall'ingegnere genovese, che venne chiaramente alla luce nella lettera inviata il 1° luglio 1780 al governo genovese dai deputati sanremesi alla pratica del porto.
In questa lettera i deputati non nascosero il loro sgomento per la previsione di spesa fissata dall'ingegner Gustavo a ben 400.000 lire, che essi comunque speravano di racimolare utilizzando i fondi residui dal lascito Fabiani, che intanto era aumentato a 180.000 lire in quanto il notaio Cesarea, rimasto l'unico usufruttuario del capitale, non ne aveva ancora speso tutti gli interessi.
Il nobile Tommaso Borea d'Olmo, facendosi interprete dei desideri della cittadinanza, assicurò quindi il governo genovese che, se esso avesse prestato ai Sanremesi le 220.000 lire mancanti, i patroni e i marinai locali si sarebbero impegnati a restituirle gradualmente, pagando l'interesse del 3% oltre ad una tassa di approdo. La supplica terminava con un appello alle autorità della Repubblica affinché volessero compiacersi di abolire l'onere finanziario di 15.000 lire annuali imposto al Comune per il sostentamento del contingente genovese di stanza nel forte di Santa Tecla.
Il 26 aprile 1781 si radunarono quindi cinque dei sei Anziani e una rappresentanza dei patroni sanremesi per esaminare il progetto dell'ingegner Gustavo, che venne approvato nelle sue linee essenziali.
Dopo un altro anno di discussioni, i lavori progettati da Gustavo poterono finalmente essere avviati nel 1782, proseguendo poi fino al 1784 sotto la direzione dell'architetto Claudio Storace in sostituzione dello stesso Gustavo, che era stato chiamato a dirigere alcune riparazioni nel porto di Savona.
Per prima cosa fu scavata l'arena, distesa davanti al forte, e poi, superate le ultime proteste ecclesiastiche per la soppressione del lascito Fabiani, fu riparato il molo di ponente, che venne allungato di 250 palmi, mentre quello di levante fu prolungato di altri 50 palmi; venne anche costruita una calata per l'attracco delle barche lungo piazza Sardi e migliorata l'arginatura dei due torrenti per evitare il deposito dei loro detriti nello specchio d'acqua difeso dai moli. Tommaso Pier Francesco Borea fu allora incaricato di amministrare i fondi destinati ai lavori portuali, depositati sul Banco di San Giorgio, mentre un certo Ettore Figari di Genova svolgeva il compito di ritirare, su tratte a vista firmate da Borea, le somme necessarie per pagare i fornitori del materiale.
I lavori nella zona del porto subirono tuttavia un'interruzione nel dicembre 1784 a causa di una forte tempesta, che produsse gravi danni alle attrezzature portuali e contribuì ad aumentare la disperazione della popolazione, che aveva ormai riposto tutte le speranze in una rapida ricostruzione del porto. Parte dei fondi destinati ai lavori portuali vennero allora utilizzati per ristrutturare alcune parti della chiesa di San Siro, tra cui la facciata e la cupola del campanile, che furono ricostruite in forme barocche secondo il gusto imperante dell'epoca. Intanto, il 4 gennaio 1785, gli Anziani di Sanremo scrissero nuovamente al governo di Genova per ottenere l'autorizzazione a riprendere i lavori nell'area portuale fin dalla prossima estate.
Il governo però non sembrava molto disponibile ad esaudire le richieste dei Sanremesi e infatti diede il permesso di realizzare soltanto alcuni lavori minori, quali la sistemazione di una cassa nella rada antistante il porto nell'agosto 1785. In seguito il governo genovese accolse la richiesta degli amministratori sanremesi di avere come direttore dei lavori portuali il loro concittadino Francesco Maria Gaudio, insigne matematico insegnante all'Università «La Sapienza» di Roma e in quegli anni residente a Genova perché chiamatovi dalle autorità genovesi per studiare le correnti marine del Golfo ligure.
Gaudio fece quindi ritorno nella sua città natale per soggiornarvi qualche tempo una prima volta nell'autunno del 1787 e una seconda nell'estate del 1789; nel corso di queste visite egli ebbe modo di studiare bene la situazione del porto locale riuscendo a convincere il governo genovese, tramite un'acuta e dettagliata relazione sulle condizioni del porto sanremese, a concedere le necessarie autorizzazioni per la prosecuzioni dei lavori nella zona portuale.
Nella relazione presentata alle autorità della Repubblica, Gaudio criticò innanzitutto l'ampiezza della bocca del porto, misurata in circa 900 palmi, che a suo giudizio permetteva troppo facilmente l'ingresso nella rada di sabbia e detriti, e propose quindi di allungare il molo vecchio di 400-500 palmi in direzione del molo nuovo, determinando così un'apertura della bocca di almeno 400 palmi, che avrebbe dovuto impedire l'entrata nell'area portuale di alghe e sabbia.
Per i successivi quattro anni Gaudio prestò la sua consulenza ai lavori, che vennero però bruscamente interrotti nel 1792 in quanto il nuovo molo, forse per una imperizia tecnica durante la sua costruzione, era soggetto a disastrosi insabbiamenti, la cui responsabilità fu attribuita allo stesso Gaudio, che rimase particolarmente affranto per questa spiacevole situazione, venutasi a creare nonostante tutti i suoi sforzi di condurre a termine i lavori in modo positivo.
Sospesi quindi i lavori e dopo aver dilapidato tanto denaro in inutili modifiche, il porto di Sanremo versava alla fine del Settecento in condizioni di estremo abbandono e degrado, che sarebbero state infine migliorate soltanto con gli interventi realizzati nell'area portuale verso la metà del XIX secolo.
L'età napoleonica vide un rinnovato interesse da parte delle autorità francesi verso le condizioni dell'area portuale sanremese, che furono oggetto di studi e ricerche volte alla sua ulteriore valorizzazione. Tra questi studi spicca la dettagliata relazione redatta a Nizza il 15 giugno 1807 dall'ingegnere capo della Prefettura del Dipartimento delle Alpi Marittime Teulére, che aveva ideato un vasto progetto di ricostruzione e ristrutturazione della zona portuale matuziana con specificazione delle relative spese.
In questa memoria, l'ingegner Teulére esponeva innanzitutto le condizioni generali della città di Sanremo, che, secondo la sua analisi, si stendeva in una baia formata da Capo Verde a Est e Capo Pino a Ovest distanti tra loro circa 7.500 metri; la profondità del mare era di 7 metri alle estremità e di 42 al centro, il fondo era sabbioso e ricoperto da un tappeto verde di alghe, mentre i venti del libeccio e dello scirocco, provenienti dal largo, erano più forti di quelli di terra, che tuttavia portavano all'interno del porto sabbia e alghe.
L'ingegnere francese notava inoltre come la maggior parte degli abitanti fosse dedita ad attività marinare; dei circa 2.000 marinai sanremesi ne erano però regolarmente registrati nei fogli matricolari soltanto 1.212, di cui 140 al servizio dello Stato o prigioneri di guerra, 670 dediti al cabotaggio e al commercio e 402 invalidi o occupati nella pesca.
Dopo aver quindi osservato come una tale tendenza verso il mare da parte dei Sanremesi rendesse indispensabile la presenza di un adeguato scalo marittimo nella città matuziana, Teulére si era quindi messo a ripercorrere per sommi capi la storia del porto sanremese, soffermandosi in particolare a trattare dell'annoso problema dell'interramento del bacino portuale e dei suggerimenti proposti per risolvere questo inconveniente.
A questo punto l'ingegnere francese iniziava la trattazione del suo progetto vero e proprio, che prevedeva la costruzione di un molo di levante lungo 137 metri in direzione di quello di ponente e terminante con una massicciata larga 6 metri; l'apertura tra i due moli avrebbe dovuto essere di circa 80 metri in modo da garantire alle imbarcazioni che entravano o uscivano dal porto la possibilità di manovrare liberamente e senza intralci.
Nel progetto Teulére raccomandava anche di procedere ad una accurata opera di dragaggio del bacino prima di iniziare i lavori del nuovo molo, facendo attenzione in particolare a far sì che i massi non venissero gettati in mare alla rinfusa, ma fossero calati con cura e secondo un piano prestabilito. L'ingegnere consigliava inoltre di sospendere poi i lavori per un paio d'anni in modo da permettere all'intera opera di assestarsi; al termine dei lavori portuali, si sarebbe infine dovuta costruire una strada carrozzabile dotata di ampio parapetto per proteggerla dai venti.
Complessivamente, il progetto di Teulére avrebbe portato alla realizzazione di un porto esteso su una superficie di ben 20.000 metri quadrati, che, sempre secondo l'ingegnere francese, sarebbe diventato anche un centro commerciale importantissimo, soprattutto dopo la costruzione della rotabile tra Ventimiglia e il Piemonte, recando grande beneficio alle attività marinare e all'intera città.
La relazione era infine completata da un prospetto riassuntivo delle spese previste, che ammontavano a 89.141 franchi e 10 centesimi più una somma per eventuali imprevisti pari a 10.858 franchi e 90 centesimi, che portavano l'ammontare complessivo della spesa a 100.000 franchi. In una successiva nota del 14 luglio 1807 l'ingegner Teulére precisò tuttavia che sarebbe stato necessario conservare il molo già costruito per evitare che, dato il suo estremo degrado, venisse distrutto un'altra volta da una violenta mareggiata.
Il progetto elaborato da Teulére non fu però immediatamente preso in considerazione e soltanto nel 1809 arrivarono i primi finanziamenti, che permisero la stipulazione di una serie di contratti con varie imprese per dare finalmente inizio ai lavori, i quali furono poi effettivamente realizzati senza peraltro che venisse risolto il problema dell'interramento della rada, che rappresentava ancora, all'inizio dell'Ottocento, il maggiore ostacolo ad una stabile e sicura fruibilità dello scalo sanremese.
Nel 1826 l'Amministrazione civica di Sanremo ritornò ad occuparsi della questione del porto cittadino, che versava in uno stato di grave abbandono. Il 15 maggio di quell'anno, infatti, alla presenza dell'intendente Nota e del sindaco Gismondi, si radunarono nel palazzo civico gli ufficiali componenti il Magnifico Consiglio, sia ordinari che aggiunti oltre ad alcuni maggiorenti facenti parti della Commissione del Porto, per discutere i problemi relativi alle riparazioni da intraprendere nell'area portuale.
In questa occasione il delegato del sindaco, avvocato Pietro Paolo Giacini, lesse una lunga e dettagliata relazione sulla situazione del porto, nella quale suggeriva ai consiglieri anche il modo con cui si sarebbe dovuto intervenire per salvaguardare la zona portuale.
Alla discussione che ne seguì presero parte tra gli altri esponenti delle famiglie Sapia, Rambaldi, Sartorio, Zirio, Margotti, il giovane medico sanremese Siro Andrea Carli, futuro sindaco della città, e il marchese Tomaso Giobatta Borea d'Olmo.
Al termine della riunione venne deliberato all'unanimità di dare mandato al capitano del Genio Marittimo Machiavelli di redigere una perizia relativa alle spese da sostenere per effettuare le necessarie opere portuali, stabilendo inoltre che se non fossero stati sufficienti i fondi disponibili per l'anno finanziario allora in corso, si sarebbe prelevata la differenza dal successivo bilancio dell'anno 1827. Si deliberò infine di inviare una supplica al presidente dell'Ammiragliato affinché questi affidasse ad un ufficiale superiore del Genio Marittimo di sua fiducia l'incarico di ispezionare il litorale di Sanremo e riferire poi sulla natura e qualità dei lavori da eseguirsi, stilando un preventivo di massima sulle spese necessarie alla realizzazione dei suddetti lavori.
L'8 giugno successivo si riunì invece la Commissione dei travagli del porto, composta dal presidente, capitano Francesco Lauro, il sindaco di Sanremo Gismondi, il marchese Borea d'Olmo, Angelo Capoduro, Giovanni Battista Zirio e il vice console di Marina Carlo Giorni. Nel corso della seduta il presidente Lauro riferì agli intervenuti sulle grandi difficoltà in cui versavano i padroni dei piccoli bastimenti nel varare e alare le loro imbarcazioni e nel trovare posti di ormeggio e pontili adatti al carico e allo scarico delle loro merci.
La Commissione convenne quindi di chiedere un intervento urgente al governo, e in particolare al ministro Primo segretario per gli Affari Interni e all'ammiraglio comandante in capo della Regia Marina, affinché elargissero sovvenzioni in grado di finanziare i lavori di riparazione allo scalo portuale.
Alla fine tuttavia gli unici fondi che vennero reperiti per i lavori portuali furono quelli stornati dal bilancio comunale e quelli provenienti da una sottoscrizione popolare che nel giro di pochi anni raggiunse la notevole somma di 70.000 lire.
Questi fondi permisero quindi la realizzazione di alcuni lavori, che dovettero comunque limitarsi quasi sicuramente ad interventi di ordinaria amministrazione, quali la riparazione della diga foranea e la gettata in mare di alcuni scogli. Il nuovo regolamento marittimo, emanato il 24 novembre 1827, promosse infine Sanremo a sede di porto di IV Classe insieme agli scali di Vado Ligure, Camogli, Lerici e Portovenere.
Nel novembre 1836 l'Amministrazione comunale decise di finanziare i lavori nella zona portuale indicendo una raccolta di oblazioni tra i cittadini, che si chiuse il 23 dicembre 1838. Il relativo elenco, depositato presso l'Archivio comunale, conteneva i nomi dei 447 cittadini che avevano contribuito alle spese portuali con un'offerta volontaria. Negli anni successivi, tuttavia, l'ingente somma raccolta, compresi gli interessi maturati nel frattempo, venne spesa per sovvenzionare altre opere di interesse pubblico, tanto che per quelle portuali non rimase più alcun fondo disponibile.
Intanto, nel 1837, il re di Sardegna Carlo Alberto, dopo ripetute insistenze da parte del Comune, aveva acconsentito a promuovere il porto di Sanremo a scalo marittimo di III Classe.
Qualche anno dopo, nel 1845, il nuovo sindaco Stefano Roverizio si recò a Genova per conferire con il cavaliere Giovanni Battista Chiodo, maggiore generale e direttore del Genio Marittimo, allo scopo di sollecitare la pratica relativa al porto sanremese, già da tempo inoltrata e poi probabilmente andata smarrita.
Il maggiore Chiodo consigliò allora al sindaco Roverizio di ricominciare da capo tutta la procedura, chiedendo anche un'udienza dal principe ammiraglio Ferdinando di Savoia per informarlo sulla vicenda e sollecitare il suo interessamento. Roverizio accolse il consiglio e chiese un incontro con il principe Ferdinando, che accettò e lo ricevette quindi benevolmente assicurandogli che si sarebbe occupato personalmente della questione, pregandolo nel contempo di fargli avere un memoriale che trattasse in modo esauriente tutti i problemi relativi allo scalo sanremese.
Rientrato a Sanremo, il sindaco rimise in moto la pratica del porto, e, nonostante avesse incontrato notevoli difficoltà a reperire piani e disegni sull'area portuale presso l'Archivio comunale, riuscì a preparare un'accurata memoria corredata da tutti i documenti necessari, che venne immediatamente spedita a Genova.
Nel frattempo giunse a Sanremo una Commissione presieduta dallo stesso maggiore Chiodo allo scopo di effettuare un sopralluogo, studiare un piano generale e redigere una relazione sui lavori da eseguirsi.
La relazione, datata 30 ottobre 1846 e intitolata "Osservazioni particolari sulla Stazione e sul progetto che riguarda il porto di Sanremo", prevedeva la realizzazione di due serie di lavori, che avrebbero comportato una spesa complessiva di 430.000 lire.
Dopo aver rilevato le disastrose condizioni in cui versava il porto, la relazione proponeva di restaurare il molo lungo per scongiurarne il totale degrado e procedere allo sgombero delle arene al fine di consentire l'ormeggio delle imbarcazioni che erano allora costrette ad essere tirate a terra con un'operazione che metteva a repentaglio gli scafi dei bastimenti di piccolo tonnellaggio con gran consumo di canapi e funi.
Conosciuto il contenuto della relazione, il sindaco Roverizio propose al Consiglio di affrontare la spesa prevista in due rate, ma la maggioranza dell'assemblea consiliare, presa dall'entusiasmo, optò per l'approvazione dell'intera somma, senza tenere tuttavia in adeguata considerazione le difficoltà di natura finanziaria che l'Amministrazione avrebbe dovuto affrontare per reperire i fondi necessari. Iniziò allora un lungo iter burocratico destinato a trascinarsi per diversi anni, nel corso del quale furono studiati vari progetti, redatte perizie e contro perizie e analizzati i costi e ogni tipo di preventivo al fine di garantire il miglior risultato possibile. Intanto le autorità ministeriali non avevano ancora deciso se concedere o meno un prestito al Comune per sovvenzionare le spese portuali.
La situazione si sbloccò tuttavia quando il ministro del Tesoro, amico personale del sindaco Roverizio, riuscì a convincere i funzionari della Cassa delle Anticipazioni ad accordare al Comune di Sanremo un prestito di 120.000 lire, la cui prima rata venne ufficialmente concessa dal re Carlo Alberto il 19 febbraio 1848.
Poco dopo il Consiglio comunale approvò il prestito e il relativo atto di sdebitamento in 10 anni, mentre il sindaco Roverizio rispediva al Dipartimento del Genio Marittimo di Genova tutti i progetti e i piani relativi all'area portuale affinché questi venissero modificati riducendone la spesa complessiva, ritenuta troppo alta.
Il sindaco si recò quindi per la quarta volta a Genova per chiedere al maggiore generale Chiodo di modificare il progetto primitivo riducendo drasticamente la spesa prevista in modo che essa fosse proporzionata alla disponibilità finanziaria dell'erario comunale e alle esigenze di natura commerciale della città.
Venne allora redatta una nuova perizia, inviata al Comando Superiore della Regia Marina con lettera del 16 settembre 1848, che prevedeva una spesa complessiva di 257.693,97 lire; alla perizia era inoltre allegata una planimetria della Stazione di Sanremo, firmata dal maggiore generale Magliano, succeduto nel frattempo al maggiore Chiodo, che venne approvata dal ministro segretario di Stato di Guerra e Marina Della Rocca.
Intanto la Commissione preposta ai lavori portuali decise di chiamare a Sanremo uno degli imprenditori più quotati del porto di Marsiglia affinché questi, visti i lavori deliberati, consigliasse la maniera più economica per eseguirli o si assumesse addirittura l'onere di realizzarli.
Il membro della Commissione Giuseppe Rambaldi, recatosi a Marsiglia, informò il sindaco Giovanni Battista Grossi, subentrato nel frattempo a Roverizio, che l'imprenditore addetto ai Lavori pubblici della città Elie Dussaud era disposto a venire a Sanremo a patto che la Commissione gli pagasse la trasferta del viaggio e le altre spese per un ammontare totale di 100 franchi. Dopoché il Comune di Sanremo ebbe accettato queste condizioni, il signor Dussaud si recò nella città matuziana per effettuarvi alcuni sopralluoghi e disegnare piante e progetti della zona portuale.
Tornato a Marsiglia, Dussaud spedì il 20 febbraio 1849 al sindaco di Sanremo una memoria, corredata da un progetto, che illustrava il suo piano per il porto sanremese: si trattava di costruire un molo lungo 112 metri e largo 12 per una superficie complessiva di 1.344 metri quadrati, che avrebbe comportato una spesa totale di 67.200 franchi. Nella memoria Dussaud metteva anche in rilievo i vantaggi per le operazioni di carico e scarico delle merci che sarebbero derivati dal suo piano di ristrutturazione dell'area portuale, il cui costo complessivo ammontava a 355.000 franchi.
L'offerta dell'impresario francese venne però rifiutata, sia per il suo prezzo, ritenuto troppo elevato, sia perché rimaneva ancora valido il progetto prospettato dal direttore generale del Genio Marittimo maggiore Magliano.
Alla scelta di quest'ultimo progetto contribuì anche in modo determinante il decreto reale, emanato il 4 giugno 1849, con il quale il nuovo re di Sardegna Vittorio Emanuele II approvava la spesa preventiva dal Genio Marittimo di Genova per i lavori di ristrutturazione del porto di Sanremo. Il maggiore Magliano diede allora incarico al Luogotenente del Genio del Servizio Marittimo di Nizza ingegner Sassernò di occuparsi direttamente dei lavori concernenti lo scalo marittimo sanremese.
L'ingegner Sassernò si mise subito al lavoro per redigere un contratto d'appalto, stipulato a Sanremo il 26 luglio 1849, firmato dello stesso Sassernò e controfirmato a Genova il 3 agosto successivo dal maggiore Magliano, che prevedeva la ricostruzione integrale della gittata del molo del porto sanremese da eseguirsi al prezzo di 39.392,50 lire.
Il contratto stabiliva inoltre che l'Amministrazione Civica avrebbe ceduto all'impresario tutti i suoi magazzini esistenti sul molo, mentre l'impresa appaltatrice si sarebbe fatta carico delle spese di contratto, dei dazi e delle gabelle, oltreché della provvista di carri, slitte, argani, leve in legno e in ferro, cardani e altri utensili, impegnandosi nello stesso tempo a completare i lavori di gittata del nuovo molo entro un periodo massimo di 18 mesi.
Le pietre necessarie per il molo sarebbero invece state estratte nelle cave scelte dall'Amministrazione Civica situate nei terreni appartenenti alla moglie di Emanuele Cremieux, Marianna Moraglia e ad Antonio Muraglia. Per quanto concerneva infine i pagamenti dei lavori, essi sarebbero stati corrisposti con rate mensili da versare in ragione dello stato di avanzamento dei lavori. A questa memoria l'ingegner Sassernò allegò poi tre distinte relazioni, accompagnate da disegni e prospetti, che chiarivano meglio la natura dei lavori da eseguire.
La prima relazione, che interessava i lavori da realizzare sul molo di levante e sulle altre opere riguardanti il porto, fu presentata agli amministratori sanremesi il 24 gennaio 1850.
In questo studio, Sassernò trattò dell'imboccatura ideale del porto e della necessità di creare all'interno dell'area portuale una zona di acque calme eliminando qualsiasi tipo di insabbiamento al fine di ridurre al massimo il fenomeno della risacca.
Nella seconda relazione il Luogotenente del Genio Marittimo di Nizza si soffermava invece sui vari sistemi di costruzione dei moli e sul genere di opere sottomarine che avrebbero dovuto costituire la base della massicciata; Sassernò passava poi a descrivere i lavori da realizzarsi nel porto di Sanremo, che egli collocava in tre aree distinte: il molo di levante o interno, il molo di ponente o esterno e le calate. La terza e ultima relazione era invece dedicata all'argomento delle spiagge e degli interramenti, che l'ingegnere di Nizza descriveva accuratamente distinguendone le varie tipologie.
Il 9 giugno 1850 il Corpo Reale del Genio di Nizza stese quindi il lungo capitolato d'appalto per il porto di Sanremo, redatto dallo stesso Sassernò e composto da 109 articoli, che venne mandato a Genova per essere approvato e controfirmato dal direttore generale dei Lavori Marittimi Magliano.
Il documento descriveva minuziosamente tutte le condizioni di appalto per i lavori da eseguirsi nel porto sanremese allo scopo di impedire la totale rovina del molo di ponente, arrestare le sabbie che entravano nell'area portuale dalla parte di levante, estrarre dal fondo del mare le pietre provenienti dalla rovina della testata del molo occidentale e iniziare lo sgombero delle arene che si trovavano depositate sulla spiaggia antistante il mare.
A queste dettagliate condizioni di appalto il maggiore Magliano allegò una relazione, contenente una serie di modifiche al progetto di prolungamento del molo e ai lavori di restauro del porto approvato con regio decreto del 4 giugno 1849, che consistevano fondamentalmente in una riduzione dell'imboccatura del porto per evitare che le onde marine urtanti contro il molo di levante creassero una eccessiva risacca all'interno di tutta la zona portuale.
Il 28 ottobre 1850 l'intendente generale di Nizza ratificò quindi l'appalto dei lavori al porto di Sanremo per un primo ammontare di 100.000 lire, non disponendo allora l'erario di altri fondi. Il successivo 5 novembre si riunì invece il Consiglio comunale della città matuziana per deliberare l'appalto dei lavori nell'area portuale. Al termine della riunione, presieduta dal sindaco Roverizio, il Consiglio stabilì che i pagamenti previsti dal capitolato d'appalto avrebbero avuto luogo in ragione dell'avanzamento dei lavori, con la ritenuta del decimo da corrispondere per saldo quattro mesi dopo la collaudazione finale.
La spesa totale, prevista in 100.000 lire, sarebbe stata infine divisa in tre rate di 22.500 lire per gli anni 1851, 1852 e 1853 e 32.500 lire per l'anno 1854.
Il 2 novembre intanto il sindaco Roverizio aveva comunicato all'intendente di Nizza l'avviso d'asta per i lavori da realizzare nel porto. All'asta si erano iscritti i seguenti imprenditori: Onorato Giordano, nato a Villafranca ma residente a Oneglia, Carlo Giordano, nato e residente a Oneglia, Stefano Languasco, nato e residente a Oneglia e Luca Becchi, nato e residente a Sanremo.
Il 20 dicembre 1850 si svolse la riunione per la deliberazione dell'asta nella Sala Consiliare del Palazzo Civico alla presenza del sindaco Roverizio e dei consiglieri Borea d'Olmo, Gerbolini, Grossi, Bottini, Ameglio, Guarini e Bongiovanni. Esaminate minuziosamente tutte le offerte avanzate dai vari appaltatori, gli amministratori comunali giudicarono più vantaggiosa quella prospettata da Carlo Giordano, che venne proclamato vincitore dell'asta e al quale il sindaco affidò contestualmente l'appalto dei lavori del porto per la somma di 88.000 lire. Giordano era allora uno degli impresari più quotati del circondario di Sanremo, dove aveva già appaltato diversi lavori pubblici.
Il 15 febbraio 1851 venne quindi stipulato l'atto di sottomissione dell'impresario con cauzione ed ipoteca a favore della città di Sanremo per la realizzazione dei lavori portuali al prezzo di 88.000 lire. In questa occasione il padre di Giordano, Onorato, si rese garante per il figlio ipotecando in suo favore alcuni beni situati a Oneglia per un valore di 97.000 lire. Il 22 febbraio successivo l'intendente generale di Nizza approvò e autorizzò l'atto di sottomissione di Giordano dando il permesso all'intendente di Sanremo di concedere tutti i permessi necessari.
Nel marzo 1851 iniziarono i lavori dell'Impresa Giordano, che tuttavia si scontrò quasi subito con l'Amministrazione Civica per una serie di inconvenienti causati dalla conduzione dei lavori stessi, tra cui il trasporto dei massi, molti dei quali rimanevano abbandonati lungo le strade o cadevano dai carri che li portavano arrecando gravi danni alla massicciata e ai terreni vicini. Nei mesi successivi i lavori procedettero comunque speditamente, come attestato dalle numerose ricevute di pagamento regolarmente corrisposte a Giordano dal direttore amministrativo dei lavori per conto del Comune.
Agli inizi del 1852, però, la cava di pietre della zona di San Martino, da dove venivano prelevati i massi per il porto, era pressoché esaurita, tanto che Giordano propose al sindaco di aprirne un'altra in zona Robino. L'impresario onegliese si dichiarò anche disponibile a costruire la strada di accesso alla nuova cava e di cederla poi al Comune in cambio del riconoscimento di un'indennità pari a 2.500 lire e del diritto di esproprio del terreno dove questa era ubicata.
Il Consiglio comunale, sentita la relazione del sindaco e considerata accettabile la proposta di Giordano, approvò quindi lo stanziamento della somma richiesta.
In seguito sorsero però delle difficoltà in merito allo sfruttamento della nuova cava, causate dalla resistenza opposta dal sacerdote Giovanni Carbone all'esproprio del proprio terreno, che sarebbero state comunque alla fine risolte dopo un lungo contenzioso.
Il 4 luglio 1852 intanto era stato emesso un decreto legge che inseriva il porto di Sanremo nella 2ª Categoria degli scali appartenenti alla III Classe, pareggiandolo a quelli di Oneglia e Porto Maurizio. Verso la fine del '52 venne inoltre reso noto che il governo aveva decretato di elargire alla città un contributo straordinario di 8.000 lire per i lavori del porto, che nel frattempo procedevano abbastanza velocemente nonostante i continui dissidi tra il Comune e l'impresario Giordano.
Alla fine del 1853 i lavori vennero finalmente pressoché completati con il prolungamento di 85 metri del molo di ponente, che raggiunse allora una lunghezza complessiva di circa 280 metri, la realizzazione del ripascimento di tutta la scogliera esterna con una scarpata in pendenza verso sud, la collocazione di grossi blocchi artificiali a difesa del molo e l'allungamento del molo di levante, che venne portato ad una lunghezza totale di 108 metri.
Intanto, nel mese di settembre, la direzione dei lavori alla zona portuale era passata dall'ingegner Sassernò all'ingegnere provinciale Giovanni Battista Caneva in esecuzione di un'ordinanza ministeriale che aveva esonerato la Direzione dei Lavori Marittimi dal servizio dei porti di II e III Classe, ai quali apparteneva anche quello di Sanremo, affidandolo agli ingegneri delle varie province.
Poco dopo il completamento dei nuovi lavori portuali sopravvenne tuttavia una furiosa mareggiata, protrattasi dal 2 al 9 gennaio del 1854, che provocò gravi danni al molo di ponente appena terminato, facendo inoltre franare all'interno dell'area portuale una decina di metri di massicciata e danneggiando una parte del lastricato. Per fronteggiare queste spese impreviste, il Consiglio comunale, riunitosi nel mese di febbraio, decise di introdurre una sovraimposta straordinaria, incaricando nello stesso tempo l'ingegner Caneva di realizzare un nuovo progetto che prevedesse un eventuale prolungamento dei due moli.
Mancando i fondi necessari, l'Amministrazione chiese allora un prestito di 120.000 lire alla Cassa Depositi impegnandosi a pagare un tasso di interesse pari al 5% della somma totale. Nel giugno 1854 pervenne un altro contributo statale, emesso dal ministero dei Lavori pubblici, ammontante a 3.340,30 lire, mentre il 18 settembre il Consiglio comunale stabilì le modalità per effettuare il rimborso alla Cassa Depositi per il prestito di 120.000 lire.
Il 17, 18 e 19 ottobre una serie di altre violente mareggiate devastò nuovamente la zona portuale, mentre in città scoppiava una epidemia di colera che mietè numerose vittime, soprattutto tra i marinai.
Nel febbraio 1855 il sindaco Roverizio scrisse al ministro dei Lavori per sollecitare un suo intervento presso la Cassa Depositi al fine di ottenere il prestito di 120.000 lire già richiesto nel giugno dell'anno precedente. La situazione nell'area portuale era particolarmente critica soprattutto perché le recenti mareggiate avevano distrutto una parte considerevole delle opere appena ultimate.
Nell'aprile 1856 il Consiglio comunale, presieduto dal nuovo sindaco Antonio Bottini, ritornò ad occuparsi del porto esaminando in particolare una lunga relazione sulle condizioni del porto presentata dall'ingegner Caneva. In questa relazione l'ingegnere della provincia, dopo aver accennato ai danni causati al porto dalle mareggiate del 1854, analizzò l'entità delle opere da realizzare, consistenti in alcune sottomurazioni al bastione del molo sud, al riattamento del lastricato e alla posatura di grossi blocchi di pietra nella massicciata esterna, per una spesa complessiva di 13.034,30 lire da ripartire tra il Comune per il 50%, lo Stato per il 25% e la Provincia per il restante 25%.
La successiva gara d'appalto per l'assegnazione dei lavori andò peraltro deserta per l'esiguità della somma stanziata rispetto alla mole del lavoro e alla consistenza quantitativa dei mezzi tecnici che l'impresario avrebbe dovuto sostenere per realizzare l'opera; è probabile comunque che anche questo appalto se lo sia aggiudicato l'Impresa Giordano, che nel corso del 1857 fece dei piccoli lavori nella zona portuale. Qualche anno dopo, nel 1861, vennero invece condotti dei lavori per il ripascimento della scogliera, che comportarono una spesa di 63.107,56 lire, ripartita in parti uguali tra il Comune e il governo.
Tuttavia, nonostante i lavori portati a termine nei decenni a cavallo della metà dell'Ottocento, il porto sanremese non offriva ancora garanzie sufficienti per l'ancoraggio di bastimenti dalla portata superiore alle 200 tonnellate, consentendolo soltanto ad imbarcazioni di piccola stazza. I frequenti marosi che si frangevano sul molo di levante causavano inoltre gravi danni alle barche ormeggiate all'interno di quello di ponente.
Per risolvere questi problemi, il Consiglio comunale stanziò nel 1866 la somma di 50.000 lire destinata a realizzare dei lavori di restauro nel porto e a varare un nuovo progetto per il suo ampliamento.
Questo progetto, che venne elaborato dal nuovo ingegnere della provincia Giovanni Battista Parea, prevedeva il prolungamento del molo di ponente di altri 120 metri allo scopo di riparare questa area del porto dai forti venti di libeccio e scirocco, ma anche di questo nuovo piano di riassetto della zona portuale non se ne fece più nulla.
Per sollecitare un intervento del governo sulla questione del porto intervenne anche il sindaco Luigi Bongiovanni, che il 14 aprile 1869 scrisse una lettera a tutti i deputati nella quale il primo cittadino sanremese tentava di interessare i parlamentari sui problemi dello scalo matuziano, ricordando che il Comune aveva già stanziato la somma di 10.000 lire per sovvenzionare i lavori previsti. In un'altra lettera, indirizzata questa volta al ministro dei Lavori pubblici Mordini, gli amministratori comunali si impegnarono a vincolare il bilancio per gli anni 1870-1871-1872 e 1873 per 40.000 lire in modo da raggiungere, con le già stanziate 50.000 lire, la quota che sarebbe stata ascritta alla città; anche questa proposta non venne però accolta dal governo.
Il Consiglio comunale, nella seduta del 12 settembre 1870, deliberò allora di stanziare per il porto la somma di 100.000 lire, che il governo aveva stabilito di assegnare alla città come parziale compenso per l'esproprio del Corso Marina, dove sarebbe dovuto passare il nuovo tracciato della ferrovia, ma anche questo ennesimo progetto rimase sulla carta.
Nel 1871 tuttavia si verificò un rinnovato interesse per il porto da parte delle autorità cittadine, che, attraverso una pubblica sottoscrizione, riuscirono a raccogliere 100.000 lire, subito destinate a lavori di restauro e miglioria della zona portuale.
Nel corso del '71 si interessò della questione anche il direttore generale del ministero dei Lavori pubblici Martinengo, che il 21 maggio scrisse una lettera al sindaco di Sanremo per informarlo che se il Comune poteva dimostrare di avere realmente a disposizione la somma di 100.000 lire ed era disposto a versare tale somma nelle casse dello Stato, anche in due rate, egli si sarebbe attivato nel Consiglio dei ministri per fare approvare in breve tempo una legge che avrebbe dovuto regolamentare le normative riguardanti un determinato tipo di lavori pubblici con la partecipazione del governo e degli enti locali.
Sempre nel mese di maggio l'Ispettore del Genio Civile assicurò al sindaco di aver depositato negli uffici della provincia il progetto per il porto di Sanremo già approvato nell'aprile dell'anno precedente, ma, nonostante tutte queste iniziative, negli anni immediatamente successivi non vennero più effettuati lavori nell'area portuale sia per la mancanza delle necessarie autorizzazioni che per l'assoluta irreperibilità di finanziamenti sufficienti a sovvenzionare le relative spese.
Durante l'Amministrazione Asquasciati iniziata nel 1878, ritornò nuovamente all'attenzione della classe politica locale la questione del porto di Sanremo.
L'interesse per l'area portuale venne stimolato dalla lettera inviata il 1° aprile 1879 dal direttore generale dei Lavori pubblici al sindaco Asquasciati, nella quale l'alto funzionario ministeriale informava il primo cittadino sanremese che si stava preparando un progetto di legge, relativo alla sistemazione del porto di Sanremo, che sarebbe stato sottoposto quanto prima all'approvazione parlamentare.
Nel dicembre successivo si riunì invece l'assemblea della Società Marittima, che predispose il testo di lungo esposto indirizzato al Consiglio comunale, nel quale si sottolineavano le necessità inderogabili del porto e veniva avanzata un'aspra critica alla cittadinanza sanremese colpevole di occuparsi poco delle attività marinare e di dedicarsi invece a dirigere «locande», dimostrando però, con questo giudizio, una scarsa fiducia nelle enormi potenzialità del nascente fenomeno turistico.
Sul fronte legislativo occorre invece ricordare che il 19 luglio 1880 venne emanata una legge che contemplava ingenti stanziamenti pubblici per la sistemazione di alcuni porti, tra i quali vi era anche il porto di Sanremo, per il quale la legge autorizzava uno stanziamento di 200.000 lire, destinato al finanziamento delle opere di prolungamento e sistemazione dei moli e ripartito in tre rate, di cui le prime due, ciascuna di 50.000 lire, sarebbero state inserite nei bilanci del 1880 e del 1881, mentre la terza, di 100.000 lire, sarebbe stata inclusa in quello del 1882.
Appreso di questo stanziamento, il Consiglio Direttivo della Società Marittima diede quindi incarico ai soci Pesante e Molinari di recarsi a Porto Maurizio per prendere visione dei tracciati del progetto elaborato dal Genio Civile Opere Marittime. Contattato dai rappresentanti del sodalizio sanremese, l'ingegnere provinciale spiegò che il progetto prevedeva un prolungamento di 23,20 metri del molo di levante e di 106 metri di quello di ponente. Comunicati questi dati all'assemblea della Società, la maggioranza dei soci si trovò però d'accordo nel condannare il prolungamento del molo di levante, che era giudicato inutile e dannoso, sostenendo invece la necessità di stanziare la somma prevista dalla legge per realizzare il prolungamento, anche di pochi metri, del solo molo di ponente.
Negli anni successivi, tuttavia, nonostante una serie interminabile di riunioni, assemblee e discussioni, non venne fatto nulla di concreto per la zona portuale, fino a quando, il 19 maggio 1888, si tenne un'importante seduta del Consiglio comunale per discutere sulla sistemazione del porto e la sua classificazione.
Nel corso della seduta, presieduta dal sindaco Asquasciati, si convenne di chiedere l'intervento del presidente della Camera dei Deputati, il ventimigliese Giuseppe Biancheri, affinché egli sollecitasse il governo a destinare almeno una piccola parte dello stanziamento statale di 60 milioni per i porti italiani previsto da un disegno di legge allora all'attenzione del Parlamento.
Due giorni dopo il Consiglio si riunì nuovamente per proseguire la discussione sul porto, nel corso della quale il consigliere Pesante propose di detrarre dal mutuo, concesso dal governo per i danni causati dal terremoto dell'anno prima, la somma di 150.000 lire da destinarsi all'area portuale; tale somma, che aumentata con il concorso della provincia sarebbe lievitata a 750.000 lire, avrebbe consentito di prolungare il molo di ponente di circa 120 metri e di dotare il porto di tutte le attrezzatture più moderne e efficienti in grado di renderlo un importante scalo commerciale.
Pesante, che ricopriva anche la carica di presidente della Società Marittima, chiese pure che venisse nominata una Commissione formata dal sindaco e da due persone esperte di cose marinare ma estranee al Consiglio, che programmasse il sistema migliore per gli interventi nella zona portuale. Favorevoli alla tesi del grande porto commerciale furono anche i consiglieri Escoffier, Drago e Piccone, mentre il consigliere Calvi e l'ingegner Marsaglia avanzarono delle riserve sull'opportunità di stornare i fondi governativi per un'impresa estremamente aleatoria, che oltretutto, secondo quanto sostenuto con forza dal sindaco Asquasciati, si profilava eccessivamente gravosa anche per le finanze locali.
Durante la tornata successiva i consiglieri che si erano rivelati i più accesi sostenitori della creazione di un grande porto commerciale, ridussero le loro pretese e concordarono con tutti gli altri che sarebbe stato meglio limitarsi ad utilizzare i fondi governativi per prolungare di 120 metri il molo di ponente, rimandando ad un secondo tempo il progetto più ambizioso di realizzare un grande scalo commerciale.
Al termine della seduta fu quindi approvato un ordine del giorno con cui veniva istituita una Commissione incaricata di concertarsi con l'Amministrazione comunale per associare alla costruzione di un porto in grado di rappresentare un adeguato sbocco marittimo della ferrovia Cuneo-Ventimiglia le competenti autorità della Provincia e dei Comuni limitrofi, e per sollecitare presso il governo i finanziamenti necessari alla realizzazione di questo porto; nella stessa occasione il Consiglio incaricò anche la Giunta Municipale di curare le pratiche per l'avvio dei lavori di prolungamento del molo sud di altri 120 metri.
Nei mesi successivi la Commissione per il porto riuscì ad ottenere dal governo lo stanziamento di 250.000 lire per il prolungamento del molo di ponente e di altre 50.000 per l'allungamento di 23 metri di quello di levante. Il 2 aprile 1885 venne emanata una legge sui porti, le spiagge e i fari, con cui tutti i porti di III Classe, tra i quali anche quello di Sanremo, erano promossi alla II, mentre il riparto delle spese era stabilito in ragione del 60% allo Stato e del 40% alla Provincia e ai Comuni. Con un'altra legge, promulgata il 14 luglio 1889, venne infine stanziata la somma di 300.000 lire per il prolungamento del molo di ponente per una lunghezza complessiva di 92 metri. A proposito di questa somma, il consigliere Pesante propose al Consiglio comunale di contrarre un mutuo di 300.000 lire e di pagare i relativi interessi con la somma accantonata per poterla destinare alla dote del Teatro Principe Amedeo.
Un altro problema inerente all'area portuale era rappresentato dalla concessione, che il Comune aveva richiesto al Demanio, di due zone di terreno arenile situate sulla spiaggia in regione Arenella, al fine di potervi costruire uno stabilimento balneare e una sovrastante passeggiata pubblica, poi effettivamente realizzata e intitolata al Principe Federico Guglielmo, che esiste ancora oggi con il nome di Passeggiata Trento e Trieste.
Era infatti evidente come il prolungamento del molo di ponente, oltre ad aumentare la capacità ricettiva della zona portuale e difenderla da eventuali mareggiate, avrebbe costituito una valida barriera di protezione della prevista passeggiata, destinata a percorrere tutto il litorale della città tra l'Arenella e il quartiere San Martino.
Nell'ultimo decennio dell'Ottocento vennero anche realizzati importanti lavori nell'area portuale sanremese.
Il 13 ottobre 1892 la Direzione generale opere idrauliche del ministero dei Lavori pubblici emanò in tutta Italia un avviso di appalto dei lavori di scogliera per il prolungamento del molo occidentale del porto di Sanremo per una spesa complessiva di 207.200 lire. L'appalto venne quindi aggiudicato all'impresa costruttrice di opere pubbliche dei Fratelli Fabiani di Genova-Spezia con contratto stipulato ed approvato dal ministero dei Lavori pubblici il 19 gennaio 1893.
La somma complessiva messa a disposizione dal governo lievitò in seguito a 300.000 lire, di cui 211.000 destinate ad un primo appalto, che consisteva nel prolungamento del molo sud per 100 metri circa. Le altre 89.000 lire furono invece destinate al molo di levante o eventualmente al prolungamento di altri 20 metri di quello di ponente qualora i primi cento non fossero stati ritenuti sufficienti.
« Si legge negli atti del Comune che il 24 marzo 1893 il Consiglio comunale accoglie la domanda dell'Impresa che si è aggiudicata l'appalto per i lavori del porto, tendente ad ottenere " la facoltà di collocare un binario, a scartamento ridotto, lungo la strada dal ponte sul torrente Bernardo al molo di ponente del porto, onde fare il trasporto dei massi occorrenti per i lavori di prolungamento del molo predetto. Il trasporto si farebbe dalla cava posta nella regione Pietralunga, con carri tratti a vapore, regolandone la velocità a passo d'uomo, durante l'intera giornata nei mesi dal I° maggio al 1° ottobre, e con interruzioni durante le ore dalle 10 antimeridiane alle 3 pomeridiane, negli altri mesi dell'anno. Verrebbe in fine garantita la remissione della strada nel pristino stato, a lavori compiuti.
Il Sindaco aggiunge che il mezzo di trasporto, che si vuole mettere in opera, reca con sé il duplice vantaggio di accelerare il compimento dei lavori e di recare assai minori danni alla strada." ».
("C'era una volta a Sanremo" di Giuseppe Silingardi)
Per l'allungamento del molo di ponente furono utilizzati massi provenienti dalle cave di Capo Nero. Gli enormi macigni dopo essere stati misurati e pesati, su una pesa allestita all'inizio del cantiere, venivano calati in acqua per la loro destinazione definitiva. Il più grosso blocco aveva il ragguardevole peso di trentasei tonnellate.
("Sapore di Salsedine" di Marco Macchi)
L'impresa appaltatrice lavorò speditamente e nel giro di un anno portò a termine i lavori di gettata dei massi e di banchinamento del molo di ponente. Vennero costruiti in tutto 96 metri di molo, otto dei quali andarono però distrutti da una violenta mareggiata che si è abbattuta sulla costa di Sanremo nella notte tra il 14 e il 15 gennaio 1895.
Non essendo però ancora stata disposta l'erogazione delle restanti 89.000 lire da parte del governo, i lavori subirono in seguito un'interruzione, che rischiava di portare serie conseguenze all'opera appena ultimata. Il sindaco Drago si recò allora a Roma presso il ministero dei Lavori pubblici e l'onorevole Biancheri per sollecitare un rapido intervento.
Dopo aver consultato i funzionari ministeriali, Drago inviò da Roma all'assessore anziano Luigi Ameglio una lunga relazione, datata 8 giugno 1894, nella quale il primo cittadino sanremese informava il Consiglio comunale che il governo era disposto a favorire la prosecuzione dei lavori di prolungamento del molo a patto che il Comune di Sanremo anticipasse la spesa occorrente ai lavori stessi.
L'impresa Fabiani, interpellata in proposito, si disse quindi disposta ad anticipare le 89.000 lire occorrenti per il proseguimento dei lavori. Il 16 giugno 1894 la Giunta Municipale deliberò, salva l'approvazione del Consiglio comunale, di accettare l'offerta dell'impresa Fabiani impegnandosi a corrispondere alla stessa impresa un interesse del 4% per un tempo massimo di due anni. Questa delibera venne approvata dal Consiglio il 19 giugno e quindi sottoscritta anche dal signor Orazio Fabiani a nome della sua impresa. I lavori poterono così riprendere e si conclusero con il prolungamento di altri 30 metri del molo di ponente, che verso il 1895 raggiungeva la lunghezza complessiva di 450 metri.
Una volta terminati i lavori della società Fabiani, fu nuovamente sollevata la questione dell'area portuale, in particolare presso la sede della Società Marittima, i cui soci Pietro Gazzano e Stefano Molinari proposero, il 21 gennaio 1898, un nuovo piano regolatore per l'area portuale, che prevedeva l'estensione del molo fino alla zona di San Martino.
All'epoca il presidente della Società Marittima Reforzo propose anche un altro progetto, che prevedeva la costruzione di un molo quasi all'altezza della testata del molo di ponente e perpendicolare ad esso, verso l'Arenella, che avrebbe impedito l'ingresso nella vasca dell'arena e avrebbe costituito anche una valida barriera ai venti di levante.
Questo molo, chiamato ortogonale, venne ritenuto molto utile dalla Commissione Governativa inviata appositamente a Sanremo nel 1898 per redigere un progetto di lavori portuali per la cui realizzazione il governo stanziò la somma di 360.000 lire con la legge n. 56 del 25 febbraio 1900.
In questi anni sorse anche il problema di rendere più praticabile la zona di levante del porto in modo di poterla utilizzare come banchina da sbarco.
Negli ambienti marinari venne quindi proposto di costruire a ridosso del molo di levante una larga e comoda banchina in muratura, che doveva essere adibita esclusivamente ai vapori di maggiore portata; con questa soluzione si sarebbero potuti utilizzare il piazzale e i magazzini già costruiti senza dover disturbare le operazioni delle barche di piccolo cabotaggio.
Una richiesta in tal senso venne inoltrata al ministero dei Lavori pubblici, dove tuttavia si riteneva sufficiente soltanto la costruzione di due pontili in legno staccati dal molo e impiantati a distanza da stabilirsi in relazione alla stazza dei piroscafi carboniferi che avrebbero dovuto attraccare nella darsena del porto.
La discussione su quale soluzione adottare, banchina in muratura o pontili in legno, si protrasse comunque per alcuni anni senza sortire alcun risultato pratico.
Nell'agosto 1899 il ministero dei Lavori pubblici autorizzò intanto l'esecuzione di opere di riparazione e manuntenzione al molo di ponente per l'importo di 20.000 lire e dopo gli ultimi lavori di dragaggio il porto era pronto ad accogliere il traffico dei grossi piroscafi.
I risultati non si fecero attendere e già nel 1904 arrivarono oltre settecento navi, una buona metà delle quali piroscafi, per un movimento di 25 mila tonnellate di merci e circa cinquemila passeggeri.
Finalmente il porto era sicuro e le navi che vi cercavano riparo sempre più numerose. In quegli anni il movimento maggiore era dato dai piroscafi che trasportavano carbone per le centrali del gas di Sanremo e Ventimiglia cui si aggiungevano i velieri carichi di vino della Sicilia. Altre merci in arrivo a Sanremo erano: legname, gesso, olio, cemento e carbone di legna mentre venivano esportate: tegole, pietre, legname, sansa di olive, mattoni.
Questo periodo di maggiore floridezza favorì la realizzazione di altri lavori come il banchinamento del molo di levante, la costruzione dei magazzini del porto franco del signor Escoffier, per il suo commercio di olio d'oliva, ed il prolungamento di altri settanta metri del molo di ponente.
Malgrado questo però, il traffico portuale all'inizio del Novecento non raggiungeva nemmeno le 50.000 tonnellate annue di merci transitate e si svolgeva esclusivamente via mare; questa situazione non consentiva aspirazioni di grande porto commerciale, come dimostrato anche dal rifiuto pronunciato dalle Ferrovie dello Stato il 20 marzo 1900 di installare un binario di collegamento tra il porto e la stazione ferroviaria.
In compenso, ai primi del Novecento, Sanremo venne scelta come sede di scalo marittimo dalla Compagnia di Navigazione Tedesco-Americana «Hamburgher-Nachrichten», che faceva servizio sulla linea Genova-Nizza tre volte la settimana con il piroscafo Cobra, e anche come località dove tenere importanti regate veliche a carattere internazionale, che già si svolgevano nella vicina Costa Azzurra dove attiravano l'attenzione di molti turisti della facoltosa colonia straniera.
A complicare la situazione ci fu lo scoppio della Prima Guerra mondiale.
Per la marineria velica sanremasca e taggiasca, in quanto i velieri taggiaschi attraccavano a Sanremo essendo privi di un porto proprio, la guerra aggravò uno stato di crisi dei noli già ampiamente presente e dovuto alla sempre maggiore diffusione ed efficienza dei piroscafi. Durante la guerra poi i sommergibili austriaci fecero strage dei velieri inermi determinando praticamente la fine di un'epoca.
Al termine del conflitto nel porto di Sanremo sopravvivevano soltanto cinque velieri.
Se si aggiunge il trasporto su strada, in seria concorrenza con la navigazione di cabotaggio e la sostituzione del gas con l'energia elettrica, ed il conseguente crollo del trasporto di carbone, si comprende benissimo che il movimento mercantile del porto dovette subire un grave tracollo nell'immediato dopoguerra.
Sopravvisse il commercio dell'olio importato a fusti, lavorato ed imbottigliato dalla ditta Escoffier nei magazzini del porto franco, e quindi riesportato.
Ben presto a causa delle sanzioni anche questa vena di traffico si disperse e attorno al 1935 il porto di Sanremo cessò di essere esclusivamente uno scalo commerciale.
Il 2 dicembre 1936 il Comune stipulò con l'impresario Riccardo Parodi di Genova un contratto, poi ratificato dal ministero dei Lavori pubblici con decreto n. 1726 del 30 marzo 1937, che prevedeva la rapida realizzazione di una serie di lavori nell'area portuale per un importo totale di 967.230 lire; i lavori che furono poi svolti consistettero nell'allargamento del piazzale situato nella zona nord del porto, nella realizzazione di una solida arginatura del torrente San Francesco e nel prolungamento della banchina d'onore antistante la Capitaneria di Porto, che allora era chiamata comunemente la «banchina dei panfili».
Durante il secondo conflitto mondiale, il porto, utilizzato tra l’altro come base per i mezzi della Decima Flottiglia Mas, fu soggetto di danneggiamenti a opere portuali a terra ed in mare.
Purtuttavia la guerra non arrecò troppi danni alla struttura portuale se si eccettua l'affondamento di traverso all'entrata, alcune navi di medie dimensioni, per impedire l'entrata di mezzi nemici in darsena.
Dopo il periodo bellico, oltre a provvedere alle prime riparazioni e far ritornare ad una parvenza di normalità il porto, nel settembre 1948 l'ingegner Bartolomeo Corradi presentò all'Amministrazione comunale un innovativo progetto di porto turistico, che prevedeva la realizzazione di un bacino di carenaggio nell'area dove sorgeva la Società Canottieri e un pennello antistante la stessa Società dotato di una testa di martello orientata verso l'interno del porto, il prolungamento della diga foranea per circa 50 metri in direzione della riva di San Martino, la costruzione di una banchina riservata alle barche da pesca lungo l'ultimo tratto del molo di ponente, il banchinamento di tutta la zona di Pian di Nave e la costruzione di una diga foranea lunga 225 metri, posta a riparo dell'imboccatura del porto, per proteggere il bacino dai venti di levante, e in particolare dal grecale.
Anche la suddetta opera, il cui costo complessivo era valutato in 895.250.000 lire, nonostante l'approvazione di molti consiglieri e di numerosi semplici cittadini, non trovò una realizzazione pratica rimanendo soltanto sulla carta.
Nei primi anni Cinquanta il governo varò il cosiddetto "piano azzurro", che prevedeva ingenti stanziamenti pubblici per i porti italiani, tra i quali anche quello di Sanremo.
Il sindaco Asquasciati convocò allora in Comune gli esponenti degli enti interessati alla zona portuale riferendo loro che la pratica del porto, già impostata nel 1950 e attentamente seguita dai parlamentari locali, aveva indotto il ministro della Marina Mercantile Cappa a classificare il porto sanremese tra quelli di «notevole interesse turistico».
In base a questo riconoscimento il sottosegretario ai Lavori pubblici aveva comunicato al Comune di Sanremo che erano stati stanziati ben 190 milioni da destinarsi per un primo lotto di lavori all'area portuale che comprendevano il prolungamento del molo di ponente di almeno 100 metri e il ripascimento di gran parte della scogliera esterna.
L'Amministrazione comunale avrebbe poi dovuto partecipare alla spesa con la somma di 50 milioni da ripartirsi in due annualità finanziarie.
Il Genio Civile delle Opere Marittime, presieduto dall'ingegner Attilio Natale, era inoltre già stato incaricato di redigere il progetto esecutivo dell'opera che prevedeva, una volta terminati i lavori, il prolungamento di 350 metri del molo sud con una lieve deviazione a terra e l'allungamento di 250 metri del molo nord.
Per reperire i fondi necessari a sovvenzionare i lavori, l'Amministrazione civica promosse anche una sottoscrizione popolare che raccolse più di dieci milioni di lire, oltre a 2.000 firme di cittadini interessati a patrocinare l'impresa.
Nel settembre 1955 vennero quindi eseguiti i lavori di ripascimento alla scogliera da parte delle Opere Marittime per una spesa di 5 milioni, mentre il mese successivo sarebbero stati finalmente appaltati i lavori per il primo lotto all'Impresa SILBI di Roma, che venne incontro al Comune praticando lo sconto del 23,89% sulla cifra base di 190 milioni e impegnandosi a terminare i lavori entro diciotto mesi a partire dal mese di novembre.
La spesa per il primo lotto venne poi ripartita in due quote, una di 140 milioni a carico dello Stato e l'altra di 50 a carico del Comune di Sanremo. Nel corso dei mesi successivi furono portati a termine 100 metri di prolungamento completo della fondazione alle opere fuori acqua e 100 metri di banchinamento nella parte finale del molo già esistente.
Nel 1957 si procedette all'appalto di un secondo lotto di lavori sempre all'Impresa SILBI per un importo di 60 milioni di lire, dei quali 15 furono corrisposti dal Comune. Vennero allora eseguiti 37 metri di prolungamento del molo di ponente secondo le direttive del ministero dei Lavori pubblici, che aveva prescritto di realizzare l'opera in tutte le sue parti per ciascuno dei lotti.
Nell'agosto 1971 il Consiglio comunale approvò il progetto predisposto da Martolini e Piras per un nuovo porto turistico, il futuro Portosole, che sarebbe sorto sulla Passeggiata Trento e Trieste sulla sinistra del Morgana.
Verso la fine del mese di marzo dello stesso iniziarono i lavori per la costruzione di Portosole nel tratto di mare antistante gli stabilimenti balneari della passeggiata Trento e Trieste tra il Morgana e l'antenna della RAI, nonostante che le autorità ministeriali avessero preferito il progetto Valmarina che prevedeva la costruzione dell'approdo turistico lungo l'attuale passeggiata delle Nazioni di fronte alla stazione ferroviaria.
Alla fine però la CNIS, Società Circolo Nautico Internazionale Sanremo, appaltatrice dei lavori, era riuscita a ottenere l'autorizzazione per la nuova struttura nella zona prospiciente la passeggiata Trento e Trieste grazie anche all'appoggio dell'Amministrazione comunale, e in particolare del sindaco Parise.
Lo scalo portuale di Portosole, inaugurato ufficialmente nel luglio 1977, avrebbe quindi costituito uno dei più moderni e accoglienti approdi turistici del Mediterraneo.
Negli anni '80 del secolo scorso ci fu anche un tentativo di stabilire nel porto di Sanremo, un punto di attracco per i traghetti di una nota Compagnia che faceva servizio tra i porti liguri e quelli della Corsica.
Funzionò per un certo periodo discretamente perchè portò in città più persone e quindi più commercio ma soprattutto più veicoli.
Alla fine però, verificati alcuni problemi presentatesi durante quel periodo, la Compagnia dovette rinunciare all'approdo perchè il bacino non era abbastanza profondo per permettere una manovra agevole d'attracco e l'affluire numeroso del traffico causava un intasamento per tutta la zona portuale.
(fonte: libera elaborazione dal testo di Andrea Gandolfo, "Storia di Sanremo", Sanremo ed. Colombo, 2000)
La storia del Turismo portuale e la trasformazione del Porto di Sanremo.
Fino dalla più remota antichità i potenti della terra navigavano per il loro piacere e questo svago era riservato a principi e re ancora nel diciassettesimo secolo.
Fu nell'Inghilterra del 1700 che la passione per il mare coinvolse l'alta società e diede il via allo sviluppo della nautica da diporto ed al suo correlato sport della vela. Al termine dell'epopea napoleonica la ricca società inglese scoprì il clima e la bellezza della Costa Azzurra che praticamente venne colonizzata.
Nel processo evolutivo, da una economia di sopravvivenza all'industria del turismo, Sanremo si trovò in primo piano anche per la lungimiranza di famiglie leggendarie come i Roccasterone, gli Asquasciati e i Marsaglia.
Non potevano mancare e non mancarono, in questa abbuffata di cieli limpidi e di sole smagliante, i maestosi panfili delle grandi famiglie borghesi come i Rothschild, Bennet, Vanderbilt e Gould. Furono proprio queste le prime imbarcazioni da diporto che visitarono il porto di Sanremo e che vennero a scoprire la Riviera tanto decantata dal Ruffini ne il Dottor Antonio.
Ma la mancanza di banchine impediva gli attracchi e quindi la presenza dei visitatori era fugace e saltuaria. Il nostro porto non era un buon riparo in caso di burrasca.
Solo a fine secolo, dopo i lavori di prolungamento del molo e relativo banchinamento, gli yacht cominciarono a fare capolino in numero sempre crescente.
Nel 1904 ne arrivarono quarantacinque ed il loro numero aumentò costantemente fino allo scoppio della prima guerra mondiale.
Oltre alle barche italiane ve ne erano anche di straniere come l'Ossero dell'Arciduca Carlo d'Austria. Con l'Alberto, e con la modica spesa di tre lire, si poteva fare una escursione di tre ore nel golfo di Sanremo. Anche il cutter Violante, messo in vendita dal Capitano D'Albertis, stazionò per un certo tempo nel nostro porto. Questa barca, con il nome di Sfinge, partecipò alle regate veliche del 1903.
E le regate appunto, nei primi anni del secolo, contribuirono grandemente ad accrescere il movimento turistico del porto e l'interesse per la nautica da diporto.
La diminuzione dei traffici e la crisi del dopoguerra convinsero i più che il futuro del porto di Sanremo fosse nel settore turistico piuttosto che in quello mercantile. Vi furono logicamente aspre polemiche e dibattiti che non contribuirono certo allo sviluppo del porto.
Solo la Compagnia della Vela si fece parte diligente ed organizzò crociere e regate che fra il 1926 ed il 1931 richiamarono nelle nostre acque decine e decine di imbarcazioni sia a motore che a vela. Così il porto esauriti i traffici marittimi e scomparsi gli ultimi velieri da carico si animò di un gracile turismo.
L'epoca d'oro della Costa Azzurra, nella cui luce anche Sanremo si muoveva, con il suo turismo di élite e i suoi splendidi panfili era finita. Per questi motivi negli anni trenta il porto di Sanremo conobbe un periodo di stasi e nonostante l'apertura della linea ferroviaria Ventimiglia-Cuneo ci si rese conto che Sanremo non avrebbe beneficiato di nessun traffico di merci.
Solo alla fine degli anni quaranta il porto si impose definitivamente come scalo turistico e le imbarcazioni vi tornarono numerose anche grazie al rinnovato impegno della Compagnia della Vela. Ricomparvero anche barche di gran lusso come il Sarina, il Dolphin e il Fath-el-Bihar di re Faruk.
Il molo si riempì di alberi e vele come non era mai accaduto in precedenza. Negli anni successivi per soddisfare la crescente domanda di posti barca furono attrezzati il pontile galleggiante della Compagnia della Vela e quello del circolo "il Luvassu" mentre l'apertura di un distributore di carburante sul molo di ponente ed un cantiere di rimessaggio contribuirono a migliorare i servizi.
Entrò in servizio anche un bacino galleggiante per il carenaggio degli scafi.
Nel giro di pochi anni il porto era ormai saturo e così all'inizio degli anni cinquanta si pensò ad una soluzione globale e definitiva realizzando i sogni nati dai progetti elaborati nei primi anni del secolo dai Capitani Gazzano, Reforzo e Goeta della Società Marittima Sanremese.
Ma i tempi ormai erano radicalmente cambiati e questa volta, grazie anche allo sforzo finanziario dei privati, fu realizzato un grande porto indipendente pensato unicamente per le imbarcazioni da diporto.
Non senza polemiche, lentezze e difficoltà fu realizzato fra il 1974 e il 1979 Portosole struttura-gioiello della nostra città.
(Fonte: "Sapore di salsedine" di Marco Macchi; immagini da repertorio)
Caratteristiche di Portosole
Il porto turistico Marina Portosole Sanremo è situato nel pieno centro della Città dei Fiori, e si situa tra il porto comunale sanremese e la Punta San Martino.
Si tratta di un approdo ricco di servizi, che gode di un’ottima posizione sulla Riviera dei Fiori, fungendo da “varco” di accesso alla città di Sanremo.
Il porto è protetto da una diga foranea, che offre riparo ai suoi nove moli (oltre al molo galleggiante) dalla disposizione a pettine.
L’approdo è stato progettato per poter ospitare fino a 804 imbarcazioni contemporaneamente, per barche che abbiano una lunghezza massima di 90 metri.
I fondali sono fangosi e sabbiosi, sono buoni tenitori ed hanno una profondità che varia dai 2,50 ai 7 metri.
Offre ai suoi ospiti un servizio di assistenza continua all’ormeggio, la possibilità di approvvigionarsi di acqua potabile ed energia elettrica direttamente in banchina (provvista di illuminazione), un servizio di sorveglianza ed un servizio di emissione di bollettini meteo.
L’area portuale offre inoltre servizi igienici e docce, un servizio di ritiro rifiuti, un servizio lavanderia e di raccolta delle acque nere, oltre che un servizio di sommozzatori in caso di necessità di interventi subacquei.
L’area è ben protetta dai venti di quasi tutte le direzioni, ma è bene fare attenzione alla presenza di eventuali venti provenienti da est.
Per quello che riguarda l’area cantieristica e di manutenzione, il marina è fornita di uno scivolo per imbarcazioni, di due travelift con una capacità massima di 30 tonnellate l’uno, di uno scalo di alaggio della portata massima di 750 tonnellate e di alcune officine per le riparazioni sulle imbarcazioni.
Inoltre, nell’approdo è presente una stazione di rifornimento di carburante.
Oltre ai servizi legati alla sosta delle imbarcazioni, il porto accoglie due cantieri navali, un centro di brokeraggio, alcune agenzie nautiche, due scuole veliche, una lavanderia per imbarcazioni ed alcuni punti autorizzati per l’elettronica di bordo.
Inoltre, nell’area portuale è possibile trovare un ristorante e due bar (con terrazza panoramica sul lungomare), un autolavaggio, un salone di bellezza unisex, un punto di noleggio di veicoli elettrici ed uno di biciclette.
Un progetto di espansione commerciale di Portosole prevede la costruzione di un albergo a cinque stelle e di una galleria commerciale, che ospiterà negozi di vario genere.
La posizione particolarmente centrale rende Portosole Sanremo un ottimo punto di partenza per raggiungere numerose altre località turistiche, in Italia ed in Costa Azzurra.
Inoltre, a Marina Portosole Sanremo ha sede l’Istituto Tethys, un ente che si occupa dello studio degli esemplari di cetacei presenti nel mar Mediterraneo.
(fonte informazioni dal Sito Web Marina di Portosole)